Il mistero di come si spendono i soldi nella scuola italiana

Il problema non è solo la mancanza di risorse economiche, ma come si utilizzano. Il confronto sui fondi per la programmazione didattica in ITIS per la chimica e le altre scuole superiori di secondo grado è particolarmente istruttivo

In un suo recente convegno, Treelle (Trelle.org) armonizza le sue tesi intorno a quelle di Ichino – e tanti altri dell’UE, sostenendo che il problema italiano è quello di spendere male i soldi che ci sono e non di averne bisogno di altri. Chiedere più soldi non ha granché senso se non si capisce come si spendono quelli che già si hanno. E questo è indubbio.

Nel recente intervento “Il maggior investimento in Italia è sull’ignoranza! La verità dei numeri“, abbiamo perorato la causa dei pochi finanziamenti alla scuola, nel senso che le attuali politiche preferiscono spendere poco e per obiettivi: soltanto per alcune scuole, in alcuni territori e affrontando di volta in volta la scelta più sostenibile (politicamente). Questo vuol dire spendere bene? Spendere in modo mirato? Differenziato?

Consideriamo un caso molto istruttivo sul “come”, oggi, si spendono i soldi per l’istruzione.

Consideriamo i fondi pubblici per il “funzionamento didattico”, esattamente così com’è rappresentato nel Programma annuale (Bilancio dello Stato per la scuola). Essi sono destinati alla didattica e quindi all’acquisto dei materiali didattici necessari alla programmazione. Per l’esempio in questione, limitiamoci alle scuole superiori. La programmazione didattica prevede anche l’uso dei laboratori, soprattutto, negli istituti tecnici e professionali. Ebbene, il finanziamento per il funzionamento didattico delle scuole superiori è uguale per tutti gli indirizzi e tipologie di scuole. Questo vuol dire che, dal punto di vista delle attività laboratoriali, un liceo linguistico è identico a un liceo per le scienze applicate e a un classico, inoltre sembra che un liceo classico sia identico a un tecnico e a un professionale, un tecnico per l’informatica a un professionale odontotecnico, un ottico o un professionale per l’arte grafica e un tecnico industriale o un liceo scientifico a un tecnico per la chimica.

Ed è questo il punto.

Come si può pensare che un laboratorio di fisica abbia costi identici a un laboratorio di chimica e che un laboratorio di chimica di un Liceo (dimostrativo) abbia lo stesso costo di un laboratorio di chimica di un ITIS per la chimica?

Chiunque abbia avuto a che fare con un istituto chimico sa perfettamente che i laboratori per la chimica sono un pozzo senza fondo, un buco tra i più neri dell’universo-scuola; tra sensori del gas e manutenzioni, tra provette e vetrine, tre reagenti e solventi, tre cappe e scarichi, senza parlare delle strumentazioni, ecc…

Il caso della chimica è particolarmente istruttivo. Il fatto è che la politica ambientale dell’ultimo cinquantennio ha bandito la chimica da ogni sistema ecologico protetto. Ogni considerazione sull’inquinamento, sul danno biologico (pensiamo a quello farmacologico) ed ecologico (petrolio e nucleare), è collassata sulla chimica velenosa e colpevole dei disastri ambientali. Naturalmente, sappiamo bene che esiste anche la “chimica verde” e che la maggior parte dei prodotti che usiamo quotidianamente sono controllati e rappresentano l’unica soluzione allo sviluppo tecnologico possibile e sostenibile.

Basti pensare alla scoperta di nuovi materiali, alle biotecnologie (ambientali e sanitarie) e alle nanotecnologie. Ciò nonostante, negli anni ‘90 e nel primo decennio del 2000 molte aziende chimiche hanno chiuso e le iscrizioni ai grandi istituti tecnici per la chimica sono diminuite (molto più di quel che già avveniva negli altri settori). Sviluppo zero e politica educativa ostativa.

Nella sola Roma, istituti tecnici per la chimica come il “Lagrange” e il “Bernini”, con impianti laboratoriali – quasi industriali – eccellenti e storici, sono andati pian piano morendo. Oggi nel 2014 resta solamente il “Giovanni XXIII” a tener duro. È l’ultimo dei Mohicani! Non è giusto che l’offerta formativa sul territorio romano si limiti a questo tentativo di sopravvivenza. Non è giusto per la chimica e neanche per la formazione delle future generazioni, che vede comunque i periti chimici in pole position nelle assunzioni. Senza finanziamenti mirati all’acquisto e l’aggiornamento delle necessità laboratoriali è difficile collaborare con le aziende o fare una buona didattica mirata a sviluppare le competenze.


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