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Luglio 1960, i ragazzi con la maglietta a strisce 

I giorni di Genova, Reggio Emilia e Roma, ma non solo
Fernando Tambroni

Tutto era cominciato il 30 Giugno del 1960, anzi molto prima di quel giorno. Infatti, nel Marzo 1960 nasceva il Governo del democristiano Fernando Tambroni, il quindicesimo della Repubblica e il terzo di quella Legislatura. Il Governo si presenta alle Camere e ottiene la fiducia con, determinanti, i 24 voti dei parlamentari del Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante (è la prima volta che accade e non sarà l’ultima). Forti di quell’appoggio determinante i fascisti del MSI decidono di svolgere il 2 Luglio il loro Congresso Nazionale a Genova, città Medaglia D’Oro della Resistenza.

In un Rapporto prefettizio si legge:

– “Tale notizia ha provocato viva reazione negli ambienti partigiani che si propongono scioperi ed azioni di piazza. Anche il senatore Terracini, nel comizio tenuto il 2 corrente a Pannesi, ha affermato che la scelta di Genova è un’offesa ai valori della città decorata con la medaglia d’oro e che bisogna riunire tutte le forze della resistenza per tale occasione”.

Gli ex partigiani, appoggiati dalla popolazione e dalla nutrita comunità dei portuali, iniziano a picchettare ogni angolo del capoluogo ligure; i Sindacati di categoria protestano con forza con il governo: quel congresso a Genova non si deve tenere, a qualunque costo. Dopo due cortei, il primo svoltosi il 25 Giugno, e il secondo, il 28 Giugno, concluso con un comizio di Sandro Pertini, il 30 Giugno la Camera del lavoro proclama lo sciopero generale.

Genova, 28 Luglio 1960, le parole di Sandro Pertini

  • “Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali. Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: ve lo dirò io, signori, chi sono i nostri sobillatori: eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori. Nella loro memoria, sospinta dallo spirito dei partigiani e dei patrioti, la folla genovese è scesa nuovamente in piazza per ripetere ‘no’ al fascismo, per democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l’offesa. Io nego – e tutti voi legittimamente negate la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti, ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è considerato reato dalla Carta Costituzionale, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato. Si tratta del resto di un congresso che viene qui convocato non per discutere, ma per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza. Ed è ben strano l’atteggiamento delle autorità costituite le quali, mentre hanno sequestrato due manifesti che esprimevano nobili sentimenti, non ritengono opportuno impedire la pubblicazione dei libelli neofascisti che ogni giorno trasudano il fango della apologia del trascorso regime, che insultano la Resistenza, che insultano la Libertà. Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza.

Un lungo corteo si dipana per le vie cittadine. Risalendo dal porto migliaia di cittadini, in massima parte di giovane età (i cosiddetti “ragazzi dalle magliette a strisce”) si riversano per le strade del capoluogo. Alla testa della manifestazione gli operai metalmeccanici e i portuali, ad aprire il corteo i comandanti partigiani. La manifestazione procede in maniera tranquilla, ma davanti al tentativo da parte della polizia di sciogliere il corteo e alla minaccia della calata in massa dei fascisti verso Genova esplode la rabbia popolare. I vecchi partigiani, le giovani leve della classe operaia e gli studenti universitari, trovatisi per la prima volta fianco a fianco in unità d’intenti, non solo non soccombono alla polizia, ma impediscono il congresso missino, mandando in crisi il governo che si dimetterà il 19 Luglio. Cortei e scontri con la polizia si avranno anche in altre città del Paese. Sotto trovate una puntuale rievocazione di quelle giornate in un pezzo di Domenico Stimolo, pubblicato su Patria Indipendente il 6 Luglio del 2022.

1960, quel Luglio di rivolta e sangue – Domenico Stimolo – 6 Luglio 2022

La protesta antifascista lanciata dall’Anpi partì da Genova, a fine giugno, con il rifiuto di ospitare il congresso MSI per dilagare nel mese successivo in tutto il Paese fino in Sicilia. Insorsero operai e studenti per impedire un ritorno indietro nel tempo ad appena 15 anni dalla Liberazione. Un moto vittorioso ma pagato un prezzo altissimo, 11 morti e decine di feriti. raccontato anche in un video di Ottavio Terranova

Nei primi giorni del luglio 1960 tutta Italia fino alla Sicilia fu attraversata da una lunga scia di sangue. Grandi manifestazioni popolari si svolsero nelle principali città: tragici avvenimenti che chiusero il calendario di lotta contro il governo Tambroni. Il monocolore democristiano subentrato al dimissionario governo Segni era in carica dal 25 marzo, sostenuto dal decisivo appoggio parlamentare del Msi. Una situazione dirompente. A soli 15 anni dalla conclusione della lotta di Liberazione i neofascisti erano ritornati in auge. L’aspetto determinante dello sdegno e della rabbia popolare fu l’indizione del congresso nazionale del Msi per il 2 luglio a Genova. Un vero e proprio oltraggio alla città Medaglia d’oro della Resistenza, la sola dove i nazisti si erano arresi ai partigiani. Si svolsero diverse manifestazioni di protesta, indette dai partiti della sinistra e dall’Anpi, mentre la Cgil promuoveva uno sciopero generale.

