L’assassinio di Guido Picelli

Un "giallo" italiano o un delitto politico?

Picelli era un eroe, con lui D’Annunzio non avrebbe mai perso la città di Fiume” (Benito Mussolini)

Nota: questa sorprendente affermazione di Benito Mussolini nei riguardi del Partigiano parmense Guido Picelli, è contenuta in un libro di memorie in cui il capo del fascismo ammetteva la dura sconfitta subita dai suoi squadristi a Parma, nel 1922. Il libro s’intitola “Taccuini mussoliniani”, è stato scritto da Yvon De Begnac, curato dallo Storico Francesco Perfetti e pubblicato nel 1990 dalla Casa Editrice Il Mulino. 

Storia e Memoria: per 15 minuti, il Primo Maggio 1924, in pieno fascismo, «lo stracciaccio rosso di Mosca» (leggi una bandiera rossa ornata di falce e martello) viene issato sul balcone del Parlamento. Il gesto politico è di Guido Picelli, Deputato indipendente comunista, futuro leader degli Arditi del Popolo, di Parma e Comandante del Battaglione Garibaldi, formato da volontari antifascisti internazionali, durante la guerra civile spagnola (1936-1939), fino al giorno del suo assassinio, il 4 Gennaio del 1937 ad Algora (Castiglia)

E’ passato poco più di un mese dall’87° anniversario della morte, il 4 Gennaio del 1937 in terra di Spagna, di Guido Picelli, antifascista parmense, fondatore degli Arditi del Popolo, Deputato del Regno d’Italia, confinato politico a Lampedusa e Lipari nel 1926, e combattente internazionalista nelle fila della Repubblica spagnola, fino al giorno della sua morte, meglio del suo assassinio. 

Nessuno, in questi 39 giorni del 2024 – tranne Gianluigi Nuzzi  in un pezzo, pubblicato sul Supplemento domenicale “Specchio” del Quotidiano La Stampa, dell’11 Febbraio scorso – ne ha ricordato la fine. Eppure è Memoria che occorre fare perché Guido Picelli, la sua vita di antifascista intransigente e le sue scelte politiche fanno parte integrante della nostra Storia nazionale, anche se qualcuno nella sua Parma, avrebbe voluto che la sua storia restasse “provinciale“ e che il suo ricordo si fermasse alle barricate antifasciste dell’Oltre-corrente parmense di quell’Agosto del 1922. (*)

Su questa storiaccia in salsa non solo parmense – che qualcuno si ostina ancora a definire un “mistero” – il regista e scrittore Giancarlo Bocchi ha lavorato per molti anni e ancora conduce ricerche testimoniali e documentali. Sulla vita e la fine di Guido Picelli, Bocchi è stato, infatti, autore nel 2011 prima del libro poi del Docufilm “Il Ribelle”, che racconta proprio la storia di Guido Picelli e del suo assassinio e ha fatto seguire il libro sugli scritti di Picelli, intitolato “Nostra legge la libertà” (IMPLLIBRI, 2017) Ancora è tornato, l’anno scorso, a scriverne con il libro “Chi ha ucciso Guido Picelli”, IMPL Libri, 2023, nel quale svela i nomi degli assassini di Picelli. Si tratta del libro che oggi propongo alla vostra attenzione. 

Per quanto riguarda questo suo ultimo libro, sotto trovate il testo di un’intervista rilasciata da Bocchi al Quotidiano La Repubblica e pubblicata il 30 Gennaio scorso, in cui il regista e scrittore racconta delle ricerche che hanno originato il suo ultimo libro e di che cosa con esse ha scoperto, chiudendo idealmente il cerchio sulla fine di Guido Picelli in terra di Spagna.

