Memoria del Volley… ed è stato di nuovo Tango
Ovvero, quando le donne fanno squadraGrazie Caterina!
Quelli della mia età si ricorderanno0 certamente di Caterina Caselli (“Casco d’oro”) quella di “Nessuno mi può giudicare” e di altri grandi successi degli anni ’60 / ’70. Bene, dopo avere smesso di cantare Caterina Caselli è diventata una Imprenditrice nel campo musicale, poi di lei i media non si sono più occupati. Ma, razzolando un po’ in Rete ho trovato il video di cui qui avete l’URL: (https://youtu.be/t9FoaQRT3ts?t=19) nel quale la Caselli ci racconta dei diritti negati alle donne afgane e iraniane.
Ascoltare, vedere, riflettere e possibilmente agire, magari firmando gli Appelli di Amnesty International. Grazie Caterina!
“Chi vince festeggia, chi perde spiega,” (Julio Velasco, CT della Nazionale Femminile Italiana di Volley)
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Ebbene sì, le ragazze della Nazionale Italiana di Volley, le nostre “ragazze terribili”, ce l’hanno fatta. Arrivate in finale olimpica – dopo un torneo nel quale hanno regalato solo un Set alla Repubblica Domenicana, vincendo tutte le altre partite per 3-0 – hanno battuto in finale la squadra USA (delle campionesse olimpiche uscenti) e si sono prese la medaglia d’oro, salendo in 13 (tutte le titolari) sul gradino più alto del podio.
Un po’ del merito di questo percorso netto ce l’ha anche Julio Velasco, ex CT argentino (ma ormai da anni italiano) della Squadra di Volley maschile e da qualche mese CT dell’ItalVolley Femminile. Julio Velasco, Classe 1952 da La Plata, quello venuto da lontano da un Paese per anni martoriato da assassini in divisa che gli hanno rapito il fratello (poi fortunatamente reapparecido) l’hanno costretto a fuggire, portandosi dietro solo la passione per il Volley.
Julio Velasco, quello della “Generazione dei Fenomeni”, che ha preso la Squadra femminile in mano e in quattro mesi l’ha trasformata in una macchina da guerra, consapevole della propria forza e della propria capacità di battere qualunque avversario. A lui – Professore mancato di Filosofia “per cause indipendenti dalla sua volontà” – hanno spesso chiesto cosa la Filosofia gli abbia lasciato. E lui così ha risposto: “mi ha lasciato la consapevolezza della complessità delle cose, della precarietà della verità e l’idea molta chiara che non ci può essere una sola idea su nulla.”. “Ma anche” – ha spiegato ancora – “mi ha lasciato un modo di pensar4e e un metodo di lavoro.” (*)
Julio Velasco, il ”filosofo” del Volley
Studente di Filosofia, all’Università di Buenos Aires, Velasco non terminerà il Corso di Laurea per sei esami che non potrà sostenete a causa della sua militanza politica nel Movimento degli Studenti. Venuto in Italia e diventato, a Modena con la Squadra della Panini, un importante allenatore di Volley (la sua seconda passione) verrà spesso dato per laureato. Ma così non è, E in molte interviste sempre puntualizzerà:
“No, non sono laureato”, anche se la Filosofia lo ha aiutato a perfezionare il suo metodo di allenamento che non si basa solo sulla conoscenza approfondita della tecnica di gioco, ma riguarda la persona dell’atleta nella Sua interezza e il ragionamento che l’atleta deve fare b- in campo – su ogni palla che gioca anche va giocata per vincere la partita all’interno di un ben preciso gioco di squadra.
E le nostre ragazze hanno dimostrato di avere appreso la lezione loro impartita, facendo squadra e comportandosi come fossero una Ensemble musicale in cui le individualità come Paola Egonu e Ekaterina Antropova, ma anche come Miriam Sylla, per citarne solo tre, hanno interpretato alla grande la loro parte dello spartito, sotto la direzione di Velasco, costruendo un’esecuzione stellare, insieme alle altre compagne e alla fine eseguendo. “una musica che è speranza, una musica che è pazienza.” – avrebbe cantato loro Ivano Fossati (copyright “La mia banda suona il rock”, 1979) – giocando una palla alla volta, senza pensare a quello che era stato e a quello che sarebbe venuto. Con Velasco i ragazzi della “Generazione dei Fenomeni”, avevamo “ballato il tango”, vincendo tutto quello che c’era da vincere. Ora con le “Ragazze Terribili” dell’ItalVolley è stato di nuovo Tango e che Tango!
