La moralità è innata?
Dagli amici della fisica quantistica che fanno i filosofi, i pedagogisti e i visionariMolti esperimenti hanno dimostrato che probabilmente homo sapiens, come già aveva intuito Spinoza e ha esplicitato Freud nelle sue due Topiche, è agito da incoercibili pulsioni pre-razionali, ossia riferite alla parte più antica del nostro cervello, il cosiddetto “archipallio”, risalente a quasi mezzo miliardo di anni fa e comune ai vertebrati a partire dai rettili.
Libet con il noto esperimento sul libero arbitrio ha altresì posto l’accento sul fatto che, proprio in relazione a questi circuiti neurali immediati, reagiamo ad uno stimolo con un ritardo di quasi mezzo secondo sulla elaborazione corticale dell’output stesso. Celebri papers di Chomsky, Pinker e altri hanno infine sottolineato che probabilmente nei nostri 23.000 geni s’annida inoltre una grammatica universale, secondo la quale sappiamo mettere in fila le parole anche prima di conoscerne il significato esatto, quasi che una sintassi pre-verbale funga da tabula rasa per una semantica che si arricchisce del vissuto e delle interazioni con l’ambiente.
È così anche per la morale? Non è facile rispondere a tale questione, perché certamente l’uomo è qualcosa in più – o almeno crede di esserlo – di 5 litri di sangue nei quali circolano un centinaio di neurotrasmettitori e una ottantina di ormoni. Se ancora, infatti, il tema della coscienza e del libero arbitrio restano campi aperti di conoscenza, forieri tutt’oggi di feconde e originali pubblicazioni, ancor piu’ dibattuto e’ il tema morale. Karl Polany scrisse che “sappiamo più di quello che sappiamo dire” , quasi che, come ripetuto da Thomas Mann, il premondo perenne di granitiche leggi universali sia prerogativa della specie umana sin dai tempi (almeno) dell’Antigone eschilea.
Due esempi credo aiutino ad entrare meglio nel tema:
1) Hanna Harendt racconta oltre che lo stupore inquietante generato dalla banalità del male (incarnato da corpi grassocci e occhi vispi di gerarchi farmaco-dipendenti non brillanti e spesso psicotici) anche la meraviglia commovente di apprendere di non pochi casi controintuitivi di solidarietà, di reciprocità, di empatia non tra semplici prigionieri ,bensì tra i deportati nei lager nazisti ove avrebbe dovuto prevalere unicamente l’istinto di autoconservazione del singolo in vece della condivisione per esempio delle scarsissime fonti proteiche;
2) Sull’attentato alle Torri Gemelle si è scritto molto ma il faro della divulgazione informativa (per usare una efficace similitudine di Bauman), ha lungamente lasciato in ombra il fatto che nel mezzo di tanto sconcerto quella mattina dell’11 settembre 2001, mentre 3.000 persone perdevano la vita, altre 7.000 circa di 97 nazionalità diverse venivano accolte per circa una settimana in una cittadina canadese di nome Gander. Essi erano i passeggeri di una quarantina di aerei che furono fatti atterrare nel primo scalo disponibile, non appena il governo statunitense dichiarò l’emergenza. In un clima di generale emotività, mentre la allora dominante televisione e i nascenti siti web rimbalzavano la notizia più inattesa e più eclatante dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, a queste persone ovviamente sconvolte una non meno spaventata ed incredula comunità “estranea” offrì la propria casa per una doccia, un cambio d’abiti , un letto caldo, una parola di conforto mentre i mezzi pubblici locali e le compagnie telefoniche in assoluta gratuità si mettevano a loro disposizione.
Questi due fatti non esauriscono il tema, ma certamente concorrono a favorire una riflessione intorno al fatto che forse, visti i guasti dell’ipertrofia dell’Io, è arrivato il momento di provare a sentire la sopita voce incline al Noi. Non so se è una legge morale scritta nel DNA a spingerci alla coralità e non so neanche se ciò derivi da un set di buone prassi che permeano il sostrato culturale di tutte le civiltà umane da millenni. Spero solo che le inedite problematicità emergenti in questo Terzo Millennio in cui prolifera l’irruenza tecnolatrica, si possa seriamente cominciare a pensare che, come voleva Seneca, “siamo membra di uno stesso corpo”.
A me pare un concentrato di ottimi spunti, collettivi e personali.
Meditiamo e siamo contenti, perché di strade buone, aperte davanti a noi, ne esistono milioni: basta attrezzarsi per percorrerle, sempre insieme.