Contratti a termine

di Aldo Pirone - 21 Giugno 2016

 

Giovedì scorso a “8 e mezzo” della Gruber era di scena l’on. cittadino Alessandro Di Battista del M5S. A fare da commentatori e interroganti c’erano i giornalisti Ilvo Diamanti e Massimo Franco. L’argomento primo è stato l’assassinio della deputata laburista in Inghilterra e il clima di odio che lo ha innescato. Un clima che, come sempre accade in qualunque scontro politico condotto al calor bianco, accende le menti più deviate e fanatiche con conseguenze a volte tragiche.

Alessandro Di Battista

A un certo punto, essendo passati a trattare delle elezioni amministrative, Massimo Franco ha chiesto al “Diba” del contratto fatto firmare ai candidati romani del M5S. Come funzionava e perché non era stato adottato dal Movimento anche a Torino. Il deputato pentastellato ha risposto che, visto il trasformismo imperante nella politica italiana – a livello parlamentare, ha ricordato, il terzo gruppo è diventato (alla faccia del maggioritario n.d.r.), il gruppo misto – il contratto era un modo per tentare di contrastare transumanze che rinnegassero il mandato ricevuto dagli elettori. Il tema del rispetto del mandato non è nuovo storicamente. I movimenti della sinistra rivoluzionaria nei momenti caldi – dalla Rivoluzione francese alla Comune di Parigi fino alla Rivoluzione russa nelle sue varie fasi, compresa la prova generale del 1905 – hanno sempre propugnato, giovandosene, organismi rappresentativi della più varia natura fondati sui cosiddetti delegati delle assemblee rivoluzionarie, revocabili se non facevano quello per cui erano stati eletti. Poi però, almeno in Europa occidentale, le vicende storiche, grandi e drammatiche, del novecento, hanno acquietato gli animi e la sinistra comunista e socialista di antica vocazione rivoluzionaria ha preferito acconciarsi a lavorare – fu l’ultimo consiglio di Engels – sul terreno parlamentare rappresentativo tramite l’organizzazione di forti e strutturati partiti di sinistra non affetti, anche in Italia, se non marginalmente, dal tarlo trasformistico.

Oggi che il tarlo è ridiventato una pantegana, il M5S – dice il “Diba”- intende escogitare qualche strumento di autodifesa, in attesa di introdurre nel regime parlamentare il vincolo di mandato per i rappresentanti del popolo.

L’intenzione antitrasformistica è lodevole. Di Battista, poi, ha riconosciuto che è solo uno strumento relativo, provvisorio e volontario. Quello che però emerge con evidenza, dallo strumento in discussione, è l’intima debolezza culturale del Movimento. La coesione e l’impermeabilità al trasformismo, ai salti della quaglia interessati, alle transumanze nelle istituzioni dietro compenso, non si combattono con i contratti firmati dal notaio. Se vi si ricorre si confessa implicitamente di non essere sicuri di se stessi, di non avere ancora risolto il tema, per nulla secondario, di una solida formazione dei propri quadri, soprattutto dello strato intermedio che, come diceva Gramsci, doveva fortemente connettere il gruppo dirigente nazionale alla massa dei sostenitori e degli aderenti, cioè, diremmo oggi, agli iscritti e agli elettori. E di conseguenza di non avere risolto il problema di una selezione altrettanto solida della propria rappresentanza politica. In altre parole, permane debole la costruzione di un idem sentire nutrito da forti motivazioni ideali che più che da una firma notarile può venire solo da una comune visione della società e persino della vita e del mondo in generale: i tedeschi la chiamano weltanschauung (Concezione del mondo, della vita, e della posizione in esso occupata dall’uomo). Tutto ciò non può essere sostituito dal feticcio della democrazia diretta attraverso la rete. Può essere solo il prodotto del fare politica secondo un’idea e una prassi, in senso gramsciano, di trasformazione sociale, non per costruire una società altra, ideale e perfetta, come utopisticamente si pensava una volta, ma per cambiare in meglio quella che c’è, facendola aderire il più possibile ai valori e ai princìpi della Costituzione. L’uso della rete può aiutare ma non è esaustivo né sostitutivo di tutte le altre attività e modi di vivere l’azione sociale che, per l’appunto, si chiama politica. Il M5s ha avuto indubbiamente un merito: riscoprire la figura del cittadino, le citoyen, che in Italia, che non è la Francia, non è mai stato, perfino nella psicologia nazionale, una figura forte rispetto allo Stato. Un cittadino che, però, non sia astratto e avulso dal contesto dei rapporti sociali e di classe, al quale è indispensabile riferirsi, come dice la Costituzione, “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2), per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3).

E’ nella lotta per inverare questo intreccio costituzionale fra libertà formale e sostanziale, fra uguaglianza davanti alla legge e uguali possibilità nella vita sociale, che occorre trovare quelle solide motivazioni ideali e culturali che cementano, ben oltre la sola e sicuramente indispensabile onestà, una compagine politica che vuole combattere illegalità e privilegi. La weltanschauung non può essere sostituita dai contratti.

Sarebbero dei contratti inevitabilmente a breve termine.

Timbrificio Centocelle

 


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