Memoria del “Cuore”: Chi si ricorda del socialista Edmondo De Amicis? Un libro
S’intitola “Avanti!. ma non troppo, l’insospettabile vita di De Amicis”, opera di Giorgio Caponetti, scrittore torineseQuando ero piccolo, mi pare fossi in 4ª Elementare, mi regalarono il Libro intitolato “Cuore”, “Racconto per ragazzi”, recitava, secco, il sottotitolo. Il libro era di uno scrittore piemontese di nome Edmondo e cognome De Amicis. Lo portai a Scuola (mi piaceva, era piccolo e aveva una copertina rossa e impressioni dorate) e il Maestro me ne fece leggere alcune pagine, dritto in piedi davanti ai miei compagni. Mal me ne incolse. Perché, scoperto che il cattivo del Romanzo si chiamava Franti, la storpiatura così del mio cognome mi rimase appiccicata – ad opera dei miei compagni di classe di cui sopra – per tutto il giorno e oltre. Quel giorno ho capito quanto i bambini sanno essere cattivi, se vogliono. Ma, nonostante quella brutta esperienza, quel libro è rimasto tra i miei. E c’è ancora oggi, sebbene non lo avessi amato non me la sono sentita di farlo diventare carta straccia.
La “rievocazione” che avete letto mi serve per introdurre il libro che vi presento oggi. S’intitola “Avanti!. ma non troppo, l’insospettabile vita di De Amicis”, lo ha scritto Giorgio Caponetti, scrittore torinese (ma anche ex componente del Gruppo dei “Cantimbanchi”, con in repertorio canzoni popolari e di protesta) e lo ha pubblicato la Francesco Brioschi Editore. Come ho scritto, non ho amato “Cuore” (pubblicato dall’Editore socialista Treves il 1° Ottobre del 1886, primo giorno di Scuola) ma, con il tempo, ho provato a conoscere meglio il suo autore il cui nome – che si deve ad Edmond Dantes, il famoso Conte di Montecristo del Romanzo di Alexandre Dumas padre – e cognome incontravo, ogni tanto, in alcuni libri sul Risorgimento. De Amicis (1846-1908), infatti, da militare di carriera, aveva partecipato col grado di Sottotenente, alla Terza Guerra d’Indipendenza (20 Giugno – 12 Agosto 1866) e, nel Settembre del 1870 – abbandonata la carriera militare e abbracciata quella di giornalista – si trovava a Roma, come inviato del Quotidiano La Nazione, di Firenze, per documentare la famosa Breccia di Porta Pia, cosa che pare abbia fatto egregiamente.
Ma De Amicis era un irrequieto e girò mezzo mondo: Spagna, Francia, Olanda Inghilterra, scrivendo i suoi reportages, come inviato dell’allora famosa Rivista “l’Illustrazione Italiana”, reportages poi pubblicati in Volume. Insomma, il De Amicis – per dirla con Nanni Moretti – “girava il mondo, vedeva gente, faceva cose”, ma nessuna gli dava la notorietà di cui, probabilmente, aveva bisogno. Questo fino a quando l’Editore socialista Treves – che De Amicis incontrava regolarmente al Caffè Florio, di Torino, insieme a Ricasoli, Lombroso, Giacosa e Nietzsche – non gli pubblicò appunto il suo “Cuore”. Fu un grande successo editoriale: 40 Edizioni, decine di traduzione, forse il libro, ad oggi, più pubblicato e diffuso in giro per il mondo. Per De Amicis, arriva così la notorietà (terrà decine e decine di Conferenze) e anche la tranquillità economica.
