Lettere agli studenti 13.- La purificazione
“Era un periodo che non m’importava niente di niente, quando venni a stabilirmi in questa città”.
Così inizia un romanzo di Calvino, che non è un romanzo, ma un lungo racconto o un saggio o un diario, intitolato “Una nuvola di smog”, che è nello stesso tempo un libro che ci invita in alcune pagine a diffidare dei titoli, perché possono nascondere altro.
L’io narrante si presenta come un personaggio in crisi, che non sopporta la stabilità, perché sta cercando qualcosa. La verità, il senso, la quiete? Comunque si trasferisce in una città non identificata per un incarico da redattore di un quindicinale, “La purificazione”, voluto da EPAUCI, l’Ente per la Purificazione dell’Atmosfera dei Centri Industriali.
Il suo datore di lavoro è l’ingegnere Cordà, il Presidente tecnocrate, che crede nell’impresa della purificazione dall’inquinamento, anche se è lui stesso l’artefice dello smog con la fabbrica Wafd, di cui è consigliere delegato.
“Tutto in lui, discorsi, aspetto esteriore – vestiva di grigio, impeccabile, camicia d’un candore perfetto –, gesti – muoveva una mano con la sigaretta tra le dita –, spirava efficienza, facilità, ottimismo, spregiudicatezza”.
Come si può rendersi promotori della soluzione di un problema che contemporaneamente si provoca? Contraddizioni del mondo, irrisolte, che non rendono felice e invidiabile neppure la condizione di Cordà.
“L’EPAUCI era una creatura dello smog, nata dal bisogno di dare a chi lavorava la speranza d’una vita che non fosse solo di smog, ma nello stesso tempo per celebrarne la potenza”.
È la polvere che ricopre tutto
La nuvola di smog è ovunque. Sovrasta la città e non è poi tanto diversa dalle nuvole o nebbie che variano a seconda dell’addensamento di umidità; si distingue per “un’ombra di sporco che la insudiciava tutta e ne mutava – anche in questo essa era diversa dalle altre nuvole – pure la consistenza, perché era greve, non ben spiccicata dalla terra, dalla distesa screziata della città sulla quale pure scorreva lentamente, a poco a poco cancellandola da una parte e dall’altra riscoprendola, ma lasciandosi dietro uno strascico come di filacce un po’ sudice, che non finivano mai”.
Si riconosce la sua presenza nel quotidiano in manifestazioni diverse. E’ la polvere che ricopre gli atti dell’ultimo congresso che Cordà mostra e porge.
“Ecco, conti lei se ci sono tutte, – e così dicendo prendeva in mano quei fogli; fu allora che io vidi da essi sollevarsi una piccola nube di polvere, e sulla loro superficie appena toccata disegnarsi l’orma delle dita”.
A questo gioco di finzione trionfante, il protagonista prende parte nella volontà di dimostrarsi altrettanto efficiente. E’ un “gioco di prestigio” che vuole trasformare “in un ammasso di briciole sotto gli occhi dell’ingegnere Cordà e del dottor Avandero tutta la loro efficienza tecnico-industriale, e loro non se ne accorgevano”.
Dunque l’attività del giornalista è un’ironia dissacratrice, che finge di acconsentire per distruggere dall’interno? Il suo sguardo è, tuttavia, “trionfante e disperato”, perché disintegra l’illusione di tutti nella bontà del sistema e del progresso.
La polvere è anche nella casa in cui il protagonista ha preso una camera in affitto ed è inserita all’interno di una rappresentazione significativa dello spazio. Tutta la dimora della signorina Margariti si rivela come un ariostesco palazzo di Atlante, in cui i cavalieri si aggirano, ma privi di armature e di valori, inquieti e irrisolti.
Esiste al suo interno una differenza significativa: le stanze vissute sono invase dalla polvere, mentre un’ala ne è esente.
“Le stanze adorne e continuamente spazzolate e incerate erano una specie di opera d’arte in cui lei riversava tutti i suoi sogni di bellezza, e per coltivare la perfezione di quelle stanze si condannava a non viverci”.
Interessante rivelazione, su cui sarà necessario tornare, perché questo libro, di lettura semplice e piana, va letto cercando dei segni, un po’ come il protagonista ci confessa di fare con la vita.
Persino il gatto, “striminzito e selvatico, d’un pelo nerastro”, tornava a casa dai suoi “giri per ballatoi, tetti e terrazzi”, appariva “grigio, come se assorbisse tutta la polvere e la fuliggine del quartiere”.
La nuvola di smog è persino nella trasparenza dell’aria, nei microgranelli che si vedono in controluce. Nessuno dei personaggi che si alternano vive fuori di essa.
La fidanzata Claudia, bella, elegante, di successo, entra in questo contesto, ma incapace di ascoltare e di vedere. Qualche granello di polvere ricopre anche lei, quella donna-angelo che ha salvato l’uomo di un tempo e che, ora, invece, può sopravvivere solo custodendo la sua separatezza.
