Arrivederci, Presidente Conte

Aldo Pirone - 14 Febbraio 2021

Ieri, 13 febbraio 2021, Conte ha lasciato anche formalmente Palazzo Chigi. Se n’è andato con dignità dopo aver servito l’Italia con onore ed efficacia nel momento più difficile della nostra storia dal dopoguerra in poi: la pandemia da Covid 19. L’ha salutato un lungo applauso dei dipendenti della Presidenza del Consiglio che m’è sembrato non convenzionale ma sincero riconoscimento a una persona perbene abbattuta da un’altra persona, Renzi, infido e malandrino come i suoi mandanti.

Ho apprezzato Conte anche per come ha agito con sobrietà e rigore patriottico dopo l’incarico a Draghi. Non s’è messo di traverso e ha aiutato il M5s a fare una scelta di responsabilità che, tra l’altro, mantiene e incoraggia l’alleanza progressista fra Leu, Pd e pentastellati ad andare avanti ma anche a rinnovarsi profondamente nelle condizioni inedite create dal governo Draghi.

Conte non ha mostrato rancore anche per il mancato conferimento del reincarico che il Presidente Mattarella poteva dargli dopo il primo giro di consultazioni evitandoci la pantomima dell’esplorazione di Fico, visto che c’erano stati molti consensi (Leu, Pd, M5s) e formalmente niente veti da parte di Renzi. Forse l’esito del passaggio a Draghi non sarebbe cambiato, ma il “Bomba” di Rignano avrebbe avuto il suo da fare a tenere unito il suo gruppo di fuoriusciti.

Il mondo del lavoro e tutti gli italiani hanno capito la fortuna, del tutto casuale, di avere avuto una persona onesta e capace alla testa del governo, mentre infuriava la pandemia. E hanno capito quanto di buono egli ha fatto per contribuire a rovesciare le politiche dell’austerity dell’Unione europea e convertirle in quelle della solidarietà, portando a casa l’aiuto economico più sostanzioso del Recovery Fund. Di qui la sua popolarità.

Ha fatto tutto bene e per il meglio? No, ha certamente commesso errori e ha sottovalutato molte cose, ma ha combattuto contro molti nemici: la destra acida e sguaiata sovranista e antinazionale di Salvini e Meloni, molti governatori di Regione di destra, ma non solo, preoccupati più del consenso elettorale e del proprio “particulare” che del bene pubblico, e molti avversari nell’establishment di lorsignori che con lui si sono sentiti fuori dai giochi e che lo hanno bombardato quotidianamente con la potenza di fuoco dei loro giornali e delle loro TV.

La politica e la storia non sono mai lineari e presentano sempre molte sorprese. Conte è una di queste. Nato come vaso di coccio fra Salvini e Di Maio nel governo gialloverde è diventato, dopo la rottura di Salvini, il punto di equilibrio più avanzato della coalizione giallorossa per poi aumentare di statura politica e istituzionale con la tragedia della pandemia. Oggi è un punto di riferimento imprescindibile dell’“Alleanza per la sostenibilità” come lui la chiama, cioè per la tenuta e lo sviluppo di un fronte progressista anti destra.

Perciò, quello di oggi non dovrebbe considerarsi un addio ma un arrivederci a tutti quelli che intendono proseguire nella battaglia di questi 16 mesi. Il sincero applauso che dalle finestre gli hanno tributato i dipendenti di Palazzo Chigi e la considerazione che hanno di lui gli italiani ci dicono che Conte è una risorsa quanto mai preziosa di rinnovamento per i progressisti, per la sinistra e per i lavoratori, per i ceti popolari e per l‘Italia.


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