(*) La scritta: “Balbo t’è pasè l’Atlantic mo miga la Perma” campeggia sul Lungoparma da tempo immemore. E’ una frase in dialetto parmigiano, che tradotta ha questo significato: “Balbo, avrai attraversato l’Oceano Atlantico, ma non il torrente Parma”. Si tratta di un’espressione di scherno rivolta al gerarca fascista Italo Balbo, che nell’Agosto del 1922 raggiunse la città ducale con circa diecimila squadristi per tentare di sedare lo sciopero nazionale indetto dall’Alleanza del Popolo per far fronte alle reiterate violenze subite dalle scorribande fasciste. Ai fascisti fu impedito l’ingresso in città dagli Arditi del Popolo guidati da Guido Picelli che, per cinque giorni li contrastarono in armi costringendoli, alla fine, alla fuga.

Le verità su Guido Picelli nel nuovo libro di Giancarlo Bocchi

Il regista e scrittore: “Ho svelato per la prima volta, documenti alla mano, i nomi di persone vicine a Picelli e Cieri che furono assoldate come spie dal fascismo” 

Dopo il libro Il Ribelle, Guido Picelli una vita da rivoluzionario, il film-documentario Il Ribelle e il libro Nostra legge la libertà, perché ha sentito la necessità di scrivere il suo nuovo libro: Chi ha ucciso Guido Picelli?

  • Ho svolto altre ricerche e scoperto molti nuovi fatti importanti. Già nel libro Il Ribelle avevo solo accennato a episodi che avevano portato all’uccisione di Guido Picelli, in questo nuovo libro ho ritenuto che si dovesse raccontare in modo compiuto una verità storica che era stata occultata per decenni da revisionisti e negazionisti. Chi ha ucciso Guido Picelli? racconta non solo gli ultimi istanti della vita del leggendario comandante parmigiano, ci sono altre cose nuove su una vita spesa per la libertà e la giustizia sociale. Credo che il libro sorprenderà, soprattutto i cittadini di Parma, che hanno dovuto ascoltare per decenni, anche nell’ultimo anno, della falsità dettate dalla appartenenza settaria o politica e dal carrierismo di certi storici”.

Cosa c’è di nuovo rispetto al passato in questo suo nuovo lavoro?

  • “Oltre ad un racconto rivelatore sul 4 gennaio 1937, quando una pallottola vigliacca colpì alle spalle Guido Picelli uccidendolo, ho svelato per la prima volta, documenti alla mano, i nomi di persone vicine a Picelli e Cieri che furono assoldate come spie dal fascismo, per riferire su due antifascisti, in particolare su Picelli, che terrorizzavano Mussolini. La scoperta che ho fatto di due delle spie, che furono legate anche al momento storico delle Barricate, fanno comprendere come nell’anno del Centenario, non sia stato detto nulla di nuovo da parte degli storici incaricati dalle istituzioni di celebrare la ricorrenza. La scoperta è stata fatta negli archivi italiani accessibili a tutti, mentre altre mie ricerche, ben più difficili, sono state fatte in archivi stranieri anche quelli inaccessibili per gli stranieri”.

A cosa si riferisce in particolare?

  • “Una delle cose più importanti, che altri hanno visto solo come un dettaglio, per capire cosa fosse veramente accaduto a Guido Picelli in Russia e in Spagna,  e quali fossero i suoi rapporti con il Partito comunista d’Italia e con la nomenclatura del Comintern, ruota intorno alla proposta del 4 aprile 1938, fatta da alti ufficiali delle Brigate internazionali di Spagna, il generale Gomez e il colonnello Trokzenko, di conferimento postumo dell’Ordine di Lenin, la più alta onorificenza sovietica, al comandante parmigiano”.

Fu concessa?