Proprio come le stanze di rappresentanza della casa della signorina Margariti: la bellezza è possibile solo se non ci si abita dentro.
E se “la bellezza nasce sempre da un urto”, nelle conversazioni con Claudia “l’urto delle cose stritolava e smentiva a una a una tutte le parole d’amore”.
La bellezza e l’ideale esistono ancora, ma solo come un’illusione staccata dalla realtà. Persino Cordà ritiene che “la presidenza dell’EPAUCI, puramente onorifica, era quella “che gli dava più soddisfazione “perché, – spiegò, – è una battaglia per motivi ideali”.
La soluzione non è certo l’atteggiamento del capostampa Avandero, che finge di lavorare moltissimo, ma nasconde le pratiche, aspettando solo il sabato e la domenica per andare altrove.
Non è neppure l’impresa di Omar Basaluzzi, l’operaio-sindacalista, che “non cercava di sfuggire a tutto il grigio fumoso che c’era intorno, ma di trasformarlo in un valore morale, in una norma interiore”.
Una vita che l’umanità ha voluto avvelenando se stessa
La civiltà è crudele, tutto è crudele. Un acquario con grosse anguille è metafora di un’esistenza senza emozioni e sentimenti, grigia appunto.
Allora questo lungo racconto che Calvino ci ha donato è un testo ambientalista? No, è senza dubbio una metafora del vivere in un mondo moderno, in cui non mancano benessere, istruzione, sviluppo scientifico e industriale.
Tutti non possiamo far altro che abitare dentro questa “nuvola di smog”, che rappresenta la vita che l’umanità ha voluto, dotata di potenza ed efficienza, ma piena di tossine con cui ha avvelenato se stessa.
L’opera racconta tante esistenze diverse che si relazionano con questo vivere, integrandosi acriticamente o consapevolmente, fingendo, fuggendo, nascondendosi. Nessuno appare migliore degli altri. Su tutti scivola la polvere grigia. Tutti hanno bisogno di una “purificazione”, che però è falsa, apparente, superficiale.
Il pensiero corre alla sanificazione del mondo in questi giorni.
Non possiamo immaginare la “città del futuro” con l’ingegnere Cardà, semplicemente come un agglomerato ordinato e piacevole, “con quartieri giardino, fabbriche circondate da aiuole e specchi d’acqua, impianti di razzi che spazzavano dal cielo il fumo delle ciminiere”.
La sua è una visione unicamente da “abile uomo d’industria” e condanna il nostro protagonista a scendere frettolosamente dall’auto con cui lo accompagna per scoprire di essersi sbagliato, di trovarsi in “un quartiere sconosciuto e intorno non si vedeva nulla”.
Con ben altra visione si chiude il testo: il sobborgo di Barca Betulla, dove i lavandai purificano e rendono bianchi “i panni segnati dal fumo”. Per un io narrante che osserva il mondo cercando dei segni, “un incontro insolito, come un carro dall’aria campagnola in mezzo a una città tutta automobili, basta a far ricordare che il mondo non è mai tutto a una maniera”.
Questo mondo alternativo alla nuvola di smog, forse, non è altro che solo un’immagine come tutte quelle che si succedono nella scrittura dalle prime pagine.
“Non era molto, ma a me che non cercavo altro che immagini da tenere negli occhi, forse bastava”.
La nuvola di smog è un libro semplice, ma estremamente difficile. E’ dunque un testo ambientalista? Una visione apocalittica? Un monito contro i mali che l’uomo sa causare, ma non sa risolvere?
…una luce di finimondo
E’ un libro sicuramente contro l’indifferenza. La nuvola di smog si trasforma alla fine in una nube radioattiva. “Nelle ore meridiane la città era immersa in una luce di finimondo, i passanti parevano ombre fotografate al suolo dopo che il corpo era volato via”.
Io ricordo giorni in cui Roma ha avuto questa luce da finimondo. Me ne accorgevo guidando sul Lungotevere nel traffico congestionato intorno allo Stadio Olimpico o negli affollamenti nelle vie commerciali nei giorni dei saldi. Me ne accorgevo quando le polveri sottili mi toglievano il respiro e quando vedevo le piante ammalarsi.
“La luce di finimondo” l’avevamo tutti vista in qualche modo. La nuvola della rassegnata indifferenza ha pervaso la mente.
“La nuvola di smog” è un libro crudele come la vita, perché “era nata una specie d’assuefazione, e anche se c’era scritto che la fine del genere umano era vicina, nessuno ci badava”.
Nella sanificazione del mondo che stiamo mettendo in atto non dovremmo dimenticare questa operazione profonda di “purificazione” dell’umanità: liberarci dall’indifferenza ed assumerci la responsabilità di immaginare la “città del futuro”.
La storia del dopo-Covid non deve iniziare come questo romanzo con “Era un periodo che non mi importava niente di niente”.
Lilia Bellucci