Alla prima grande iniziativa, il 28 giugno, intervenne Sandro Pertini con un vibrante discorso divenuto celebre. Durante l’immenso corteo del 30 giugno, aperto proprio dai comandanti partigiani, avvennero scontri con la polizia di notevole portata. Il corteo, pacifico, dei “giovani con le magliette a strisce” fu attaccato dagli agenti. L’obiettivo dei manifestanti era difendere l’onore democratico di Genova dal congresso dei neofascisti. 

Il 2 luglio la Camera del Lavoro indisse un altro sciopero generale; quello stesso giorno il congresso fu annullato. Il governo Tambroni però restava in carica, e così la protesta andò avanti con altre manifestazioni in numerose città del Paese, quasi tutte funestate da incidenti per la repressione di polizia e carabinieri.

Il 6 luglio a Roma un corteo delle forze democratiche e antifasciste venne provocatoriamente vietato dal prefetto solo poche ore prima dell’inizio. I manifestanti, protetti da un cordone di parlamentari d’opposizione, decisero di dirigersi a Porta San Paolo per deporre una corona d’alloro bordata del nastro tricolore, in memoria dei caduti della Resistenza. La carica dei carabinieri a cavallo, comandati da Raimondo d’Inzeo (ufficiale divenuto poi noto perché vincerà la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma) fu violentissima. Due parlamentari, il comunista Ingrao e il socialista Borghese, vennero feriti e portati alla Camera ancora sanguinanti, scatenando fortissime proteste.

A Reggio Emilia, il 7 luglio, il corteo con decine di migliaia di partecipanti fu caricato ferocemente dalla polizia che sparò oltre 500 colpi di arma da fuoco. Cinque lavoratori persero la vita: Lauro Ferioli (22 anni), Ovidio Franchi (19 anni, operaio), Emilio Reverberi (39 anni, operaio, ex partigiano), Marino Serri (41 anni, contadino, ex partigiano), Afro Tondelli (35 anni, operaio, ex partigiano).

A loro è dedicata “Per i morti di Reggio Emilia”, la struggente canzone scritta da Fausto Amodei. In quelle giornate gravissimi accadimenti si verificarono pure in Sicilia. Le grandi manifestazioni che si svolsero in molte località chiedevano anche lavoro e giustizia sociale. Le condizioni di vita dei lavoratori, dei contadini e degli strati poveri della società siciliana erano pessime. Sfruttamento, emarginazione e intensa emigrazione erano le caratteristiche principali che “qualificavano” gran parte della popolazione. E anche nell’isola, tutte le manifestazioni, di straordinaria partecipazione popolare, furono caratterizzate dalla reazione spietata della polizia e dei carabinieri, che caricarono i cortei e spararono. Il 5 luglio a Licata (in provincia di Agrigento) rimase ucciso Vincenzo Napoli, operaio di 25 anni e cinque manifestanti restarono feriti in maniera grave. Era stato indetto uno sciopero generale per il lavoro. Al grido di Licata non deve morire – Parteciparono ben 20.000 persone. L’8 luglio a Palermo restarono uccisi Francesco Vella, 42 anni, sindacalista della Cgil; Giuseppe Malleo, 16 anni; Andrea Gancitano, 18 anni, Rosa La Barbera, 53 anni, casalinga; 36 manifestanti furono feriti da proiettili, 400 i fermati, 71 gli arrestati.

Sui fatti del luglio 1960 in Sicilia una preziosa pubblicazione di Angelo Ficarra è stata edita alcuni anni addietro a cura dell’Anpi di Palermo: 8 luglio 1960, la battaglia di Palermo. Vi si legge: –

  • “Vado in centro e seguo il corteo – è la testimonianza di Luigi Ficarra in un intervento rievocativo al Comune di Palermo l’8 luglio 2006 – poi, seguendo gruppi di manifestanti, ritorno presso la ferrovia e trovo che l’hanno occupata. La polizia presente in notevoli forze non annuncia l’attacco. Sparano ad altezza d’uomo. Vidi cadere nel sangue, a meno di un metro da me, un giovane lavoratore, che poi seppi essere Vincenzo Napoli. Lottava per il pane ed ebbe il piombo. È un eroe del lavoro che non c’era, l’eroe di una lotta mancata”.