  • “Negli Archivi del Comintern c’è documento rivelatore, un rapporto di Antonio Roasio del 21 luglio 1938, stilato sulla base di una delazione fatta a voce da Furini (ovvero Giuseppe Dozza  ex sindaco di Bologna). Roasio, stalinista convinto, funzionario del Comintern vicino all’Nkvd ed ex commissario politico del Battaglione Garibaldi aveva avuto molte divergenze con Picelli e probabilmente per bloccare il conferimento dell’alta onorificenza, molto scomodo per lui e per il Comintern, stese con molta acredine un rapporto sui contatti tra Picelli e il Poum il partito comunista libertario spagnolo ingiustamente accusato di trotskismo. Il 5 febbraio 1939, sulla base del rapporto di Roasio dell’anno prima, Georgi Damianov detto Belov, caporione dell’ufficio quadri del Comintern e sodale di Roasio, relazionò i vertici sovietici dell’epoca sul presunto deviazionismo di Picelli, che io chiamerei invece scelta di libertà, quando a Parigi aveva lasciato il Partito comunista e aveva aderito, seppur per un breve periodo, al Poum. Anche il documento di Belov, anche se in modo più astuto, aveva lo scopo di impedire che venisse conferito postumo a Picelli l’Ordine di Lenin. In questo documento c’è anche una smentita alla versione ufficiale delle Brigate Internazionali secondo la quale Picelli fu colpito da una mitragliatrice. Si parla infatti di un ‘cecchino’ che conferma quanto scrisse Randolfo Pacciardi, il comandante del Garibaldi: Picelli fu ucciso da una fucilata. Anche in questi pochi documenti, ma nel libro ne sono citati molti di più, si può capire che intorno all’uccisione di Guido Picelli è stato costruito in passato un castello di falsità durato ottantasei anni”.

Perché il conferimento o meno dell’onorificenza sovietica era così importante?

  • “Se l’onorificenza fosse stata concessa sarebbe stato più credibile che Picelli fosse stato ucciso dai franchisti e che la sua adesione al Poum fosse avvenuta solo per un ordine segretamente dato dal Comintern. Se invece l’onorificenza non fosse stata conferita, anche se postuma, era un segnale  importante che Picelli era un personaggio scomodo che andava messo da parte o eliminato, la cui memoria serviva solo a spargere fumo negli occhi in commemorazioni, ma che, agli occhi degli stalinisti, non meritasse una onorificenza così importante. Occorre chiarire che quell’alta onorificenza veniva assegnato non solo per meriti di guerra, ma anche a personaggi che si erano distinti nello spionaggio sovietico all’estero. Era molto difficile scoprire se Picelli  l’avesse ricevuta, perché non è mai stato divulgato l’intero albo d’onore o tutti documenti di conferimento. Sono stati divulgati solo nomi di persone molto note come Jurij Gagarin, Fidel Castro, Josip Broz Tito  Michail Gorbacev, o spie ormai note come Kim Philby, Rudolf Abel o edificati dei memoriali in alcune città con i nomi soprattutto di partigiani della Seconda Guerra Mondiale”.

Cosa c’è di nuovo rispetto al passato in questo suo nuovo lavoro?

  • “Oltre ad un racconto rivelatore sul 4 gennaio 1937, quando una pallottola vigliacca colpì alle spalle Guido Picelli uccidendolo, ho svelato per la prima volta, documenti alla mano, i nomi di persone vicine a Picelli e Cieri che furono assoldate come spie dal fascismo, per riferire su due antifascisti, in particolare su Picelli, che terrorizzavano Mussolini. La scoperta che ho fatto di due delle spie, che furono legate anche al momento storico delle Barricate, fanno comprendere come nell’anno del Centenario, non sia stato detto nulla di nuovo da parte degli storici incaricati dalle istituzioni di celebrare la ricorrenza. La scoperta è stata fatta negli archivi italiani accessibili a tutti, mentre altre mie ricerche, ben più difficili, sono state fatte in archivi stranieri anche quelli inaccessibili per gli stranieri”.

    La richiesta di alti ufficiali delle Brigate Internazionali di decorare Guido Picelli con l’Ordine di Lenin – (Archivio del Comintern) R Gaspi 495-221-1245-3. Come mai non è mai stato divulgato l’intero albo d’onore dell’Ordine di Lenin, come invece quello per le nostre decorazioni al Valor militare?

  • “Molti nomi di coloro ricevettero questa onorificenza sono ancora un segreto di Stato. Alcuni dei decorati erano elementi dello spionaggio estero sovietico, della cui esistenza ancora oggi le istituzioni occidentali non hanno notizia. Divulgare quei nomi segreti, farebbe capire molte cose ai servizi segreti occidentali sullo spionaggio nel secolo scorso e sui metodi di arruolamento dell’Nkvd e dei successori del Kgb”.

