

“Non si scherza, / non è un gioco / Sta arrivando Mangiafuoco / Lui comanda e muove i fili / Fa ballare i burattini” // (Edoardo Bennato, “Mangiafuoco”, 1977)
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“C’ero quando sono nato / C’ero quando son cresciuto / Zorro Blek e Braccobaldo / Belfagor e Carosello / Ed hanno ucciso Lavorini / E dopo niente è stato come prima” // (Luciano Ligabue, “Nel Tempo”, 2010)
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“Cos’è la vita / Senza l’amore / È solo un albero / Che foglie non ha più / E s’alza il vento / Un vento freddo / Come le foglie, / le speranze butta giù / Ma questa vita cos’è / se manchi tu” // (Nada Malanima, “Ma che freddo fa”, 2010)
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“Prendi questa mano, Zingara / Dimmi pure che destino avrò /” (Iva Zanicchi, Bobby Solo, “Zingara”, di Enrico Riccardi e Luigi Albertelli, 1969)
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Nel 1969, in Italia, la Democrazia Cristiana è ancora al timone del Paese. A Palazzo Chigi c’è Mariano Rumor. Il Paese sente ancora gli effetti del cosiddetto “boom economico”, anche se si stanno affievolendo e in Parlamento si discute la Proposta di Legge Fortuna-Baslini sul divorzio.
In quel 1969, gli Americani sono ancora in guerra nel Vietnam. In Italia la gente ascolta “Lisa dagli occhi blu”, di Mario Tessuto, “Non credere”, di Mina e “Ma che freddo fa”, di Nada e la coppia Iva Zanicchi-Roberto Satti (in arte Bobby Solo) vince la 19^ Edizione del Festival di Sanremo con il brano “Zingara”, di Albertelli e Riccardi.
In quel 1969, al Cinema si va a vedere “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, di Elio Petri, ma anche “Nell’Anno del Signore”, di Luigi Magni e i ragazzini vanno ancora a letto dopo Carosello, meno che in un giorno di Luglio, il 21, un Lunedì. Quel giorno stanno alzati fino a tardi, anzi tardissimo, per vedere il primo uomo che “ammara” sulla Luna, poggiandoci sopra un piede. Quell’uomo si chiamava Neil Armstrong ed era sceso sulla luna dal Modulo Eagle della Missione Apollo 11.
Tutto normale e consueto, dunque? Non proprio, perché quell’Anno, il 1969, non sarà un Anno qualunque: il mondo, in quel 1969, sta cambiando pelle e anche l’Italia la cambierà, purtroppo in modo violento, cominciando proprio dalla storia di cui appresso, quella del primo rapimento di un bambino in Italia avvenuto a Viareggio, Versilia, Toscana, il 31 Gennaio del 1969. Qualcuno dirà – col senno di poi – che in quel 1969 l’Italia “ha perso la sua verginità”.
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Quando quell’Anno, il 1969, comincia, tutti – come è consuetudine – sperano che sia migliore del precedente. Lo sperano anche gli abitanti di Viareggio. Si spera, insomma, che quel 1969 sia migliore del 1968, l’anno della contestazione giovanile, l’anno che era finito, a Viareggio, con gli scontri di Capodanno davanti alla “Bussola”, il Locale dove quella sera era in corso un Veglione di Capodanno per ricchi, trasmesso addirittura dalla TV. Da una parte i giovani contestatori del Potere Operaio Pisano (poi Lotta Continua); dall’altra i Carabinieri. I primi tirano pomodori sulla gente che sta entrando nel Locale; dalle fila dei secondi partono colpi di pistola uno dei quali colpisce un giovane di 16 anni, Soriano Ceccanti che, da quel giorno, vedrà il mondo dal basso di una sedia a rotelle. Tutti, a Viareggio, sperano che il 1969 sia migliore del 1968, mentre si preparano al Carnevale. Ma non sarà così, né per la loro città, né per l’Italia, infatti, in quel 1969, la paura, quella nera, sta avanzando a grandi passi e si dirige proprio verso la città di Viareggio.
