Lorenza Fruci, una donna con la “D” maiuscola
Intervista alla giornalista e scrittrice romanaUna passione innata per la scrittura e ogni forma di comunicazione usata per cercare di discostare la società dall’idea costante del sesso debole, raccontando le avventure di donne che hanno raggiunto i loro traguardi diventando forti e indipendenti.
Questo l’obiettivo della giornalista e scrittrice romana Lorenza Fruci. Grazie alla sua spiccata curiosità per il mondo femminile, si appassiona all’arte del burlesque pubblicando il volume “Burlesque. Quando lo spettacolo diventa seduzione” ripercorrendo la storia dell’antica forma di spettacolo dagli inizi sino ad oggi. Il lavoro di Lorenza è poi proseguito con il doc “Burlesque-Storie di donne” che vede protagoniste alcune delle “burlesque performer” italiane più importanti.
Abitare A Roma ha intervistato Lorenza per “curiosare” nel suo mondo, scoprendo pensieri e progetti di una donna con la D maiuscola.
Chi è Lorenza Fruci?
Una persona curiosa, energica, irrequieta, giramondo che ama vivere e osservare, e poi raccontare quello che ha vissuto e visto.
Sin da bambina il tuo sogno era quello di diventare una giornalista e scrittrice, da dove nasce questa esigenza di esprimere il tuo pensiero attraverso la parola scritta?
Scrivere mi è sempre stato naturale. Credo sia legato al mio carattere introspettivo e alla mia innata timidezza. Da bambina passavo più tempo a leggere che in compagnia dei miei compagni. Mi piaceva starmene in disparte con un libro e quando a scuola c’era da svolgere i temi scrivevo “papiri” senza fatica, anzi a fatica dovevo trovare la conclusione. Solo una volta adulta mi sono resa conto che questa mia confidenza con la penna non era scontata negli altri e che per me poteva trasformarsi in un lavoro.
Alla passione per quello che definisci “il mestiere più bello del mondo” hai poi affiancato l’amore per la fotografia. A tuo parere esiste un legame forte tra le due forme d’arte? Lorenza di quale delle due non potrebbe fare a meno?
Credo che un buon reporter debba conoscere il linguaggio dei vari mezzi di comunicazione, deve saper trovare la chiave del racconto in un’immagine o un testo, ma soprattutto trovare la sintesi tra i due. Il mio attuale interesse per i documentari è un’evoluzione della mia passione per la scrittura e la fotografia, le fonda insieme in una modalità diversa. Credo di non poter fare a meno di nessuna delle due forme d’espressione, anche se quando osservo il mondo tendo a “inquadrare” piuttosto che a guardare e questo si riflette anche nella mia scrittura.
Hai deciso di dedicarti prevalentemente alle tematiche legate alle donne, mettendo soprattutto in evidenza la loro forza e indipendenza. Perché questa scelta? Pensi che nonostante quanto abbiano dimostrato le donne siano ancora considerate inferiori agli uomini?
Credo che la forza e l’indipendenza e soprattutto le capacità delle donne non siano ancora sufficientemente evidenziate e valorizzate dalla società che tende comunque a ricordare gli aspetti della questione femminile legati alle violenze, alla subordinazione e al vittimismo, aspetti che esistono ma che non sono gli unici.
Ci sono tante donne che hanno capacità, talenti e hanno raggiunto risultati importanti alle quali è giusto e doveroso dare visibilità anche come modelli per le nuove generazioni di donne. Ritengo che anni di maschilismo radicato nella società e nella sua organizzazione siano duri da sradicare ma è arrivato finalmente il momento di farlo.
E promuovere un’immagine della donna forte e indipendente è una strada per raggiungere questo obiettivo. Tra le altre cose sono co-presidente di Impresa Donna CICAS (Confederazione Imprenditori Commercianti Artigiani Turismo e Servizi) con la quale lavoro proprio in questo senso, rappresentando le donne imprenditrici e le loro necessità.
Ti è mai capitato nel lavoro o nella vita di sentirti discriminata in quanto donna?
