Il dolore autoreferenziale
GiProietti - 29 Aprile 2021
Lungi da me mettermi a giudicare i nostri modi di vivere ed esternare sentimenti profondi: affetti, amicizie, passioni, dolori.
In questo periodo purtroppo, chiusi in casa, costretti a non frequentarci direttamente e di persona, siamo condizionati, influenzati dalle notizie non belle che riceviamo (ricoveri, malattie gravi, annullamenti di feste,..), indirizzandoci verso uno stato d’animo cupo, addolorato, senza sorriso.
E i nostri atteggiamenti a lavoro, nel campo sociale e politico, nelle non molto frequenti uscite all’aria aperta, si induriscono, ci rendono grigi e timorosi, di perdere le nostre solide convinzioni conquistate negli anni vissuti, e affrontiamo soprattutto il dolore, delle malattie e delle morti dei nostri amici e parenti, in modo troppo sordo e passivo, arrendevole e muto.
E le lotte passate, per conquistare posizioni più alte e importanti, che fine hanno fatto? Che resta di esse?
Allora ci si rende conto che bisogna arroccarsi, reagire, cancellare il contesto complesso e difficile creato dalla pandemia, tanto più arduo da gestire quanto più le verità profonde vengono ignorate e non capite, a favore di semplificazioni piatte e alla portata di tutti, per avere consenso.
Il potere è salvo, andiamo avanti così, prendiamo tempo e, se arrivano i vaccini, siamo salvi nei nostri scranni e la vita continuerà come sempre…
Allora da una parte i problemi complessi inevitabili vengono affrontati dai pochi uomini geniali e preparati a disposizione (e si rischia di affidare tutto a pochi, per impreparazione e ignavia degli altri), dall’altra noi mediocri, mezze cartucce che arrivano a trattare banalmente e piattamente le scaramucce di paesetti, approfittiamo di tutte le avversità, dei dolori più comuni, di una morte di una persona non anziana, conosciuta nella pratica normale della gestione normale del potere… e ne approfittiamo.
E allora la nostra partecipazione al dolore è unanime, numerosa, quasi martellante, i manifesti necrologici vengono pubblicati in 30/40 comuni, il funerale è una dimostrazione secca e palese del forte sistema di cui si fa parte, è un atto di autoreferenzialità di cui la coscienza delle nostre inadeguatezze, più evidenti dopo il Covid, ha bisogno, per ricompattare le nostre inadeguatezze.
E il dolore vero dei pochi amici veri si ferma all’ultimo banco, cercando di non perdere il legame con la vita vera, quella che ci assicurerà il futuro e la nascita di nuovi politici preparati e adeguati.

Gli sono stato vicino al mio carissimo figlioccio, all’ultimo banco della chiesa, abbiamo pregato insieme e poi sono andato via, senza salutare le decine di politicanti che, tronfi, si sorridevano e parlavano delle semifinali delle coppe europee.
La vera epidemia dove sta? Non certo nell’ospedale del Sud Sudan dove lavora da anni il mio figlioccio.
Lì l’autorefenzialità non serve.