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Tutto comincia il 31 Gennaio del 1969, Ermanno Lavorini, un ragazzino di 12 anni, minuto, biondo (capelli corti con la riga da una parte) timido, introverso, chiuso, ma obbediente, chiede al padre di poter – dopo pranzo – andare a fare un giro in bicicletta, la sua Super Aquila rossa avuta in regalo per la Befana, e a tirare quattro calci al pallone. Certo, lo sa che deve fare i compiti, ma promette di essere a casa per le 15,30, così avrà tutto il tempo per studiare (lo hanno bocciato e sta ripetendo la Seconda Media). E il padre accetta. Ermanno allora finisce in fretta di mangiare ed esce, inforca la sua bicicletta rossa fiammante e parte verso la “Piazzona”, la Piazza Grande di Viareggio, dove c’è il Luna Park e dove sa di trovare i suoi amici. Esce, e non farà più ritorno a casa.
Passano le ore e di Ermanno nessuna notizia. Poi, alle 17 e 40 nel negozio di stoffe del padre di Ermanno, un Emporio situato nel centro della città, in Piazza Cavour, squilla il telefono. Alla sorella 21enne del ragazzino scomparso, che risponde, una voce di uomo adulto dice: “Questa sera il ragazzo rimane a cena da noi. Dica a suo padre di preparare 15 milioni e di non avvertire la polizia”.
Il messaggio è preciso e la voce che lo pronuncia e chiara, tranquilla, pulita e senza nessun accento. La sorella di Ermanno comincia a gridare in mezzo alla gente che riempie il negozio e poco dopo arriva la Polizia che arriva in forze, perché in città il “fattaccio” del Capodanno 1968 ancora scotta e poi il Carnevale è vicino e girano voci di una possibile contestazione anche di quella festa importante per la città. Così la tensione è già alta di suo e questa storia del ragazzino biondo che non si trova la fa salire ancora di più, come sale la paura: da quel giorno, infatti, i ragazzini, a Viareggio, non usciranno più soli di casa per andare al cinema o a giocare a pallone.
Molti volontari partecipano alle ricerche di Ermanno, insieme ad un possente schieramento di Polizia e Carabinieri (con i cani poliziotto). E ci sono anche i soldati che, con un doppio cordone, circondano la città e fermano chi entra e chi esce, mentre i sommozzatori dei Carabinieri dragano il Canale del Burlamacca che sfocia in mare. Ci sono in campo anche i migliori cervelli investigativi di cui le Forze dell’Ordine dispongono. Arriva il Commissario Iovine, detto il “Maigret italiano”, arriva il Colonnello dei Carabinieri Mario Di Iulio, che comanda la Legione di Livorno. Arriva, dai Paesi Bassi, anche Gerard Croiset (1909 -1980) un sensitivo che ha aiutato le Polizie di diversi Paesi. L’uomo, dopo alcuni sopralluoghi in città, dichiara che Ermanno Lavorini è morto, è annegato.
Intanto, a casa Lavorini in giorni diversi arrivano due telefonate che spediscono le Forze dell’Ordine in due luoghi diversi della città, ma di Ermanno, nessuna traccia; come non c’è traccia dei rapitori che non telefonano alla famiglia Lavorini per indicare il luogo dover depositare i 15 milioni del riscatto, momento che, in questi casi, solitamente segue quello del rapimento. La cosa strana è notata dagli Investigatori, così come viene notato il fatto che sia stata richiesta, per il riscatto, una cifra assai esigua, ma le indagini non ne ricavano nessun vantaggio. Intanto il “Caso Lavorini” è diventato un Caso nazionale, anzi internazionale: la sua storia fa il giro del mondo. Ventisette trasmissioni televisive, trecento passaggi radiofonici, ventidue inviati speciali dei principali Quotidiani che accorrono a Viareggio. (*)
Gerard Croiset (1909-1980), all’Anagrafe Gerard Boekbinder, il sensitivo olandese del caso Lavorini, sarà interpretato in TV dall’attore Paolo Stoppa in una miniserie televisiva intitolata “ESP”. Si tratta di uno sceneggiato televisivo in quattro puntate prodotto dalla Rai nel 1973, diretto da Daniele D’Anza, e andato in onda da Domenica 27 Maggio 1973 a Domenica 17 Giugno 1973, sul Programma Nazionale. Le musiche sono di Egisto Macchi, la consulenza scientifica di Emilio Servadio, noto psicoanalista e parapsicologo.
