

Oggi è necessario, più che in passato, parlare, pensare e ragionare sulla pace. Perché le questioni legate alla pace ci toccano tutti da vicino, uomini e donne. Perché è sempre più forte la domanda di pace in tutti i continenti della Terra. Perché i conflitti regionali sono sempre più numerosi e preoccupano l’umanità, più che nel passato. Perché è sufficiente guardare nei luoghi dove non c’è pace, e capire le tragedie causate dalle cosiddette guerre dimenticate o ignorate, spesso non solo dai media, come quelle in America Latina, in Africa, in Medio Oriente e in Europa.
Ma che cosa è la pace? In termini essenziali la pace viene considerata ( o dovrebbe essere considerata, secondo l’opinione corrente) un valore universalmente riconosciuto, che sia in grado di superare qualsiasi barriera sociale e/o religiosa e ogni pregiudizio ideologico, in modo da evitare situazioni di conflitto fra due o più persone, due o più gruppi, due o più nazioni, due o più religioni.
In questo spirito e con queste finalità condivise, che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, istituì la “Giornata internazionale della pace” per essere celebrata il 21 settembre di ogni anno, a seguito di una risoluzione votata il 30 novembre 1981.
Oggi all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) aderiscono e ne fanno parte 193 Stati indipendenti, su un totale di 204, e due Stati non membri: la Palestina rappresentata dall’OLP e del Vaticano rappresentato dalla Santa Sede.
Le Nazioni Unite hanno visto la luce il 24 ottobre 1945 a San Francisco ( a meno di due mesi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti il Giappone si arrese formalmente il 2 settembre 1945), e sono la più importante ed estesa organizzazione intergovernativa internazionale.
Gli scopi e i principi fondamentali richiamati nello Statuto delle Nazioni Unite, sono così riassunti nei primi articoli: “Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, favorire la soluzione pacifica delle controversie, promuovere il rispetto dei diritti umani secondo il principio dell’eguaglianza e delle libertà fondamentali a vantaggio di tutti gli individui.”
La “Giornata internazionale della pace” nasce come un giorno di pace e di non-violenza, e tutte le nazioni e persone sono invitate a cessare le ostilità durante il giorno. La risoluzione istitutiva invitava tutti gli stati membri, organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, organizzazioni regionali e non governative ed individui a celebrare il 21 settembre in maniera appropriata, sia attraverso l’educazione e la consapevolezza pubblica, sia nella cooperazione con le Nazioni Unite per la pace globale.
L’osservanza della “Giornata internazionale della pace” sta cominciando ad essere sempre più diffusa, soprattutto nelle scuole con attività volte alla pace, anche se è ancora difficile vedere convincimenti culturali e comportamentali adeguati alle esigenze dell’attuale contesto socio-politico, in un mondo senza frontiere, sempre più attraversato da forme di individualismo e indifferenza.
E’ importante ricordare, inoltre, la data del 1° gennaio, nella quale nel 1968, Papa Paolo VI, istituì “La Giornata Mondiale della Pace” da celebrare ogni inizio d’anno, con l’invito alla riflessione e alla preghiera a tutto il mondo cattolico per la pace.
Particolarmente significativo è l’invio del messaggio papale annuale alle “Cancellerie di tutti gli Stati e agli uomini di buona volontà” per ricordare e riflettere sul valore della pace nel mondo, e per il messaggio del 2015, il tema scelto è: “Non più schiavi, ma fratelli.”
Dove si manifesta oggi il pericolo per la pace nel mondo? A questa domanda, in maniera autorevole ha cercato di dare una risposta Papa Francesco, la settimana scorsa, in occasione della visita al Sacrario militare di Redipuglia (Gorizia ), dedicato a oltre 100.000 soldati italiani caduti, nel centenario dell’inizio della Prima guerra mondiale.
“La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione… la cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione del potere, sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto”. Così il Papa nell’omelia, che proseguendo ha detto: “ Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?.” Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni…ma le loro vite sono state spezzate. Perché? Perché l’umanità ha detto: “A me che importa? Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni. E da qui, oggi noi le ricordiamo. C’è il pianto, c’è il lutto, c’è il dolore, per i caduti di tutte le guerre. Anche oggi le vittime sono tante..”
