Beata ignoranza

di Aldo Pirone - 2 Ottobre 2016

Com’è ormai noto il Presidente del Consiglio ha la battuta facile. Martedì scorso a Verona ha colto l’occasione del compleanno di Totti, che dio lo abbia in gloria, per fare lo spiritoso sulla Costituzione dicendo: “Oggi è il compleanno di Totti, che compie 40 anni e da quando Totti ha esordito in serie A sono cambiati quindici governi”. “Soltanto in Italia – ha spiegato – succede una cosa del genere, perché c’è il doppio voto di fiducia”. “Un meccanismo altalenante di complicazioni burocratiche” l’ha definito Renzi, aggiungendo che “bisogna farla semplice, giocare semplice”. Ha poi concluso: “Io penso che si debba cambiare, se invece qualcuno vuole restare nella situazione di oggi con 63 governi in 70 anni ha tutto il diritto di dire no”.

Matteo Renzi press conference, RomeOra delle due l’una: o Renzi non conosce la Costituzione e né la storia d’Italia, il che è più che probabile, oppure, come al solito, tende a fare il gioco delle tre carte, il che è non solo probabile ma anche certo.

Lasciamo stare l’espressione “complicazioni burocratiche” riferito a ruoli istituzionali delle due camere, che già di per sé la dice lunga sulla concezione sprezzante che ha il Presidente del Consiglio delle Istituzioni. Parole che ricordano espressioni consimili recenti di un grande corruttore della vita pubblica e veniamo al dunque.

Il numero dei governi non c’entra niente con il bicameralismo del voto di fiducia. Tanto è vero che non risulta che, ricevuta la fiducia da una Camera, uno dei 63 governi citati sia caduto per non averla ricevuta dall’altra. Semmai è vero che tutti i governi – a parte i due di Prodi che, solo, ebbe il coraggio di affrontare le Camere chiedendo una rinnovata fiducia – sono caduti fuori dalle aule parlamentari, quando è venuto a mancare l’appoggio di una delle forze che li sorreggevano, oppure perché caduti su qualche provvedimento importante bocciato dai parlamentari. Cioè per scontri politici, più o meno nobili, dentro alla coalizione e, quando c’era la DC, anche dentro il partito di maggioranza. Non è, quindi, la doppia fiducia il “meccanismo altalenante di complicazioni burocratiche”. Tanto è vero che la fiducia ai governi nascenti è sempre stata rapidissima.

Se poi si esamina la storia di questi 70 anni repubblicani ci si accorge che il numero dei governi, almeno fino al tracollo del sistema politico avvenuto nel ’92-’93 con tangentopoli, non fu per niente sintomo d’instabilità del sistema, anzi era dovuto proprio alla stabilità ingessata della democrazia italiana, dettata dalla guerra fredda e dalla divisione dell’Europa e del mondo in blocchi contrapposti. Forse Renzi avrà sentito parlare, almeno nella sua casa d’inossidabili democristiani, della “democrazia bloccata” oppure, se ha frequentato in quel di Rignano qualche vecchio comunista, della cosiddetta “conventio ad excludendum” che si esercitò nei confronti del PCI durante gli anni della cosiddetta Prima Repubblica. Furono 47 i governi di questo periodo di cui ben 44 serrati, chi più chi meno, alla partecipazione dei comunisti mentre erano imperniati e dominati dalla DC. I governi furono tanti, è vero, ma dentro un sistema di “democrazia bloccata” senza alternanza e senza alternativa. Perciò, a governare, erano sempre le stesse forze, più o meno, anche se con linee politiche diverse: un conto fu il centrismo, un altro il centro-sinistra prima fanfanian-moroteo e poi doroteo. Un monumento alla stabilità. Il povero Moro, che Renzi elegge a maestro nei giorni in cui gli conviene, provò a metà degli anni ‘70, insieme al leader del PCI Berlinguer, a sbloccare questa democrazia stabilmente ingessata per farla diventare “scorrevole”, cogliendo la sfida del “compromesso storico”, e mal gliene incolse. Contro quel tentativo si scatenarono, insieme, le forze del cielo e della terra e lui, per mano delle BR eterodirette, ci rimise la vita.

Poi, per dirla con Renzi, arrivò l’era Totti. Quella delle leggi elettorali maggioritarie, perché la causa di tutti i mali della Repubblica e del sistema politico, diventato corrotto all’ombra della non alternanza, fu individuata nel proporzionale che non consentiva ai cittadini di scegliere non solo la rappresentanza ma anche il governo, sottraendolo ai giochi partitocratici. La legge elettorale proporzionale fu abrogata a furor di popolo nel 1993. Cominciò l’era dell’alternanza, o meglio, visto come sono andate a finire le cose, dell’omologazione fra schieramenti che solo all’inizio furono alternativi per poi passare gradualmente e trasformisticamente ad essere consociativi nella sostanza dei comportamenti, delle scelte politiche, delle linee di politica economica neoliberiste all’italiana, della selezione, si fa per dire, della classe dirigente segnata, nel suo complesso, dal degrado morale, culturale e politico. I governi furono solo 16 in 23 anni; il che, di fronte ai precedenti 47 su 47 anni, segnò un certo miglioramento mentre i danni provocati, in particolare da soli cinque o sei di quei 16 (compreso quello attuale), furono molto maggiori dei precedenti 47.

Imputare alla Costituzione e non alle forze politiche, col loro sfarinamento in consorterie e bande armate, i problemi di stabilità dei governi, è una scemenza. Come lo fu averli imputati alla sola legge elettorale proporzionale. Più che “giocare semplice”, come invoca Renzi, sarebbe bello giocare bene e onestamente. Anche nei riferimenti storici.


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