Prodotto dalla RAI dopo il clamoroso successo de “Il segno del comando “(anch’esso con la regia di Daniele D’Anza). Lo sceneggiato ripropone il tema del paranormale, prendendo, spunto da fatti realmente accaduti che hanno avuto come protagonista proprio Gerard Croiset
I 15 milioni del riscatto sono pronti, dice in TV il papà di Ermanno, e la Polizia ha stanziato 10 milioni di Lire per chi saprà dare notizie utili al ritrovamento del ragazzo. Ma anche questo tentativo non dà risultati, mentre in Piazza Grande – appoggiata ad un albero e chiusa – è ritrovata la bicicletta rossa di Ermanno, che sicuramente non è lì da giorni, altrimenti qualcuno l’avrebbe notata prima. Stranamente, la bicicletta non verrà esaminata dalla Polizia Scientifica.
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Dopo più di un mese di ricerche a tappeto succede un fatto risolutivo. Una Domenica un Maresciallo dell’Aeronautica, che sta andando a tartufi con il suo cane, scopre (per la verità lo scopre il cane) il corpo di un bambino sepolto sotto la sabbia della spiaggia di Marina di Vecchiano (Pisa) una spiaggia libera, d’estate molto affollata ma in quei giorni deserta. Il Maresciallo chiama la Polizia e gli Agenti e i Carabinieri arrivano in forze. Scavano e disseppellisco, il corpo di un bambino biondo: è quello di Ermanno Lavorini, lo confermerà una commessa dell’Emporio Lavorini che conosce bene il ragazzo, chè i genitori non se la sono sentita di andare loro. L’autopsia non dirà molto, perché molti sono i giorni trascorsi dalla morte di Ermanno. Presumibilmente il ragazzino è morto il giorno del suo rapimento: è stato prima picchiato e poi soffocato. Ok. Ma chi l’ha ucciso?
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La fine di questa storiaccia ve la faccio raccontare da Angela Marino che ne ha scritto su Fanpage.
“La caccia al mostro
Dalle pagine de ‘Il Borghese’ la voce della destra faceva arrivare il suo messaggio politico cavalcando il caso: “I ‘ragazzi della pineta’ di Viareggio, esattamente come i ragazzi di vita di Pasolini, sono tutti figli del popolo. È questo dunque il ‘sano popolo lavoratore’ che dovrebbe fare giustizia della società borghese?”. Mentre ‘Epoca’, scriveva: “Non si tratta, dunque, di perseguitare gli omosessuali, ma di impedire che il loro vizio diventi oggetto di imitazione dalle piazze, dai viali, dai caffè, dai giornali immorali, dai film indecenti, non deve più venire, ad ogni momento, lo stimolo del vizio”.
Adolfo Meciani
Sulle pagine di giornale si celebravano veri e propri processi come quello a Giuseppe Zacconi, 56 anni, figlio dell’attore viareggino Ermete, personaggio che si rivelò totalmente estraneo alla vicenda, ma che nondimeno fu costretto a subire il linciaggio della stampa al quale diede fine solo rivelando pubblicamente di soffrire d’impotenza sessuale. L’anno dopo morì d’infarto. Fu la seconda vittima del caso Lavorini. Poco più di un mese dopo il ritrovamento, una soffiata accusò Adolfo Meciani, commerciante di Viareggio, sposato e padre di famiglia, di essere l’autore del mostruoso delitto. Crollò psicologicamente, venne ricoverato in una clinica psichiatrica, subì sette elettrochoc. Si uccise impiccandosi in carcere con un lenzuolo. Innocente, era crollato sotto il peso di quell’accusa infame e sotto quello, insostenibile, della sua rivelata omosessualità. Fu un’altra vittima dello scandalo.