Nelle parole del Papa la denuncia forte contro i pianificatori del terrore nei diversi teatri di guerra del mondo. Ma, nel giorno dedicato alla pace, secondo l’invito e l’auspicio delle Nazioni Unite, quanti sono coloro che non possono avere la gioia di vivere in pace? Tanti, troppi, uomini e donne, che non conoscono il significato della parola pace nel mondo globalizzato, certamente per loro la “ Giornata internazionale della pace” non esiste e non può essere celebrata.
Oggi nei conflitti regionali, le guerre sono dichiarate e non dichiarate, ecco perché “ a pezzi”, così si intravede un terzo e pericoloso conflitto nel mondo.
Attualmente si possono considerare quattro i teatri di guerra.
In America Latina, ove il conflitto storico latinoamericano – quello pluridecennale in Columbia – sembra vicino all’epilogo. In quel continente si vivono guerre invisibili, in cui si fronteggiano non due parti, ma una pluralità di potentissime organizzazioni criminali che combattono fra loro e lo Stato, come nel El Salvator, Honduras e Guatemala, con un buco nero che ogni anno ingoia migliaia di vite umane. Nel solo 2013, sono state circa 15.000. Inoltre il caso del Messico dove la narco-guerra continua a mietere vittime.Il bilancio degli ultimi sette anni è terribile:oltre 120.000 morti, 300.000 sfollati, 30.000 scomparsi. Le violenze in quel continente determinano un grande esodo di centroamericani verso gli Stati Uniti.
In Africa, alle porte di casa nostra, le primavere arabe hanno rotto l’equilibrio su cui era rimasta cristallizzata, l’Africa mediterranea, e non ha corrisposto, però, la costruzione di un assetto democratico stabile. La Libia e la sua crisi cronica è l’esempio più drammatico, analoga situazione nel Malì. Esistono altri conflitti storici, come quelli della Somalia, della Nigeria e del Centroafrica, che hanno provocato la morte di migliaia di persone ed esodi mastodontici, dei quali il Mediterraneo e il nostro Paese sono testimoni di una tragedia infinita, con i problemi degli immigrati, che deve avere soluzioni e risposte europee.
In Medio Oriente, la Siria è il caso emblematico più evidente, con una guerra civile che ha provocato 200.000 morti e oltre due milioni di sfollati, in tre anni e mezzo di scontri. In questo ambito il jihadismo cerca di imporsi come feroce denominatore comune, creando lo Stato islamico, assumendo un ruolo egemonico in quella parte di regione. Le tensioni a Gaza, fra palestinesi e israeliani fanno parte dell’eterno conflitto che non si riesce a comporre in via definitiva, ed ha causato fra luglio e agosto quasi duemila vittime palestinesi e cinquanta israeliani. Tensioni e morte sono ancora presenti in Afghanistan, in Pakistan, e nell’Estremo Oriente, nelle Filippine (oltre i difficili rapporti fra Cina e Giappone, e fra le due Coree) i gruppi islamisti dissidenti, rispetto al Fronte Moro, proseguono le stragi.
In Europa, l’Ucraina ha vissuto i mesi più sanguinosi dall’indipendenza nel 1991, con un conflitto costato oltre tremila morti e un milione di persone in fuga. In questi giorni si raggiunta un intesa fra i rappresentanti di Kiev, Mosca, separatisti filorussi e Ocse per la creazione di una zona cuscinetto, smilitarizzata, che in pratica significa un cessate il fuoco.
Ecco perché la “Giornata internazionale della pace” deve essere sostenuta con sforzi politici e diplomatici, da tutte la parti del mondo, è un bene prezioso, perché in queste condizioni sono ancora troppi che dicono: “Per chi è questa giornata?” Certamente non per chi vive il dramma dei conflitti in essere, nel nostro grande, ma piccolo pianeta, chiamato terra.
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