Come ha fatto scoprire se Guido Picelli avesse ricevuto e meno questa onorificenza?

  • “Non fu facile. Gli elenchi integrali sui decorati sono custoditi all’Archivio Federale dello Stato Russo, un luogo che è inaccessibile agli stranieri. Non posso essere più preciso, ma posso dire che vidi le schede di cartone con i nomi di chi ricevette l’onorificenza che erano custoditi in uno schedario di legno. Non fu cercato solo il nome di Guido Picelli, anche la translitterazione sbagliata del cognome  che a volte usava il Comintern e lo pseudonimo di Carlo Ferro che Picelli usava a Mosca. Scoprii che l’Ordine di Lenin venne negato alla memoria del comandante parmigiano sia alla fine degli anni ‘30 quando c’era Stalin, ma anche durante la revisione di metà anni ’60 che venne fatta dopo la de-stalinizzazione. Questa è una conferma che al Comintern e al Partito comunista d’Italia serviva solo un eroe di facciata, ma che non era possibile assegnare tale onorificenza, anche se segreta, a qualcuno colpito da una pallottola alle spalle”.

Ci sono però tesi divergenti dalle sue.

  • “Chi ha provato ad avanzare tesi opposte alle mie lo ha fatto senza essere andato a svolgere ricerche in Russia, in Spagna o solo a Roma, basandosi invece sulle pagine web o su documenti mal tradotti. In passato mi sono occupato nelle ricerche e nei documentari di questioni delicatissime come l’assassinio di Gabriele Moreno Locatelli a Sarajevo, l’uccisione di Francesco Bider in Kosovo e della morte del ragazzino palestinese Muhammad al-Durrah Gaza, tutti fatti avvolti nel mistero e controversi. Nonostante avessi smascherato personaggi importanti coinvolti in quei fatti delittuosi, come ad esempio per Locatelli l’allora presidente bosniaco Bakir Izetbevovic, nessuno ha mai messo in dubbio la fondatezza delle mie ricerche. Le tesi in contrasto con le mie su Picelli sono state avanzate solo da personaggi locali, mai da storici di fama nazionale. Non si può accettare che si continui a scrivere idiozie come quella che Picelli a Mosca avesse avuto il solo problema di non essere accettato all’Accademia Militare Frunze. Chi lo sostiene non sapeva che Picelli a Mosca venne messo in disparte a fare l’operaio alla Kaganovi? E venne poi licenziato dalla Scuola Leninista e privato dello stipendio e dei mezzi di sostentamento? Evidentemente il mistificatore non sapeva o ha voluto nascondere che Picelli venne estromesso dal Comintern, inquisito dall’Nkvd, rinviato a giudizio nella Stanza rossa della Kaganovi? con l’accusa di aver organizzato una riunione frazionista (in realtà un saluto tra amici ad un compagno che partiva) e venne ordinato a tutti gli italiani della fabbrica di non rivolgere più la parola al comandante parmigiano, etichettato falsamente come ‘ex ufficiale monarchico’. Per molto, ma veramente molto meno, tanti altri poveri comunisti italiani furono esiliati in Carelia o confinati in Siberia. Ho voluto citare, tra le tante ricerche, quella che ho condotto all’Archivio Federale dello Stato Russo per far capire a certe persone che basare le proprie asserzioni sulla lettura delle pagine web e suffragarle con la mistificazioni dei testi usando un cut up falsificatorio, non aggiunge nulla alla Storia. Spero che i parmigiani che amano la verità, vorranno  apprezzare che dopo ottantasei anni, è stata scritta una verità sull’uccisione di Guido Picelli, leggendario combattente antifascista”.

Fonte: https://parma.repubblica.it/cronaca/2023/01/30/news/le_verita_su_guido_picelli_intervista_a_giancarlo_bocchi-385698654

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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