Memoria bambina. Storia dell’uomo inglese che ha salvato il futuro del mondo
Una statua e un RomanzoIl nostro è, purtroppo, un tempo disgraziato e smemorato insieme. Delle molte tragedie che, come umanità, abbiamo vissuto, spesso ci dimentichiamo e altrettanto spesso tendiamo a non fare paragoni (molesti per la nostra psiche) con le molte altre tragedie di cui siamo, oggi – uso di nuovo l’avverbio di frequenza ‘spesso’ – spettatori indifferenti (non le cito perché ognuno di noi potrebbe compilare, con esse, una Lista assai lunga).
Dunque, ogni tanto, occorre dare una scossa alla nostra Memoria addormentata, riportando alla luce storie di (stra)ordinaria attenzione verso “gli altri da noi”, soprattutto quando si vivono tempi, come quelli odierni, di ordinaria indifferenza. La storia di cui leggerete tra breve è una di queste e fa da contraltare alle molte altre, di segno opposto, che i bambini vivono in tutto il mondo e che, come genere umano, non ci fanno affatto onore.
Dunque, siamo negli anni 1938-1939, poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale – e questa storia comincia con un viaggio nella foresta boema e termina con una Lista dattiloscritta che contiene 669 nomi e cognomi di bambini ebrei cecoslovacchi. Una Lista scovata in una soffitta, circa 50 anni dopo quel tempo funesto da una moglie curiosa, rovistando tra le vecchie carte dimenticate dal marito che di quella Lista e della storia che raccontava, mai aveva fatto parola, né con lei, né con nessun altro, per cinque lunghe decine d’anni. (*)
Devo qui aprire una parentesi, importante e in tema, sulla questione delle Liste. Noi, a Roma, conosciamo bene la Lista Kappler e la Lista Caruso, due Liste, poi diventate una unica, contenenti i 335 nomi e cognomi dei martiri delle Cave Ardeatine (tra poco più di un mese, ricorrerà il 79° anniversario di quella strage nazifascista e noi, come Sezione ANPI, tra qualche giorno lo ricorderemo in loco). E ancora, conosciamo bene le Liste dei “cittadini italiani di razza ebraica” compilate dai solerti Funzionari della Ripartizione ‘Demografia e Razza’ del Governatorato di Roma (leggi Comune); liste anagrafiche precise che permisero ai nazisti di portare a compimento, “a colpo sicuro”, la cosiddetta ‘Razzia del Ghetto di Roma”, del 16 Ottobre ‘43 che, per la verità storica, si svolse in tutta la città.
Ma noi italiani conosciamo anche bene altre Liste. Quella, per esempio, di Giorgio Perlasca (1910-1992), ex fascista volontario in Spagna, che – nel 1944, fingendosi il Console spagnolo a Budapest, Jorge Perlasca – salvò da morte certa circa 50mila ebrei ungheresi, i cui nomi e cognomi aveva segnato – e via via segnava – su dei foglietti volanti che teneva in mano mentre, alla Stazione ferroviaria di Budapest, li chiamava a gran voce e letteralmente li tirava giù dei vagoni dei “treni della morte” per ricoverarli all’interno di case sicure, protette dall’extraterritorialità e dall’immunità diplomatica, così salvando le loro vite arrivate ad un passo da una fine violenta. E ancora, conosciamo bene la Lista di Oskar Schindler (1908-1974) che, in Polonia, salvò oltre 1000 ebrei – i cui nomi e cognomi faceva via via figurare nell’elenco dei dipendenti a libro paga della sua Fabbrica a Cracovia. (*)
Negli ultimi due casi indicati si può affermare, senza tema di essere smentiti, che “La Lista è vita”, come ci ricorda una battuta tratta dal Film di Steven Spielberg, “Schindler’s List”, del 1993.