Nella giornata dell’8 luglio una imponente manifestazione popolare attraversò l’area urbana storica di Palermo. Le dinamiche, che si svolsero per gran parte della giornata di sciopero (iniziava alle ore 14), corteo e attacco da parte della polizia, riguardarono molti quartieri cittadini. Le iniziative iniziarono molto presto, davanti allo storico cantiere navale. Di mattina si erano recati Pio La Torre e Nicola Cipolla per informare gli operai della strage avvenuta a Reggio Emilia e dello sciopero che era stato indetto dalle organizzazioni sindacali. Nella pubblicazione viene riportata la testimonianza di Manlio Guardo – dottore in chimica e dirigente giovanile comunista, tra l’altro si legge: “(…) la furia incontrollata di chi dirigeva le forze dell’ordine è esplosa verso le 17.15, quando la massa dei dimostranti, dopo avere fatto fronte e numerose cariche, si è attestata in via Maqueda … Altri reparti militari, sembra apparentemente scollegati tra loro, nel frattempo entrano in azione vanificando ogni tentativo di non fare precipitare la situazione”. Angelo Ficarra scrive: “la battaglia continuerà fino a tarda sera con un terribile bilancio di violenza e di morte”.

L’8 luglio a Catania rimase ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato dalla polizia Salvatore Novembre, giovane lavoratore edile di 19 anni, proveniente da Agira (Enna), sposato da quarantacinque giorni, lavorava a Catania in un frantoio per attività edilizie. Era iscritto alla sezione catanese del Pci dedicata al martire fascista Rosario Pitrelli, originario di Caltagirone e trucidato alle Fosse Ardeatine a Roma. Molti altri giovani manifestanti rimasero feriti – tantissimi da arma da fuoco –, ufficialmente sedici portati in ospedale, che successivamente verranno arrestati e portati in giudizio, loro, non i responsabili dell’ordine pubblico.

I tragici eventi catanesi sono stati meticolosamente rievocati da Nicola Musumarra – allora ventenne protagonista dei fatti e militante nel Pci, ferito alla gola da un proiettile – in un libro edito dodici anni fa: 1960 fermammo Tambroni, 2011 fermeremo Berlusconi, con prefazione di Pietro Barcellona, ex componente del Consiglio superiore della Magistratura e deputato del Pci nell’VIII legislatura. 

Scrive tra l’altro: 

– “L’arrivo della polizia nella piazza (Stesicoro) fu accompagnato da una fitta sparatoria e che non sparassero in aria lo constatammo con gli schizzi che uscivano dalle angurie (rimaste esposte per la vendita) colpite dai proiettili. Lo constatammo anche dai primi compagni che caddero feriti. I poliziotti fecero il tiro a segno con i giovani lavoratori. Capimmo che la situazione era seria e grave. Invitammo i manifestanti a tenersi al riparo nelle traverse di via Gambino e di piazza Spirito Santo. Le pietre ritardarono l’avanzata dei poliziotti ma non poterono fermare le pallottole e le granate sparate contro noi giovani. I primi feriti vennero posti dentro le auto che riuscimmo a trovare nelle vicinanze e portati negli ospedali più vicini. Solo uno, Salvatore Novembre, rimase là sopra isolato e troppo vicino ai poliziotti e ai carabinieri, le grida non bastarono per farlo indietreggiare, per farlo mettere al riparo. Continuò a stare all’avanguardia per difendere il suo diritto a manifestare, fu colpito, mentre si difendeva riparandosi dietro un rudere, da un vile cecchino che mirò alla gola per ucciderlo”.

Nel pomeriggio dell’11 luglio si svolsero i funerali del giovane ucciso. La camera ardente era stata allestita nel salone della Camera del lavoro (via Crociferi), l’orazione funebre fu tenuta dall’avvocato Giovanni Albanese – antifascista catanese, già condannato dal Tribunale speciale durante la dittatura fascista –. Il corteo fu imponente: decine di migliaia di partecipanti accompagnarono il feretro – in primissima fila la giovane moglie –, attraversò per alcuni chilometri tutta l’area storica della città fin quasi al cimitero ubicato nell’estrema periferia. La Cgil nazionale fu rappresentata dal segretario Rinaldo Scheda, il Pci dagli onorevoli Giorgio Napolitano e Mario Alicata.

Il 19 luglio il governo Tambroni si dimise.

Domenico Stimolo

Vi proponiamo “Otto luglio 1960”, un prezioso docu-film di Ottavio Terranova con testimonianze e fotografie dei fatti che scossero l’Italia tra il 25 giugno e il 10 luglio, da Genova a Palermo passando per Roma e Reggio Emilia. Promosso dalla Cgil per non dimenticare, il documentario è firmato da una delle persone che scesero in piazza nel capoluogo siciliano in quei giorni: Terranova, oggi presidente del comitato provinciale Anpi Palermo, allora era segretario della Camera del Lavoro di Augusta. 

A questo link: https://www.patriaindipendente.it/primo-piano/1960-quel-luglio-di-rivolta-e-sangue – trovate il pezzo di Domenico Stimolo, se andate alla fine dello scritto trovate il video di cui sopra.

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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