Ma la vera svolta della sua vita arriva quando, sempre, al Caffè Florio, di Via Po 8, De Amicis incontra Filippo Turati e Anna Kuliscioff. E’ il 1867, e lo scrittore di Oneglia (oggi Imperia) inizia, con i due noti militanti politici socialisti, grandi discussioni sul socialismo e l’idea lo conquista. Così, nel 1890, scrive “Il Romanzo di un Maestro”. Non il seguito di “Cuore”, ma tutta un’altra storia, rispetto al suo best seller. Nel “Romanzo di un Maestro”, infatti, non ci sono più i toni mielosi e gli accenti nazionalistici di “Cuore”. Garrone, il buono per antonomasia, è scomparso dal palcoscenico e i personaggi che vanno in scena sono tutti Franti (per tornare all’inizio). La Torino che De Amicis vive allora ha 250mila abitanti e quasi 30mila vivono in soffitte fetide e fatiscenti, adibite anche a laboratori, cioè a luoghi diffusi di sfruttamento del lavoro, anche minorile. Ci sono molti bordelli e cresce il numero delle prostitute e dei suicidi tra i giovani. Così anche la Scuola, nella nuova narrazione deamicisiana, ne risente.
Come ho scritto, spariti i Garrone restano i Franti. La Scuola non piace più ai genitori (perché ruba braccia all’agricoltura e al lavoro in Fabbrica e dunque soldi alla famiglia); la “Maestrina dalla Penna Rossa”, è uscita definitivamente di scena e le sue colleghe, adesso, hanno un’aria provocatoria, che suscita turbamenti. Insomma: la realtà effettuale delle cose è cambiata, irrompe sulla scena della Torino, Capitale del Regno D’Italia e dice la sua, con violenza e questa violenza cambia tutte le carte di un tavolo, quello della vita, apparecchiato in modo ormai superato. (*)
Anche Edmondo De Amicis cambia. La sua scrittura si fa più sobria, più attenta al sociale e nella sua di vita, è il 1891 e lui ha 45 anni, decide di aderire al Partito Operaio Italiano che allora, nel Parlamento di Torino, esprimeva un solo Parlamentare, Andrea Costa. L’adesione al Partito Operaio è, per uno come lui, un passo audace. Significa rinnegare tutto il passato; significa tradire la sua classe, la borghesia, che da allora in poi lo guarderà malissimo (d’altronde, si dice che le Rivoluzioni vedano in azione, spesso in ruoli di vertice, i traditori della propria classe) Ma la strada è ormai tracciata. Da allora in poi, il socialista Edmondo De Amicis racconterà la vita dei poveracci, dei proletari, di quelli che non hanno da vendere altro che le loro braccia. (**)
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Nota cinematografica: per capire meglio il De Amicis socialista consiglio di vedere o rivedere (lo si può fare su Rai Play) un film indimenticabile. E’ del 1963, lo ha diretto Mario Monicelli e s’intitola “I Compagni”, Interpreti: Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Annie Girardot, Bernard Blier e Raffaella Maria Roberta Pelloni, in arte Raffaella Carrà.
Due righe di trama: Torino, fine Ottocento: le 13 ore lavorative sono troppo pesanti e causano infortuni; le assenze per malattie non vengono pagate. Gli operai dell’industria tessile, coadiuvati da un professore socialista, scioperano.