Si dice che il Tango sia “un pensiero triste che si balla”, secondo la definizione data da Enrique Santos Discépolo, musicista argentino e conpositore di Tanghi moderni. Il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges (1889-1996) non era affatto d’accordo con questa definizione, ritenendo che il Tango – lui si riferiva a quello antico, nato nel 1880 nei bordelli del Barrio Sur di Buenos Aires – fosse, invece, una emozione.
Jorge Luis Borges, “Il Tango” (Adelphi, 2019):
Il tango, è stato scritto, è «un pensiero triste che si balla». Ma la malinconia del tango, la sua natura di scena drammatica, di lamento amoroso, di ballo lento, languido e voluttuoso, sono legate al periodo in cui si afferma nelle capitali europee (a Parigi, anzitutto) e viene universalmente accettato. Un periodo che a Borges poco interessa, perché nulla ha a che vedere con le sue origini di ballo audace e indecente, di «rettile da lupanare», come lo definiva Lugones. Per salvaguardare quelle origini lontane, nell’ottobre del 1965 Borges ha tenuto un ciclo di quattro conferenze che, fortunosamente registrate, solo di recente sono tornate alla luce e sono diventate un libro, inatteso e sorprendente.
Perché nelle parole di Borges rivivono la Buenos Aires della sua infanzia – una piccola città di case basse con il patio, senza alberi, circondata da campi aperti – le milonghe e le habanera che sono all’origine del tango, i locali infami dove lo si danzava, frequentati da guappi maestri di coltello e di ardimento, da rissosi niños bien, da magnaccia e donne di malaffare.
Ma soprattutto rivive l’anima di quei tempi: la provocazione disinteressata, l’allegra spavalderia, il gusto di sfidare il più forte solo per mettere alla prova il proprio coraggio – la felicità del coraggio. Esattamente ciò che vibra nel tango originario, simbolo di felicità.
E proprio una serie di emozioni è stata la finale olimpica dell’11 Agosto 2024 che le nostre ragazze in azzurro hanno dominato dall’inizio alla fine, rispondendo appieno alla massima trasmessa loro dal CT Velasco: “Qui e ora” (ovvero, mai pensare a quello che è stato ma giocare “una palla alla volta”) e tenendo fede ad una promessa che le ragazze si erano fatta tra loro:, portare a casa la medaglia d’oro olimpica, cosa mai successa prima nella Storia del Volley, italiano, non solo femminile. E le ragazze – che erano Campionesse Europee e Vice Campionesse mondiali, ora sono anche – fino alla prossima Olimpiadi di Los Angel nel 2028 -. Campionesse olimpiche.
Olimpiadi di Parigi, 2024, il cammino dell’ItalVolley femminile verso la medaglia d’oro Girone C: Italia- Rep. Domenicana 3-1; Italia – Olanda 3-0; Italia -Turchia 3-0.
Quarti di Finale: Italia-Serbia 3-0. Semifinale: Italia-Turchia 3-0 Finale: Italia-Stati Uniti 3-0. Un solo set perso su 18 giocati. .
Un antico proverbio argentino recita: ”Nadie te puede quitar lo ballado” , ovvero “Nessuno potrà mai toglierci quello che abbiamo ballato”. Velasco e le nostre “Ragazze Terribili” l’hanno reso palese, dimostrandone sul campo la veridicità. E dunque. E dunque, in questo Torneo olimpico di Parigi, per le maglie azzurre è stato di nuovo Tango!
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Spero che vorrete perdonare queste righe, frutto della mia passionaccia per il Volley, ma è che, mentre guardavo quella finale olimpica ho pensato a cosa possono fare le donne quando fanno squadra; quando, cioè, si “giocano”, una partita o la loro vita, organizzate e sicure, perché coscienti della loro forza.
