In Italia non “è la stampa bellezza!”

L’informazione malata. L’alluvione dei talk show. Nuove concentrazioni editoriali nei giornali e nei libri
di Aldo Pirone - 23 Marzo 2016

In questi giorni nei cinema sono in programmazione due film molto belli: “Il caso Spotlight” e “Truth – il prezzo della verità”. Narrano due fatti realmente accaduti, due inchieste giornalistiche che negli Stati Uniti fecero scalpore. I due film si inseriscono nel filone hollywooddiano dell’impegno civile e del giornalismo d’inchiesta. Nella carta stampata come nella TV. Un filone di grande successo.

Truth_Art_Italia_PosterReleaseChi non ricorda “Tutti gli uomini del Presidente”, con Robert Redford-Woodward e Dustin Hoffman-Bernstein, sull’inchiesta del “Washington Post” nel “Watergate” che costrinse il Presidente Nixon alle dimissioni? Quel film, come altri simili, faceva riecheggiare come vero il grido di Humphrey Bogart, “E’ la stampa bellezza!”, urlato al telefono contro il potente malavitoso di turno, in un altro capolavoro degli anni ’50: “L’ultima minaccia”. “E tu non puoi farci niente! Niente!”, aggiungeva Ed Hutcheson-Bogart, facendogli ascoltare il ruggito della rotativa; un rumore di libertà contro i soprusi.

Spotlight-Image-1Dopo aver visto “Spotlight” e “Truth”, esci dal cinema e subito ti assale il paragone: qui in Italia inchieste giornalistiche di quel tipo sarebbero impensabili perché tra le molte afflizioni della democrazia italiana quella dell’informazione malata è di tutto rilievo.

Da una parte, sulle TV, siamo alluvionati a tutte le ore, dalla mattina a notte fonda, dai talk show politici, dove si avvicendano, come se niente fosse, sempre i soliti politici, anche quelli più screditati e inguaiati da inchieste giudiziarie e scandali, la cui missione principale è diventato l’andare in onda per rimanere a galla.

porta-a-porta-renziLi vedi pontificare sull’universo mondo, sprofondati in poltrona come a “Porta a porta” vezzeggiati dal solito Vespa, oppure occhieggiare da “La Gabbia”, “Quarto grado”, “Quinta colonna”, “Ballarò”, “Di martedì”, “Virus”, “L’aria che tira”, “Coffee break”, “Tagadà” ecc. A volte, nelle trasmissioni più hard, per fare audience, sono messi in contatto diretto con folle vocianti, esacerbate, rancorose. Il loro soggetto preferito è l’io: “Io ho detto, io ho fatto, ma quanto mi sono sacrificato, a quanto ho rinunciato” e via martirizzandosi. E allora ti domandi: ma come fanno questi a governare, se impiegano tutto questo tempo per stare davanti alle telecamere.

Infatti, non governano, recitano. Dall’altra parte i grandi organi della carta stampata seguono, prevalentemente, come segugi da riporto, quel che succede nel palazzo. I pezzi forti d’informazione politica sono diventati i cosiddetti “retroscena”, che hanno sempre l’aria di chi ti dice come stanno effettivamente le cose dietro le apparenze.

I maggiori fornitori dei “retroscena”, che poi sarebbero dei “retrobottega”, sono gli stessi politici che affidano a questi canali le loro miserie politiche, le piccole vendette sull’avversario, i messaggini in codice mafioso, i depistaggi sulle loro malefatte. Il capo del governo ha i suoi reporter di fiducia tramite i quali fa trapelare i suoi desiderata.

Il giornalismo d’informazione fatto di ruvide inchieste sulla società e sullo scorticamento del potere, è diventato una rarità. In TV resistono Iacona e la Gabanelli, nella carta stampata “l’Espresso”, il “Fatto quotidiano” e poco altro. “la Repubblica” di Carlo De Benedetti, dopo aver fatto fuoco e fiamme contro Berlusconi e il berlusconismo, ora che il suo editore ha appianato le controversie giudiziarie con il cavaliere a suon di milioni, ben 494, di risarcimento per la sottrazione con corruzione della Mondadori da parte dello statista di Arcore, sembra, nei confronti del renzismo, come anestetizzata dal nuovo direttore Mario Calabresi. D’Avanzo con le sue domande imbarazzanti  non c’è più, purtroppo, a sostituirlo c’è un Merlo dedito al lavoro di copertura più che di scopritura. Eugenio Scalfari, che ne fu il fondatore, appare ogni domenica di più una vox clamantis in deserto.

Dar Ciriola

Una volta erano i giornali dell’opposizione a svolgere, con tutti i loro limiti, una funzione d’informazione sulle porcherie dei governi e del potere. “Paese sera”, fra i quotidiani collegati al PCI, faceva testo e fece scuola di giornalismo. “Stai attento che lo dico a Paese sera” era, a Roma, l’avvertimento liberatorio della povera gente in cerca di giustizia e in lotta contro i soprusi del potere. La stessa cosa con “l’Ora” a Palermo. “l’Unità” dal canto suo, pur con tutte le sue partigianerie derivanti dall’essere organo del partito comunista all’opposizione, fu bandiera dei lavoratori italiani fin dalla lotta clandestina antifascista, prima di essere ridotta oggi a velina quotidiana del capo del governo. Ma anche altre testate politiche, come “l’Avanti” socialista e la rivista liberaldemocratica “il Mondo”, con la togliattiana “Rinascita”, fecero con i loro approfondimenti culturali da contraltare al potere dominante.

Anche nei giornali di governo non mancavano le schiene dritte: Montanelli, Gorresio, Bocca, Biagi non erano servitorelli sciocchi del potere, ma delle proprie idee liberali, democratiche o liberalsocialiste che fossero. Erano grandi firme e l’autonomia e l’indipendenza se la potevano permettere. Non per niente quando è mutato il mondo e in Italia, caduti i partiti che avevano costruito la Repubblica democratica, sono arrivati Berlusconi e il berlusconismo, gli furono fieramente avversi. Cordialmente ricambiati dal Cavaliere.

Altri tempi, altre tempre di giornalismo, altra cultura.

Oggi l’informazione italiana è sempre più dominata dai poteri forti oligofinanziari, nuove concentrazioni editoriali vanno addensandosi come quella fra “la Stampa” e il gruppo “Espresso-Repubblica”. Dopo il “pensiero unico” avremo il “giornale unico”. Nell’editoria libraria con l’acquisizione della Rizzoli da parte della Mondadori rischiamo il “libro unico”.

Nella Tv c’è già il “duopolio del Nazareno”, con qualche isoletta di resistenza in via di eliminazione. Fuori dal coro c’è “La7”. Non sorprende, quindi, che i fatti e i fattacci del potere politico, gli scandali, le malversazioni, le corruzioni, in una parola gli intrighi di una politica malata e di una classe dirigente decadente e devitalizzata, li tiri fuori, prevalentemente, la Magistratura. Giornali e TV ci fanno solo i titoli sopra. Perché troppo occupati a fare quelli di coda al potentato di turno.

E allora ti rituffi nel cinema di Hollywood.


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