Memoria di Primo Levi. Chi era Lorenzo Perrone

E perché non si è parlato mai di lui. Un Libro
Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini” - 5 Marzo 2023

Ci sono uomini che, nei momenti importanti della loro vita e della Storia dell’umanità, fanno gesti importanti, gesti che lasciano il segno, che salvano vite e poi tornano a vivere nell’ombra e nessuno si ricorda più di loro, nessuno conosce e racconta la loro storia. Di questi tempi credo ci sia, invece, molto bisogno di farle uscire dall’ombra queste storie perché, anche se quegli uomini non ci sono più, per ragioni anagrafiche, noi che restiamo abbiamo bisogno ancora di loro. Abbiamo bisogno di conoscerli, per continuare a resistere alla tentazione di tirarci in disparte, di farci prendere dal virus dell’indifferenza, di spegnere l’interruttore della conoscenza e dell’azione concreta che da questa deve nascere. “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”. Così scriveva Antonio Gramsci, sul primo Numero di L’Ordine Nuovo, uscito il primo Maggio del 1919.

Uno di questi uomini destinati a lasciare un segno si chiamava Lorenzo Perrone, era nato nel 1904 a Fossano, Piemonte, Italia e di professione faceva il manovale trasfertista. Emigrato in Francia, nel 1940, lo ritroviamo volontario ad Auschwitz e il suo cuore smette di battere (in un corpo fiaccato dall’alcol e dalla tubercolosi) la notte del 30 Aprile 1952, dopo avere passato gli anni del dopoguerra a vendere rottami di ferro.

Perché spendere delle parole per “un uomo di poche parole” come Lorenzo Perrone? Perché lui è l’uomo che, rischiando ogni giorno la vita nella “Fabbrica della Morte” di Oswiecim-Auschwitz, ha salvato quella di Primo Levi, il deportato n.174517. Perché di lui parla l’ultimo Saggio dello Storico Carlo Greppi (“Un uomo di poche parole”, Laterza, 2023); perché di lui e della sua storia è giusto fare Memoria.

In “Se questo è un uomo”, Primo Levi ha scritto: “credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi”. Ma chi era quel Lorenzo? Era appunto Lorenzo Perrone che viveva fuori dal reticolato di Auschwitz III-Monowitz, il Lager dove Primo Levi era rinchiuso. Lorenzo Perrone era un uomo povero, burrascoso e quasi analfabeta che parlava solo il dialetto; l’uomo. che tutti i giorni, per sei mesi, portò a Primo Levi una gavetta di zuppa che lo aiutò a compensare la malnutrizione del Lager. E non si limitò ad assisterlo nei suoi bisogni più concreti: andò ben oltre, rischiando la vita anche per permettergli di comunicare con la famiglia e quando Levi gli faceva notare che così facendo rischiava la vita, Lorenzo Perrone rispondeva: “Non me ne importa niente”.

Perrone si occupò del suo giovane amico come solo un padre avrebbe potuto fare. La loro fu un’amicizia straordinaria che, nata all’inferno, sopravvisse alla guerra e proseguì in Italia, tra il ricordo del Lager e le bevute in Osteria, fino alla morte di Lorenzo Perrone nel 1952. Primo Levi non lo dimenticò mai: parlò spesso di lui e chiamò le sue figlie Lisa e Lorenza.

Lorenzo Perrone, non era un eroe previsto, era uno normale, uno “scarto della pietra”, meglio della Storia, un poveraccio, Uno che, se lo incontri per strada, magari lo scansi. Ma era la carogna che diventa santo. Era uno che aveva visto gli uomini del Lager trasformarsi, giorno dopo giorno, in larve umane e poi morire. Era semianalfabeta, parlava solo il dialetto e mai avrebbe pensato (e potuto) raccontare per iscritto la sua storia. Così è stato Carlo Greppi a restituirgli la voce, perché tirasse fuori di sé e raccontasse la sua storia e con quel racconto lasciasse di nuovo il segno, un segno indelebile che il tempo aveva solo nascosto. Dunque, un libro da leggere, con gli occhi, ma anche (e forse soprattutto) con il cuore.

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”

 

Dar Ciriola

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