La Maestra partigiana e la bambina che ha rinunciato a parlare

Per un nuovo inizio nella Scuola delle torture

Mentre leggevo la recensione del libro (meglio del romanzo) di cui oggi vi propongo la lettura, scritta da Mirella Serri per il Supplemento Libri del Sabato del Quotidiano La Stampa, una sua frase mi ha colpito: “mentre l’insegnamento della Storia si restringe”. È vero. L’insegnamento della Storia, a Scuola, ha subito, da tempo, una robusta cura “dimagrante”. La Storia, infatti – soprattutto quella del ‘900 – si studia poco e male, salvo qualche luce nel buio accesa (e tenuta vivida) da Insegnanti amanti della “Materia” e consci della sua importanza formativa per i cittadini di domani. 

Questa falla grave (e sono buono) nel percorso educativo-formativo di un discente (ovvero, colui che impara, meglio dovrebbe apprendere) l’ho sperimentata anch’io alle Superiori e ne porto ancora le conseguenze – nonostante una cura e uno studio successivo, intensivo quanto disordinato – perché (e questa è un’altra pecca della nostra Scuola) nessuno ti insegna mai come si studia la Storia (non solo quella) mi riferisco, è evidente, al metodo di studio e lo affermo, lo ripeto, anche per esperienza personale. 

La nostra Insegnante di Lettere del Magistrale, ci raccontava la Storia degli anni dal 1922 al 1945, dal punto di vista di quelli che la guerra – atto cruciale, ma non l’ultimo purtroppo, di una serie infinita di violenze sulla gente – l’avevano dichiarata e persa. Ce la insegnava pretendendo date e nomi a memoria, come se tutto il resto non avesse importanza. Lo faceva – questo sì con metodo, non essendosi evidentemente accorta né quell’anno né nei successivi – di avere richiesto per la Storia il Testo di studio di due autori, Augusto Camera e Renato Fabietti che, invece, spiegavano la Storia da un punto di vita diametralmente opposto al suo. E pensare che, al tempo, i “confusi” passavamo per essere noi studenti.

Teresa Gullace

Così è stato per diversi anni e le rare supplenze della Professoressa Laura Lombardo Radice, coniugata Ingrao, nulla ci hanno insegnato che non sapessimo già, avendolo studiato “da per noi”, come diceva un mio amico. E sempre “da per noi” scoprimmo chi era stata e cosa aveva fatto – durante la Resistenza – la prof. Ingrao, tra le altre cose la prima a raccontare, “urbi et orbi”, la storia di Teresa Talotta Gullace, la popolana calabrese, sfollata a Roma con marito e quattro figli, ammazzata, incinta del quinto, il 3 Marzo 1944, davanti alla Caserma di Viale Giulio Cesare da un tedesco del Battaglione di Polizia “Bozen” (quello dei “musicisti pensionati” altoatesini, tutti optanti per la Germania nazista) e lì lasciata cadavere.

Poi, nella turbolenta (e “famigerata”) 3ª-Sezione G, del Magistrale “Alfredo Oriani”, di Roma, venne in supplenza il Professor Buccellato (mi pare si chiamasse Antonio, ma non ci giurerei), uomo di Lettere e compagno, che aveva lavorato, con Antonio Gramsci, all’Ordine Nuovo. E noi, finalmente, grazie a lui e a quelle benedette due ore di supplenza, cominciammo a capire cosa fosse e cosa significasse veramente la famosa “Questione Meridionale”. Evviva! La Storia era entrata trionfalmente nella 3ª G, portando una ventata di aria fresca e noi ne ascoltammo il racconto in religioso silenzio. Ma sarebbe stata solo una meteora.

Veniamo al Romanzo che volevo farvi conoscere, se nella Scuola “l’insegnamento della Storia si restringe”, forse si troverà (sarebbe il caso) il tempo per la lettura in classe di questo testo che parla di Storia (quella scritta con la S maiuscola) anche se dentro c’è una storia di fantasia. Certo, leggerlo e commentarlo, con annessa analisi linguistica e testuale, condita da riferimenti storici adeguati, sarebbe un’occasione che definirei, oltre che utile, ghiotta. Insomma, da non perdere. 

Il Romanzo s’intitola “Aggiustare l’Universo”, lo ha scritto Raffaella Romagnolo, scrittrice di Casale Monferrato, ma vissuta ad Ovada e a Genova, e lo ha mandato in Libreria la Casa Editrice Mondadori. Si tratta di una storia che parte dalla fine della guerra e s’inoltra in un nuovo inizio, quello della Repubblica post 2 Giugno 1946, così bene rappresentato da quella foto diventata iconica, la foto della 24enne Anna Iberti, impiegata dell’Avanti!, il giornale socialista, che con il suo volto sorridente tiene alta, tra le mani, una copia del Corriere della Sera che a tutta pagina, titola: “E’ NATA LA REPUBBLICA ITALIANA”. 

