La danza dei femminicidi
28 anni per risolvere (forse) l'omicidio, di Nada Cella. Un delitto misterioso, meglio un "Mistero di Provincia" che forse avrà un colpevole25 Novembre 2024:un video da vedere e su cui meditare a lungo (soprattutto noi maschi)
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“Nada Cella, 24 anni, la mattina di lunedì 6 maggio 1996 si trova sola nell’appartamento di via Marsala a Chiavari (Genova), dove è impiegata come segretaria presso lo studio di un commercialista, Marco Soracco. Poco dopo le 9 il principale, che nel frattempo ha raggiunto anche lui l’ufficio, l’ha trovata distesa a terra nella sua stanza, in un lago di sangue. E’ ferita in varie parti del corpo e ha il cranio fracassato. Trasportata d’urgenza all’ospedale da un volontario della Croce Verde suo amico d’infanzia, non è sopravvissuta ai colpi che le sono stati inferti. Sul luogo del delitto non sono stati trovati indizi da cui partire per le indagini. Tutto è in ordine, non ci sono né orme né impronte, non si è trovato nemmeno l’oggetto con cui la ragazza è stata ferocemente aggredita”. (“Chi L’Ha Visto?”- RAI 3, Stagione 1996 /1997, Scheda sul Caso di Nada Cella)
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“Io me lo ricordo il signor Bruno. L’ho conosciuto e intervistato anni fa, quando facevo un programma in televisione che raccontava delitti irrisolti. Mi ha parlato di sua figlia Nada Cella, trovata morta nello studio del commercialista in cui lavorava, a Chiavari, in provincia di Genova, la mattina del 6 maggio 1996.” (Carlo Lucarelli, La Repubblica, 2 Marzo 2023)
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Si sa che gli omicidi non vanno mai in prescrizione e che la caccia all’esecutore/agli esecutori di un omicidio non ha mai fine. Mi spiego meglio. Secondo la Legge (Articolo 157 Codice penale, punto 8.) la prescrizione non estingue i reati per i quali la Legge stessa prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione delle circostanze cosiddette aggravanti. Ovvero, non si estingue mai il delitto, per così dire aggravato, sanzionabile, anche in astratto, con il carcere a vita, a prescindere dal fatto che poi, in concreto, il Giudice voglia comminare, e in effetti commini, una pena anche minore, ad esempio, 30 anni di reclusione.
A titolo di esempio, l’omicidio commesso con premeditazione è punito con l’ergastolo (occorre ricordare che ergastolo vuol dire che sul Fascicolo penitenziario del condannato a quella pena detentiva, un timbro reciterà: “fine pena mai”). Questa imprescrittibilità del delitto di omicidio significa che il colpevole potrà essere processato e punito anche a distanza di molti anni da quando ha commesso l’assassinio.
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Esattamente questo è il caso del quale leggerete qui. La vittima è una donna, ma non si tratta di un femminicidio nel senso classico del termine, anche se lo si può considerare una variante di questa categoria di delitti in quanto, a 28 anni di distanza da quel 6 Maggio del 1996, una donna viene, in questi giorni, rinviata a giudizio con l’accusa di essere la killer della vittima, in concorso con altri due imputati, accusati di “favoreggiamento” e “false dichiarazioni” e il movente è certamente da ricercare nella gelosia.
Per questo ho pensato di scriverne oggi, 25 Novembre 2024, “Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne”, ma anche giorno in cui il contatore dei femminicidi, purtroppo, non si ferma e arriva a segnare il numero di 91 donne uccise “a far data” – come si dice in gergo burocratico – dal 1° Gennaio di quest’anno.
Solitamente, l’autore di un femminicidio (marito, compagno, amante, ex) è immediatamente individuato o perché si consegna alle Forze dell’Ordine, o perché viene catturato, o ancora perché si suicida, subito dopo avere compiuto l’omicidio della donna. In questo caso non abbiamo nessuna delle tre ipotesi che precedono, ma il killer di quella donna, una giovane ragazza 24enne, resterà sconosciuto per ben 28 anni e solo ora si ipotizza trattarsi di una donna che conosceva la vittima ed era gelosa del suo lavoro ma anche – e soprattutto – del suo datore di lavoro, il Commercialista chiavarese Marco Soracco, essendone – ci dice la cronaca – innamorata.
Ma vediamo meglio i fatti. Facendo, a suo modo, la storia di quel delitto, in una delle puntate della sua Trasmissione intitolata “Mistero in Blu” andata in onda sul Terzo canale RAI il 17 Febbraio 1998, Carlo Lucarelli, scrittore, giallista, sceneggiatore e conduttore televisivo di Programmi crime, lo definì un “Mistero di Provincia”, “Una storia di gente per bene, di gente alla buona” che però, al suo interno, continuava Lucarelli – “nasconde un feroce assassino, capace di un omicidio di estrema violenza” un omicidio che – dirà ancora lo Scrittore – per la sua ferocia potrebbe essere uscito dalla penna di uno dei più noti giallisti italiani, Giorgio Scerbanenco (1911-1969), di origine ucraina ma milanese d’adozione che i suoi Romanzi gialli li ambientava tutti nella città della Madonnina; un delitto che però purtroppo non è frutto della fantasia di uno scrittore, essendo realmente accaduto 28 anni fa, il 6 Maggio del 1996, un Lunedì.
