La Resistenza con cuore di donna

La Repubblica democratica è stata fatta dal popolo con l’apporto determinante delle donne
Aldo Pirone - 24 Aprile 2023

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in occasione del 25 aprile del 2018. Mantiene la sua attualità. Lo riproponiamo.

Il 25 aprile, anniversario della Liberazione, lo celebriamo in un’Italia che sembra sempre più smemorata. La Resistenza è stata la radice da cui è sorta la Repubblica democratica e sono state restaurate le libertà popolari. E’ stata fatta dal popolo con l’apporto determinante delle donne.

Non solo quelle che combatterono attivamente nelle bande partigiane, nei Gap di città, o le staffette che sulle loro biciclette percorsero chilometri e chilometri per portare ordini, armi, cibo, vestiti e quant’altro poteva aiutare i combattenti. Ma quelle, ancor più numerose, che curarono i feriti, cucirono i vestiti, raccolsero fondi, cucinarono per i ribelli e nelle città affamate cercarono ogni giorno il pane per i propri figli.

I numeri del loro contributo parlano chiaro: 35.000 combattenti, 1070 cadute in combattimento, 2812 fucilate o impiccate, 4.653 arrestate e torturate, 2.750 deportate in Germania nei lager nazisti, 70.000 organizzate nei Gruppi di difesa della donna, 513 commissarie di guerra. Numeri ragguardevoli ma incompleti, perché dopo la Liberazione moltissime donne che avevano in vario modo partecipato, sofferto, rischiato la vita, tornarono alle loro occupazioni, umilmente, senza chiedere alcun riconoscimento. Quel che avevano fatto lo considerarono naturale e doveroso.

Le donne della Resistenza a Roma

Tra queste donne del popolo ne voglio ricordare alcune trucidate dai nazifascisti a Roma.

Il 7 aprile del ’44 furono assassinate dai tedeschi dieci popolane al Ponte dell’Industria detto anche, dai romani, “Ponte di ferro”. Quel giorno, venerdì di Pasqua, le donne di Garbatella, Ostiense e Portuense, avevano saputo che il forno Tesei che panificava per i soldati tedeschi, situato nei pressi del Ponte, aveva ricevuto farina bianca. In precedenza, il 26 marzo, il generale Kurt Mälzer, comandante della città di Roma aveva portato a 100 grammi la razione di pane. Un pane, per altro, immangiabile, fatto con molte cose meno la farina. L’assalto ai forni fu sistematicamente organizzato da Adele Bei, Maria Jemolo, Egle Gualdi, militanti comuniste, Giuliana Nenni, socialista, promotrici dei Gruppi di Difesa della Donna (GDD) facente capo al CLN. Bastava spargere la voce nel quartiere che in un determinato forno c’erano pane e farina, perché lì davanti si formasse spontaneamente l’affollamento delle donne spinte dalla fame. Durante i nove mesi dell’occupazione tedesca di Roma numerosi furono gli assalti: al Flaminio, in Prati, a Trionfale, al Tiburtino III, a Monte Sacro, Val Melaina e in Via Alessandria. Questa mobilitazione che non rendeva sicuro il pane per le truppe tedesche e le bande fasciste, costrinse i nazifascisti a scortare i convogli e a presidiare depositi e punti di distribuzione.

Prima di quel tragico venerdì al “Ponte di ferro”, un forno era stato assaltato al quartiere Appio; a Borgo Pio una folla di donne aveva svuotato un camion che ogni giorno dal vicino forno caricava il pane per i militi fascisti della GNR. Numerose popolane, dunque, assaltarono anche il forno Tesei, ma qualcuno, forse un milite della PAI (Polizia Africa Italiana), avvisò i soldati della Wehrmacht che, intervenuti, bloccarono dieci donne che avevano ancora addosso pagnotte di pane e farina. Nove le allinearono sul ponte e le trucidarono quasi subito a colpi di mitra. Un’altra, la più avvenente, la portarono sulla riva del Tevere, la violentarono e l’ammazzarono lasciandola nuda. Clorinda Falsetti, Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi, Arialda Pistolesi, Silvia Loggreolo, furono lasciate bene in vista per tutta la notte sul ponte. Il giovane parroco della Chiesa di San Benedetto all’Ostiense testimoniò in seguito: “Sì, le ho viste. Ho visto quelle dieci donne. O meglio, ho visto i loro corpi. Ero in chiesa e con dei parrocchiani stavo portando via le macerie dopo un bombardamento. Di corsa, erano arrivate delle donne che si erano messe a gridare che dovevo correre perché al forno Tesei, le SS avevano preso dieci donne e le stavano per fucilare. Era, lo ricordo bene, il 7 aprile. Corsi e arrivai sul ponte. Le SS mi fermarono e poi arrivò anche uno della ‘Brigata Nera’ con un ‘M’ rossa sul basco. Mi dissero che tutto era inutile perché le donne erano già state fucilate. Poi, mi portarono sotto il ponte e potei benedire quella creatura tutta nuda ammazzata sul posto”. Il Mattinale della Questura di Roma così riportò l’eccidio il giorno dopo: “Ieri, a motivo di assalto al Forno Tesei, in via B. Baldini, zona Portuense, da parte di una folla giunta anche dai quartieri adiacenti, è intervenuto un reparto della polizia germanica, riportando l’ordine. Dieci donne, sobillatrici dei disordini, sono state fucilate sul Ponte dell’Industria”.

Dar Ciriola

Il mese dopo, il 3 maggio, a Tiburtino Terzo, durante un altro assalto di donne a un forno, un milite della PAI ammazzò un’altra “sobillatrice”, Caterina Martinelli madre di sette figli. Fu colpita mentre teneva il pane e la figlia piccola in petto. Il giorno dopo, sul marciapiede dell’esecuzione, qualcuno pose un cartello con scritto: “Qui i fascisti hanno ammazzato / Caterina Martinelli / una madre che non poteva / sentir piangere dalla fame / tutti insieme / i suoi figli”.

Teresa Gullace, un’altra popolana romana ma calabrese di origine, madre di cinque figli e incinta di un sesto, due mesi prima, il 3 marzo, era stata abbattuta da un tedesco sul marciapiede della caserma dell’81° fanteria a viale Giulio Cesare. Tentava di parlare con il marito Gelsomino recluso dietro le sbarre di una finestra. In quella caserma era stato portato con altre decine d’italiani rastrellati da tedeschi e fascisti.
Teresa si era appena discostata da una folla di madri, sorelle e mogli dei rastrellati che

Teresa Gullace

tumultuavano chiedendo la liberazione dei loro congiunti.

Prima ancora, il 7 ottobre del ’43, Rosa Guarnieri Calò, casalinga, fu trucidata senza pietà sulla porta di casa in via delle Milizie da una pattuglia di tedeschi e fascisti che stavano rastrellando il quartiere in cerca di renitenti alla leva repubblichina. Rosa si stava opponendo strenuamente all’intrusione dei militi nazifascisti per difendere il figlio che si era nascosto in un armadio.

Anche a queste popolane dobbiamo la nostra libertà.  Ricordiamolo e ricordiamole.

Aldo Pirone


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  1. Silvia Di Fazio


    RICORDIAMOLE SEMPRE SEMPRE, PER FAVORE

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