Ma c’è ancora un’altra Lista da aggiungere ai nostri ricordi, appunto quella che ho citato sopra, con i nomi e i cognomi dei 669 bambini ebrei cecoslovacchi il cui compilatore, il cittadino britannico Nicholas Winton, mi era, con la sua storia, perfettamente sconosciuto, fino alla lettura di un pezzo di Fabiano Massimi, traduttore e scrittore modenese, uscito sul Quotidiano Domani di Giovedì 16 Febbraio scorso. Una storia che è ricordata, da tempo, da una statua, collocata all’interno della Stazione ferroviaria di Praga https://it.gariwo.net/testi-e-contesti/shoah-e-nazismo/sir-nicholas-winton-l-eroe-modesto-13709.html.-
e ora anche da un Romanzo intitolato “Se esiste un perdono”, scritto proprio da Fabiano Massimi e da poco mandato in Libreria da Longanesi. E’ dunque utile (e necessario), si direbbe “per completezza e verità storica”, ma io preferisco dire, ‘per la quiete della nostra Memoria’, conoscere anche questa storia.
Ma prima, una piccola Premessa. Non tutti sanno che l’Organizzazione Umanitaria Internazionale indipendente, nota come “Save The Children”, nasce a Londra, il 15 Aprile del 1919. Da pochi mesi era finita la Prima guerra mondiale e ancora non era nata la Società delle Nazioni (nota anche come Lega delle Nazioni) che sarà fondata a Ginevra, il 10 Gennaio del 1920 e sarà sciolta il 20 Aprile del 1946 (la cui storia, va ricordato, non figura affatto tra le più lusinghiere per l’umanità) dopo la creazione, il 24 Ottobre del 1945 a San Francisco, dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
Perché ho ricordato quella data del 1919? Perché Save The Children entra nella storia di quei 669 bambini ebrei cecoslovacchi e lo fa grazie ad un’altra attrice primaria di questa storia. Si tratta di Doreen Warriner, una giovane volontaria inglese che l’Organizzazione Umanitaria Internazionale inviò in Boemia, in quel biennio drammatico, per occuparsi dei bambini che erano abbandonati a loro stessi, insieme ad altre centinaia, migliaia di profughi provenienti dai luoghi in cui via via acquistava potere il nazismo di Hitler, grazie anche all’arrendevolezza codarda delle democrazie occidentali convinte, così agendo, di fermare le dichiarate mire espansionistiche e guerrafondaie della Germania nazista. Una situazione allora unica, ma che oggi ce ne ricorda molte simili, in diverse parti del globo terrestre. Ma proseguiamo con la nostra storia. (**)
E’ il Natale del 1938 ed è allora che Nicholas Winton incontra la Warriner in Boemia e decide, con lei, di occuparsi di quei bambini abbandonati. Winton riesce ad ottenere centinaia e centinaia di nomi, con i quali compone una lunga Lista dattiloscritta; pubblica i loro volti e le loro storie e così convince – organizzando anche il loro viaggio in treno e nave fino nel Regno Unito – molte famiglie inglesi ad adottate quei cuccioli dell’uomo, che proprio l’uomo (leggi il genere umano) aveva abbandonato al loro destino e che – in quanto ebrei – rischiavano la vita.
Qui termina la prima parte di questa storia. Per conoscere la seconda abbiamo dovuto aspettare esatti 50 anni e dobbiamo ringraziare la curiosità della Signora Winton, ma non solo la sua. La storia di Nicholas Winton, infatti, nel 1988, arrivò all’orecchio della giornalista dell’Emittente radiotelevisiva inglese BBC, Esther Rantzen, che conduceva un Programma TV intitolato “That’s Life” (“Così è la vita”), una specie del nostro “C’è Posta per Te” (che le TV di Berlusconi non hanno inventato niente di nuovo).