Dunque, prima di tutto, la location: Chiavari (Genova) Via Marsala, 14. Un Palazzo come tanti. Un Condominio di gente per bene. Un Condominio dove – come dicono gli inquilini – “le porte non si sbattono per principio”. Ma quel 6 Maggio di 28 anni fa, un Lunedì, tutto comincia con un rumore (attenzione: in questa storia i rumori sono importanti) un tonfo sordo che l’inquilina del piano di sopra sente distintamente.
La signora guarda l’orologio e sono le nove e un minuto, ma poi si dimentica di quel rumore: qualcosa è certamente caduto dalle mani della Segretaria del Commercialista del piano di sotto.
E poi c’è il rumore di una porta che sbatte; rumore che alcuni inquilini sentono ed altri no, in un Condominio dove – come dicono gli inquilini – “le porte non si sbattono per principio. E poi c’è il rumore delle tapparelle della stanza di lavoro di Nada Cella che la ragazza alzava quando era in Ufficio, rumore che quel Lunedì 6 maggio nessuno ha sentito. Insomma quel 6 Maggio di 28 anni fra quei rumori sono la colonna sonora di un delitto.
Intanto, la porta dell’appartamento in cui c’è stato quel rumore sordo si apre. Ad aprirla è Marco Soracco, che in quell’appartamento ha il suo Studio di Commercialista. Quella mattina, poco dopo le nove, Soracco apre dunque la porta dell’appartamento e si rende conto che la sua segretaria, Nada Cella, 24 anni (anzi, quasi 25) è già arrivata in ufficio, perché la luce del corridoio è accesa e quella luce di solito è accesa quando ci sono dei clienti. Soracco entra nel suo Studio e il telefono squilla. Nada non risponde allora lui alza la cornetta ma non sente nessuna voce dire alcunché dall’altro capo del filo.
Pensa ad un fax in arrivo, e allora va nella stanza di Nada e la trova a terra, rantolante e in un lago di sangue. Allora chiama il 113 e poi chiama la madre, Marisa Bacchioni, che abita con lui al piano di sopra, e la donna scende con la zia a vedere cosa sia successo. Intanto arriva l’ambulanza mandata dal 113: sono le 9,20 di Lunedì 6 Maggio 1996. La ragazza – le cui condizioni appaiono subito gravi – viene caricata sul mezzo di soccorso e portata in Ospedale.
In Ospedale – nonostante i Medici tentino un intervento chirurgico disperato e successivamente alcuni interventi di rianimazione, altrettanto disperati – alle 14,10 di quel 6 Maggio 1996, Nada Cella muore, a causa dei violenti e ripetuti traumi al capo che ha subito.
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Sulla dinamica del suo omicidio, in tutti questi anni, sono state formulate solo ipotesi, ecco la più accreditata, proposta sulla base degli elementi al tempo raccolti dagli Inquirenti e dalle indagini svolte, pochi i primi e frettolose le seconde: la ragazza arrivò nello Studio di Commercialista, dove lavorava da cinque anni, pochi minuti dopo le 8,30, come faceva ogni giorno. Una mezz’ora dopo aprì la porta a qualcuno e fu colpita da almeno 15 colpi, alla testa e al ventre.
Le Forze dell’Ordine, intervenute poco dopo, devono intanto allontanare una piccola folla di inquilini del palazzo che si è fermata davanti alla porta dello Studio Soracco. Nel raccontare di quell’assembramento Carlo Lucarelli lo paragona ad una pagina del “Pasticciaccio Brutto” di Carlo Emilio Gadda.
Entrati nell’appartamento, gli investigatori non pensano subito ad un delitto e quindi la scena del crimine viene contaminata, senza contare che i barellieri per soccorrere Nada avevano spostato la scrivania e che la madre del commercialista aveva, in precedenza, lavato sia la stanza di Nada che le scale del Palazzo, sporche del sangue della ragazza. L’idea è che la ragazza sia caduta e, sbattuta violentemente la testa, sia morta per il trauma. Ma – come avete letto – quella morte non è dovuta ad un incidente ma ad un omicidio, come costateranno i Medici dell’Ospedale dove la ragazza è stata portata in gravi condizioni, dopo aver esaminato il suo corpo, post mortem.