La protagonista del Romanzo si chiama Gilla – la Maestra che la guerra aveva trasformato in Partigiana combattente – e che nell’Anno Scolastico 1946-1947, l’anno del nuovo inizio, la storia coglie ad ispezionare, con altri colleghi, il locale che era stato sì una Scuola ma che, durante l’occupazione tedesca del paese di Borgo di Dentro (dove Gilla si era rifugiata per scampare alle bombe che colpivano Genova) era stato un Centro nazista di tortura e morte. C’è da dire che la città di Gilla era Borgo dove la ragazza aveva combattuto e dove aveva deciso di restare, nonostante gli appelli pressanti dei genitori perché li raggiungesse di nuovo nella città della Lanterna. 

Quelle pareti grondavano ancora sangue e ricordavano l’orrore che avevano racchiuso, eppure era arrivato il momento che ridiventassero un luogo di vita; un luogo in cui si lavorava con i ragazzini e le ragazzine che la guerra avevano vissuto sulla loro pelle ma per farla loro dimenticare. Bisognava scordare il passato (non tutto però) per costruire il futuro, il loro, quello di Borgo e dell’Italia. 

Il lavoro per trasformare quel luogo di terrore e morte in luogo di pace era esattamente tutto in salita: l’Anno Scolastico era iniziato in ritardo e nella classe di Gilla, su 24 banchi solo 23 erano occupati da altrettante studentesse, il 24esimo era vuoto. Il cucciolo dell’uomo a cui quel banco era destinato arrivò un giorno. In classe ad occuparlo (finalmente!) venne accompagnata (perché era una bimba) dalla bidella e da un biglietto del Preside che spiegava trattarsi di Francesca che arrivava dal vicino Orfanatrofio. 

Francesca era intelligente, capiva le cose al volo e disegnava da dio, ma aveva un problema: non parlava e questo complicava di molto le cose, già complicate di suo. La ragazzina capiva, ma si rifiutava ostinatamente di parlare, non che avesse qualche problema organico. No, da quel punto di vista, era tutto a posto, ma si capiva che era lei che aveva deciso di tacere, per un qualche motivo misterioso. Gilla farà di tutto per entrare in contatto con Francesca, ma i suoi tentativi si scontreranno, per molto tempo, contro un macigno rappresentato dal passato di Francesca e dalle cose che lei aveva vissuto fino a quel primo giorno di scuola. 

Gilla scoprirà, infatti, che il vero nome di Francesca era Ester e che la ragazzina era ebrea. Ester ricordava e sognava il “mondo di prima” (prima delle Leggi Razziali del 1938), un mondo in cui era felice con il Papà, la Mamma ed il Nonno, un mondo che quelle Leggi vigliacche avevano distrutto, impedendo al papà di insegnare, al Nonno di vendere stoffe e a lei e alla mamma di vivere una vita dignitosa. Tutto distrutto, per la sola “colpa” di essere nati ebrei. Francesca-Ester nel “mondo di prima” vorrebbe tornare a vivere (mentre Gilla, lo vorrebbe dimenticare) e così, in questo “mondo nuovo”, la ragazzina aveva deciso di tacere, per sempre. Per tornare a parlare lei aspettava che i suoi genitori tornassero a prenderla (come le avevano promesso quando l’hanno salutata per l’ultima volta) ma, ogni giorno che passava a scuola con la Maestra Gilla e i suoi compagni, la piccola si rendeva conto che quel giorno era sempre più lontano. 

Raffaella Romagnolo

Alla fine, la Maestra Gilla avendo capito quello che Francesca-Ester ha vissuto e sta vivendo, quindi con la pazienza infinita che usa la sera, a casa, mentre aggiusta un vecchio Planetario meccanico con il quale farà lezione, ma anche con la pazienza di chi ha deciso di combattere e vincere una battaglia (la stessa pazienza della sua lotta partigiana contro un nemico più forte, ma alla fine battuto) lavora ad “aggiustare” l’Universo “rotto” di Francesca-Ester. Alla fine il miracolo si compie e la ragazzina torna a parlare.

Con la grazia di chi sa di maneggiare esistenze fragili e preziose, il rigore di un meticoloso lavoro di ricerca storica, Raffaella Romagnolo scrive una storia di dolore e rinascita, ambientata in un momento storico (ben ricostruito nel Romanzo) da cui ancora oggi è impossibile distogliere lo sguardo perché è stato un momento comunque costitutivo di un nuovo inizio, ma è anche un momento storico con il quale ancora non abbiamo fatto i conti fino in fondo.

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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