Chi ha ucciso Ermanno Lavorini
Ad accusare il povero Meciani erano stati il sedicenne Marco Baldisseri, Rodolfo Della Latta detto “Foffo”, 19 anni, attivista del Movimento Sociale Italiano e Pietro Vangioni, 20. Ragazzi ‘di pineta’ anche loro, tranne il giovane Vangioni. Nell’aprile 1969 Baldisseri confessò: aveva ucciso Ermanno durante una lite e poi lo aveva sepolto. Dopo cambiò versione e poi la cambiò ancora e ancora, coinvolgendo Della Latta e Vangioni. Alla fine fu un volantino di Lotta Continua a cambiare la prospettiva da cui osservare quel caso: quella politica. Sia Baldisseri che Della Latta e Vangioni erano tutti attivisti del Fronte monarchico di Viareggio. I ragazzi, peraltro, sembravano godere di una speciale ‘protezione”, in particolare Vangioni, già confidente delle forze dell’ordine. Chi c’era dietro il sequestro Lavorini? Perché nell’unica telefonata che i sequestratori fecero – senza peraltro dare alcuna indicazione sullo scambio – era di un adulto e non di uno dei ragazzini? Il sospetto che dietro il caso Lavorini ci fosse un Deus ex machina politico non fu cancellato nella coscienza dell’opinione pubblica neanche dalla Cassazione che nel 1976 condannò rispettivamente a 11, 8 e 9 anni di carcere, per omicidio preterintenzionale e sequestro di persona, Rodolfo della Latta, Marco Baldisseri e Pietrino Vangioni. Secondo la ricostruzione i tre avevano organizzato il sequestro, poi degenerato in omicidio, per raccogliere fondi per la loro organizzazione politica di estrema destra.”.
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Se siete arrivati a leggere fino qui vuol dire che non vi difetta la resilienza (il che di questi tempi è, senz’altro, una cosa buona, per voi e per noi tutti). Mi scuso per la lunghezza di questa Nota, ma credo che questa storia valesse la pena di qualche riga di parole in più, anche perché molti, con il senno di poi, hanno iscritto il rapimento del piccolo Ermanno Lavorini, non nella categoria dei “delitti a scopo di estorsione”; né in quella dei cosiddetti “balletti verdi” (la pista degli omosessuali) come gli Inquirenti dell’epoca alternativamente pensarono, ma in quella dei “delitti politici”, poiché i soldi del riscatto dovevano servire a quel gruppo di ragazzotti di destra (guidati da chi è a tutt’oggi un mistero) per comprare dell’esplosivo e compiere attentati dinamitardi.
“Il fatto fu preparato durante le riunioni nella sede del Fronte Monarchico. Con i soldi del riscatto si dovevano comperare degli esplosivi che sarebbero poi serviti per compiere una serie di attentati” (Sandro Provisionato, “Il Caso Lavorini, il tragico rapimento che sconvolse l’Italia”, Chiarelettere, 2019)
Quei molti hanno pensato (ed hanno scritto) che quel rapimento sia stato il primo atto “artigianale” – come si trattasse di una “prova generale” o, se preferite della “Prima della Prima” – della cosiddetta “strategia della tensione” che si paleserà, con tutta evidenza: 18 morti (anzi 19, se ci contiamo anche ii ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli) e 88 feriti, il 12 Dicembre di quel 1969, un Venerdì, quando alle 16,37, all’interno della Filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura, situata nella milanese Piazza Fontana, scoppia una bomba fascista che fa strage di vite. Forse è così o forse no. Ma comunque – visti i fatti qui narrati – vale la pena di rifletterci su, un poco più di un rapido istante, solo per tenere sveglia la nostra intelligenza delle cose e per non perdere la capacità di indignarsi e agire, di fronte a fatti come quello qui descritto.
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(*) Chi è il Colonnello Mario Di Iulio? Di Iulio è stato il Capo di Stato Maggiore del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale Giovanni De Lorenzo (1907-1973), Poi Capo del SIFAR, Il Servizio Informazioni Forze Armate (eletto nel 1968 alla Camera dei Deputati nelle fila del Partito Democratico di Unità Monarchica) ed ha partecipato alla stesura del cosiddetto “Piano Solo”. Era Di Iulio che avrebbe dovuto arrestare gli esponenti comunisti e della CGIL e deportarli nell’Isola dell’Asinara. Quando il tentato Golpe viene scoperto, Il Colonnello De Iulio viene allontanato dallo Stato Maggiore dell’Arma e mandato a dirigere la Legione Carabinieri di Livorno, prendendo da subito in mano le indagini sulla scomparsa del piccolo Ermanno Lavorini.
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