Una recensione:
Splendido affresco della Torino operaia del XIX secolo (rinvenuta a Cuneo), con tanto di canti d’epoca, immerso in una fotografia (di Rotunno) che sfrutta mirabilmente fumi e grigiori, stile Londra cinerea dell’Oliver Twist di Lean. La generosa scrittura corale è un coacervo di pressoché tutti i temi possibili che era doveroso affrontare con taglio drammatico-storico-politico-sociologico: le rivendicazioni socialiste sul salario e l’orario di lavoro, la necessità dell’alfabetizzazione, della solidarietà, della tenacia contro gli interessi dei capitani di industria. Ci sono pure accenni al diritto alla parità delle donne, alla tolleranza per chi fa “la vita” per necessità e critiche al freddo distacco dell’intellettuale che, per la Causa, trova vittime sacrificabili. La gran classe degli autori sta nel non fare mai dell’opera un apologo troppo apertamente didascalico: gli sceneggiatori Age/Scarpelli mettono al servizio di Monicelli la loro abilità nello schizzo che racchiude un universo significante, dilatano a personaggio tridimensionale/archetipico il bozzettismo sui vari personaggi (l’operaio grasso, manesco ma generoso; la schiettezza popolana di Celestina; il siciliano ferito nell’orgoglio), con una rappresentazione a largo raggio della tipica fauna italiana/dialettale che diventa mezzo paradigmatico e indirettamente significativo (vedi il bellissimo finale, dove la figura del ragazzino che lascia la scuola per raggiungere la fabbrica chiude il cerchio della riflessione critica). Un lavoro di scrittura eccellente, di raro impegno per artisti di solito vo(l)tati al botteghino, plausibilmente incoraggiati dal successo di un La Grande Guerra (stesso trasferimento temporale della tipica commedia all’italiana, stesso piglio drammatico-comico): purtroppo, fu un sonoro flop negli anni del boom economico, poco propensi a “seriosi” (!) atti memoriali delle lotte operaie. Monicelli, in realtà, qui non rinuncia certo alla risata, semplicemente inverte i termini: invece che commedia con sfondo amaro di critica sociale, ecco una struttura drammatica e d’impegno con tracce macchiettistiche. E non c’è una caduta di tono o stilistica, né alcuna concessione corriva/ammiccante, solo del panegirico ideologico di partito (comunista) quando si tratta di schizzare l’uomo di sinistra (la maschera eccezionale di Mastroianni, con capello lungo da intellettuale e fare perennemente affamato), i capitani di industria melliflui raggiratori e inumani schiavisti e tutto il popolino rozzo, ignorante ma (solo) genuino e divertente, solerte all’unione nella lotta di classe. Un’opera insolita nella filmografia di Monicelli, riallacciabile al neorealismo e al formalismo stalinista-sovietico, ma senza la faziosità di quest’ultimo.
(12 Gennaio 1999)
(*) La Maestrina dalla Penna Rossa è esistita per davvero. Si chiamava Giuseppina Eugenia Barruero. Era nata nel 1860 e visse a Torino, in Largo Montebello, 38, Zona Vanchiglia (una targa la ricorda). Si dice facesse, appunto, la Maestra elementare, e che il De Amicis fosse stato ispirato da lei nel dare vita al personaggio del libro, un’insegnante molto dolce verso i propri allievi, e dotata di un grande senso materno. La vita di questa donna fu molto lunga per quei tempi, e, quando morì nel 1957, il popolare Settimanale italiano “La Domenica del Corriere”, fondato a Milano nel 1899, le dedicò la copertina, riportando in prima pagina la notizia del su, decesso.
(**) Il Partito Operaio Italiano (POI) di orientamento socialista, fu fondato nel 1882 per iniziativa del Circolo operaio milanese, e in particolare di C. Lazzari e di G. Croce, che assieme alla rivista La Plebe promosse un incontro nazionale tra diverse associazioni e gruppi di lavoratori. Nel 1882 il POI si presentò alalle elezioni, raccogliendo pochi voti ma riuscendo comunque a eleggere in Parlamento un suo rappresentante. L’anno seguente il partito si dotò di un giornale, Fascio operaio, e nel 1885 tenne il suo 1° Congresso. Nello stesso anno Fascio operaio fu soppresso per la prima volta, mentre nel 1887 e nel 1889 vari componenti del Comitato Centrale furono arrestati per incitamento allo sciopero. Solo nel 1890, peraltro, il partito sposò ufficialmente l’ideologia socialista e aderì alla seconda Internazionale. Al 7° Congresso (1891) esso prese il nome di Partito dei Lavoratori Italiani. Dinanzi al sorgere delle prime Camere del Lavoro e all’attività di preparazione per la nascita del Partito Socialista, il POI vide venire meno la sua funzione, cosicché i suoi militanti finirono in gran parte per confluire nel Partito Socialista Italiano.
(Fonte:www.treccani.it/enciclopedia/partito-operaio-italiano_%28Dizionario-di-Storia%29/).
Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”