Non mi sembra, e anche se fosse accaduto non me ne sarei accorta. In famiglia sono stata cresciuta come individuo e non come donna e quindi nel lavoro e nella società mi pongo così e non penso mai che qualcuno possa discriminarmi in quanto donna, non lo permetterei. Al contrario mi è stato chiesto a volte di usare le peculiarità femminili come empatia, capacità di mediare e di gestire, in quanto valore aggiunto.
In Italia sei stata una delle prime ad occuparti del fenomeno del Burlesque parlandone nel libro “Burlesque. Quando lo spettacolo diventa seduzione”. Cosa ti affascina di quest’arte? Nel nostro paese una donna può davvero giocare con il suo corpo senza essere considerata “volgare”?
Credo che la volgarità sia intrinseca ad una persona, indipendente dal burlesque o meno. Se una donna lo è nella vita lo è anche nel burlesque. E’ sicuro però che giocare con la nudità mette sempre un po’ a rischio volgarità, anche se nel burlesque non dovrebbe accadere perché gli show dovrebbero basarsi sull’ironia e sull’autoironia. E’ questo aspetto burlesco che mi ha affascinata, al quale era legata un’immagine della donna diversa, un po’ buffa a tratti, divertente, spiritosa. I pregiudizi nei confronti della nudità e di spettacoli come il burlesque comunque esistono e in Italia, soprattutto in provincia, ancora non siamo del tutto pronti per comprenderne il senso, la leggerezza e l’ironia. Anche perché non se ne conosce la storia del genere di spettacolo.
Hai appena presentato al RIFF il documentario “Burlesque. Storia di donne”. C’è stata una cosa che ti ha colpito in maniera particolare nelle storie delle protagoniste di questo lavoro?
In questo documentario mi sono soffermata sulle storie delle artiste italiane Eve La Plume, Milena Bisacco, Janet Fischietto, Scarlett Martini, Albadoro Gala e Betty Rose, tutte accomunate dal fatto di aver cambiato vita dopo aver “incontrato” il burlesque. C’è chi ha provato a realizzare il sogno di una vita dando le dimissioni da una grande azienda, chi è andata contro la sua famiglia, chi per la sua scelta ha subito un licenziamento e poi chi ha lasciato la “certezza” di un posto fisso per l’ “incertezza” del mondo dell’arte. Alcune di loro hanno addirittura rinunciato ad un contratto a tempo indeterminato per seguire la loro passione per il burlesque e quindi raccontare le loro storie mi è sembrato anche un modo di parlare di lavoro, tema di grande attualità, da un punto di vista inconsueto.
Mi hanno colpito le storie di queste artiste che, prima di diventare tali, facevano un’altra vita e tutte, raccontandomi il loro percorso di vita, avevano esclamato, una all’insaputa dell’altra, “il burlesque era la mia vita ed io non lo sapevo”. Mi è sembrato un segno da interpretare e tramutare in una storia da raccontare in maniera corale.
Dopo la storia del Burlesque hai ripercorso la vita della Pin-Up Betty Page scrivendo la sua biografia italiana. E’ stato difficile raccontare un personaggio così controverso?
Abbastanza. Ma la sfida e’ stata proprio questa. La storia di Betty Page è ricca di contraddizioni che non è mai semplice raccontare nelle varie sfumature. Dietro alla sua immagine patinata di pin-up c’è stata una vita fatta anche di sofferenze, povertà, carcere, malattia e violenza, oltre che di una voglia infinita di tornare a vivere ogni volta, di ricominciare da capo, di darsi sempre un’altra chance. E’ poi era una donna di una sensibilità incredibile, fragile e pura, aspetti poco noti anche ai suoi grandi estimatori.
Oltre a Betty Page, quale altro personaggio non in vita avresti voluto incontrare?
Purtroppo non ho fatto in tempo ad incontrare Alda Merini. E avrei voluto conoscere Oriana Fallaci.
Progetti futuri?
Sto terminando di scrivere due libri e sto lavorando ad un nuovo documentario sulla danceability. Spero poi di trovare un produttore che voglia investire per un progetto importante (libro-documentario) sulla donna e il mondo del lavoro.
Trailer del doc “Burlesque-Storie di donne”