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Per tutti questi anni quello dell’assassinio Nada Cella resta un caso insoluto e con il passare del tempo diventa un “cold case”, ovvero un “caso freddo”. Ora, dopo 28 anni, la svolta nelle indagini, la riapertura delle quali si deve alla Criminologa Antonella Delfino Pesce che ha indagato il Caso per tutti questi anni ed ha evidenziato i pressapochismi e le manchevolezze delle indagini condotte al tempo del delitto, collegando fatti e testimonianze e così favorendo la riapertura dell’Inchiesta giudiziaria. (*)
A Marzo scorso, la GIP Angela Nutini aveva prosciolto gli indagati avendo giudicato gli elementi raccolti dalla Procura solo come “sospetti” e che da soli non potevano “portare a formulare una ragionevole previsione di condanna”, come vuole la Riforma della Giustizia firmata da Marta Cartabia. Visto il quadro probatorio “contraddittorio e insufficiente”, il Processo sarebbe stato, di fatto, “inutile”. Rispetto a questa decisione la PM Gabriella Dotto presenta però Ricorso in Appello contestando un lungo elenco di sviste ed errori della GIP che, per la Procura, sono veri e propri «travisamenti e ripetute omissioni».
Perché c’era stato il Ricorso della PM? Perché nella vicenda processuale er intervenuta la ricostruzione scientifica proposta dalla Dottoressa Delfino Pesce – che era arrivata a lavorare su quel delitto quasi per caso, ma aveva costruito con la madre di Nada, Silvana Smaniotto-Cella, oggi 83enne, un solido rapporto di stima e di amicizia – ricostruzione che si è rivelata determinante per arrivare alla riapertura delle indagini.
Si è trattato di una ricostruzione accurata che evidenziava le incongruenze delle vecchie indagini e collocava al posto giusto nuovi pezzi del puzzle di quel delitto. Vediamone solo alcune: Anna Lucia Cecere al tempo indagata non venne interrogata. Inoltre, nessuno raccolse, come si dice, “a Verbale” le dichiarazioni di un Maresciallo dei Carabinieri. Amico della Cecere, con il quale subito dopo il delitto, la donna ebbe una lunga telefonata.
E ancora, c’è la testimonianza di una vicina di casa della Cecere che parlò ai Carabinieri delle confidenze fattele dalla Cecere stessa su Nada Cella, di cui era gelosa e del sentimento che provava per Soracco. E infine, c’è la questione dei cinque bottoni con una scritta identica a quella del bottone ritrovato sul luogo dell’omicidio, sotto il corpo di Nada Cella, bottone ricoperto di sangue. Di quel bottone, al tempo delle indagini, verrà effettuata una comparazione con gli altri, ma solo in fotografia che porterà ad un esito negativo.
Altri fatti strani del “Caso Nada Cella”
Due mesi e mezzo prima dell’omicidio di Nada alla bicicletta con cui la ragazza andava al lavoro viene fracassato il fanalino. Poi la 500 rossa di Nada viene rubata, anche se è ritrovata poco dopo. Ancora, nella borsa della ragazza, che viene restituita dalla Polizia ai genitori, viene trovato il su libretto di lavoro, solitamente custodito dal datore di lavoro: dunque, Nada voleva andarsene dal lavoro o era stata mandata via dal Soracco?
La ricostruzione proposta ha convinto la Procura a riaprire le indagini e infine, recentissimamente, a rinviare a giudizio Anna Luisa Cecere, ex Insegnante oggi 59enne, (che era stata vista da una testimone uscire dal Palazzo di Via Marsala,14, poco dopo le nove di quella mattina ed era stata scambiata per Nada Cella, essendole molto somigliante) per “omicidio volontario” e Marco Soracco, oggi 61enne, e la madre, Marisa Bacchioni, oggi 94enne, per “favoreggiamento” e “false dichiarazioni”.
Il movente – come ho ricordato in precedenza – sarebbe stato la gelosia che la Cecere provava nei confronti di Nada Cella e per il lavoro della ragazza (che avrebbe voluto per sé) e per il fatto che era innamorata del Commercialista, il quale, in passato, aveva corteggiato la sua dipendente, peraltro non ricambiato, al punto tale che Nada aveva confidato alla madre – piangendo – di non voler più andare a lavorare in quello Studio).
Dunque, la Cecere sarebbe stata la killer della ragazza assassinata, mentre Soracco e la madre avrebbero coperto il delitto, ma tutti e tre si sono sempre dichiarati innocenti. Dunque – come accade nelle crime-story della Serie TV “Cold Case”, ora il contenitore con gli Atti e le prove delle indagini sul “Caso Cella” può essere riposto in Archivio e la parola può passare al Tribunale.
(*) A Giugno di quest’anno è stata pubblicata la notizia secondo cui sarebbe stata presentata, presso la Procura della Repubblica di Marsala, un’Istanza di riapertura delle indagini sul caso di Denise Pipitone, la bimba scomparsa a Mazara del Vallo il 1° Settembre del 2004. Tra gli esperti che hanno lavorato a sostanziare l’Istanza in parola, c’è la Dottoressa Antonella Delfino Pesce.
La Dottoressa Delfino Pesce è laureata in Medicina Veterinaria con Specializzazione in Fisiopatologia, con Dottorato e incarichi universitari di Ricerca in Biologia Molecolare.
Inoltre, si è anche laureata in Scienza e Tecniche Psicologiche, ha maturato la Specializzazione con master in Criminologia e Scienze Psico-forensi ed è anche Responsabile di un Laboratorio di Ricerca di Biologia Molecolare, ed Esperta di Genetica Forense.
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