Caino e Abele
È la vittima di Caino che ancora aspetta giustiziaSergio D’Elia è stato un ex terrorista “rosso” di “Prima linea” che, però, non ha mai ucciso nessuno, anche se si è assunto la responsabilità politica e morale delle uccisioni fatte da quel gruppo terroristico. Ha scontato con 12 anni di carcere il suo debito con la giustizia. Poi, accolto dai radicali italiani, è stato eletto in Parlamento nel 2006-2008. E’ segretario dell’Associazione “Nessuno tocchi Caino” appartenente alla galassia radicale che opera per l’abolizione della pena di morte nel mondo ed è attiva anche contro la tortura e per i diritti umani dei detenuti.
D’Elia non ha preso per niente bene la decisione della Francia di arrestare per riconsegnarli all’Italia i sette terroristi, suoi ex colleghi, ospitati in quel paese e sottrattisi alla giustizia italiana: Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi delle Brigate Rosse; Giorgio Pietrostefani di Lotta Continua, Narciso Manenti dei Nuclei Armati contro il Potere territoriale; altri tre, Luigi Bergamin, Maurizio Di Marzio e Raffaele Ventura si sono resi latitanti. L’esponente radicale ha così commentato la cosa: “La decisione è anacronistica. Il corso della giustizia ha superato ogni limite di ragionevole durata, non segue la freccia del tempo a dimensione umana, è volto a un infinito passato remoto. Dieci persone sono tradotte in Italia a scontare una pena inutile, inumana, fuori dal tempo. È una pena che si sconta all’incontrario rispetto al corso del tempo”.
Secondo D’Elia, in sostanza, il tempo che passa lava ogni colpa, per cui chi “ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato scurdammoce ‘o passato” come diceva una celebre canzone napoletana del dopoguerra. Il che potrebbe valere, perché no?, anche per quei criminali nazisti, pochi purtroppo, che furono presi, giudicati e condannati a distanza di decine di anni dagli assassini compiuti. D’Elia chiama questa giustizia, purtroppo ritardata, “memoria maledetta […] che danna fino alla morte l’autore del danno”. Sfugge del tutto a D’Elia che codesti assassini se la sono squagliata a suo tempo per non pagare con le pene dovute i delitti commessi, godendo di molti decenni di vita in libertà che, invece, non concedettero alle loro vittime.
Il giudizio storico e politico sul fenomeno del terrorismo “rosso” che negli anni ’70-’80 ha insanguinato l’Italia e pesantemente condizionato in senso negativo la democrazia, la sinistra e il movimento operaio, è stato sviscerato in articoli e libri che hanno riempito intere biblioteche. Una cosa fu subito chiara già allora: il movimento armato non fu per nulla politicamente diretto, come diceva di sé, contro lo “Stato capitalista delle multinazionali”, mentre fu abbondantemente infiltrato dai servizi segreti deviati italiani e da quelli esteri dei blocchi contrapposti che lo usarono contro “i comunisti berlingueriani”, come venivano chiamati i militanti del Pci dai terroristi nei loro demenziali proclami, in agghiacciante assonanza con quel “comunisti badogliani” espressione usuale dei nazifascisti al tempo della Resistenza. I terroristi “rossi” non furono la talpa della rivoluzione proletaria e le gallerie che scavarono sono state quelle, tutto sommato, volute da lorsignori in Italia e all’estero.
Ma qui non è in discussione il giudizio storico e politico sul terrorismo “rosso”, qui è in questione la giustizia legale che non prevede la decadenza per i delitti efferati come il terrorismo, le stragi e la mafia e le conseguenti pene per i suoi autori. Perché, egregio D’Elia, se è vero che nessuno deve infierire su Caino è altrettanto vero che non bisogna dimenticarsi di Abele.
E qui è Abele, vittima di Caino, che ancora aspetta giustizia.