Ho spesso scritto di donne sconfitte perché vilipese, tradite e uccise (145 sono i femminicidi in Italia dal Gennaio 2024). Ora, e qui volevo, una volta tanto, scrivere di donne vittoriose e le nostre 13 ragazze in azzurro me ne hanno data l’occasione.
Lorenzo (Lollo) Bernardi oggi terzo allenatore dello Staff di Velasco e ieri giocatore della Generazione dei fenomeni, nonché “Mister Secolo” della Pallavolo, titolo che porta insieme a Karch Kiraly, il CT della Nazionale femminile USA – ha concluso la sua intervista post finale di partita con queste parole:
”Le ragazze sono entrate nella Leggenda.. Le Leggende vincono l’oro e loro l’hanno vinto.”.. E’ vero. Dunque, anche per questo: Grazie Ragazze e grazie Julio, per sempre.
Sergio Mattarella e il Volley:
Un tifoso importante del nostro Volley è il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che non perde mai un incontro delle nostre Nazionali (e del Campionato italiano) e ha invitato tutti gli atlet6i olimpici e paralimpici italiani al Quirinale, il 23 Settembre prossimo, per la riconsegna delle bandiere sfilate a Parigi, grazie ai nostri portabandiera, nella cerimonia di apertura dei Giochi.
Alla cerimonia – per decisione del Presidente della Repubblica – sono stati invitati anche gli atleti olimpici e paralimpici che si sono classificati al quarto posto, piazzamento non premiato con una medaglia, ma egualmente rilevante.
Chiudo davvero con una curiosità. C’è un piccolo paese nel Bresciano – Roccadelle, novemila abitanti, che può, a pieno titolo, entrare nel Medagliere olimpico di Parigi 2024, accanto a Nazioni ben più blasonate, sportivamente parlando.
Il paesino del bresciano vanta infatti ben tre medaglie d’oro conquistate da atleti suoi cittadini a Parigi.2024. dopo Giovanni De Gennaro, primo gradino del podio olimpico nella canoa K1 slalom e Alice Bellandi, campionessa di judo (categoria 78 kg), anche Anna Danesi, centrale e capitana della Nazionale femminile di Volley, porta a casa una medaglia d’oro che, sul gradino più alta del podio all’Arena Sud di Parigi, si è scambiata con l’amica e compagna di Squadra Miriam Sylla.
Qualcuno ha provato a spiegarsi l’origine di questo fenomeno sportivo, ipotizzando poteri miracolosi nell’acqua del paesino bresciano. A noi – felici per la coincidenza – piace, invece, pensare che sia stata opera del destino, per una volta tanto né cinico, né baro.
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(*) Occorre ricordare, per la Storia e la nostra Memoria, che anche nella città di La Plata la dittatura militare di Jorge Rafael Videla colpì duramente tra gli studenti. Tra i molti studenti desaparecidi in quegli anni si ricordano, in particolare, i 17 giocatori della Squadra del La Plata Rugby Club, -noti anche come “Los Canarios” (“I Canarini”) per il colore giallo canarino della maglia con la quale scendevano in campo – mtutti scomparsi e mai più riapparsi (dell’intera “panchina” del La Plata Rugby Club, per altro vincitore di un Campionato Nazionale di rugby a 7, solo uno dei giocatori si salverà dalla morte, si chiamava Raul Bandiaran e i suoi genitori erano di origine italiana). Quei 17 studenti e atleti – come Julio Velasco racconta di sé in quegli anni argentini – erano tutti “contestatari” dell’ordine sociale che la dittatura militare voleva imporre al Paese e per questo andavano eliminati, come, in effetti, è stato attraverso i “voli della morte” che partivano dalla ESMA, la Scuola di Meccanica della Marina Militare divenuta, dal 1975 al 1983, un famigerato Centro di detenzione tortura e morte e, dopo la caduta della dittatura militare, trasformato in Luogo della Memoria.
Sulla storia e sulla fine tragica del La Plata Rugby Club si può leggere “Mar Del Plata, il libro scritto nel 2013 da Claudio Fava, per i tipi della ADD Editrice e/o vedere in Rete il Docufilm (sempre del 2013) di Marco Silvestri intitolato “Nobajenlosbrazos”, prodotto da NACNE-RAI.
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