In quella puntata del 1988, la Rantzen aveva invitato proprio Nicholas Winton, riservandogli, con una scusa, un posto in prima fila nello Studio televisivo. Ad un certo punto, la giornalista cominciò a raccontare la storia del salvataggio di quei 669 bambini ebrei cecoslovacchi; mostrò al pubblico in sala e a quello davanti alle TV, la Lista dattiloscritta con i nomi e i cognomi di quei bambini e ne lesse alcuni, tra cui quello di Vera Gissing. Poi, chiese se la Signora Gissing si trovasse in Sala e allora una donna anziana, seduta proprio vicino a Winton, si alzò in piedi e abbracciò l’uomo che le aveva “regalato” la vita, salvando il suo futuro, senza chiedere niente in cambio A questo punto la giornalista chiese se in Sala si trovasse qualcun altro che doveva la vita a quell’anziano signore seduto in prima fila e sempre più incredulo. Come per incanto, tutti gli spettatori seduti in platea si alzarono in piedi e cominciarono ad applaudire Winton: Decine e decine di uomini e donne, ormai avanti negli anni ma vivi grazie a lui, gli tributavano il dovuto omaggio che lui, in cinquant’anni, non aveva mai, né cercato, né chiesto.
Ho già usato questa espressione per Adriano Olivetti, in un altro contesto. La ripeto ora per Nicholas Winton: “uomini così, purtroppo, non se ne fanno più”, Uomini come Giorgio Perlasca e Nicholas Winton capaci – nei momenti bui dell’umanità – di scoprirsi uomini veri, di capire quale sia la parte giusta della Storia dalla quale stare e capaci di agire per lasciare una traccia, un segno indelebile del loro passaggio sulla terra: un segno, diremmo così didattico, nella migliore delle accezioni di questo termine specialistico, usato nelle Scienze dell’Educazione, ma qui affatto fuori luogo.
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Nota linguistica: “’didattico’, da “didattica” s. f. – Parte della teoria e dell’attività educativa che concerne i metodi d’insegnamento; si distingue una d. generale, in quanto applicazione […] a ogni insegnamento di norme comuni, derivate soprattutto dalla conoscenza dello sviluppo psicologico e della maturazione intellettuale del discente, e una d. speciale, come adattamento di un particolare metodo a una specifica disciplina.” (Vocabolario Treccani della Lingua Italiana).
(*) La storia di Giorgio Perlasca è stata raccontata, per la prima volta in Italia, da Enrico Deaglio nel suo “La Banalità del Bene, La storia di Giorgio Perlasca”, Feltrinelli, 1991. Dal libro è stato tratto, nel 2002, lo Sceneggiato RAI “Perlasca”, scritto da Sandro Petraglia e Stefano Rulli e interpretato da Luca Zingaretti.
(**) Occorre ricordare che il territorio della Boemia e della Moravia era sotto Protettorato nazista dal 15 Marzo 1939, quando la Germania aveva invaso la parte occidentale della Cecoslovacchia, costituita appunto dalle Regioni di Boemia e Moravia. Reich Protector di quei territori venne nominato il Gruppenführer (Generale) delle SS Reinhard Tristan Eugen Heydrich (1904-1942), soprannominato il ”Boia di Praga”, che venne ucciso dai partigiani cecoslovacchi il 4 Giugno 1942.
Per rappresaglia a quell’attentato i nazisti, il 10 Giugno 1942, rastrellarono e distrussero l’intero villaggio di Lidice, nell’attuale Repubblica Ceca, e uccisero tutti i 173 uomini adulti presenti nel villaggio, portando via donne e bambini. Alcuni di loro vennero scelti per essere “germanizzati” e per questo affidati a famiglie ariane tedesche. Ad attendere gli altri 82 – 42 femmine e 40 maschi, da uno a 16 anni di età – c’erano invece le camere a gas del Campo di sterminio di Chelmno, in Polonia. A loro, è dedicata una scultura che oggi si trova davanti al Lidice Memorial (https://www.lidice-memorial.cz/en/).
Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”