Memoria educativa. Storia delle Querce di Lorenzo e di Mary
“il Padrone sa mille parole, tu ne sai cento. Ecco perché lui è il padrone”
(Don Lorenzo Milani, Priore di Barbiana,1923-1967)
Le parole sono importanti – scriveva Carlo Levi – bisogna conoscerle e usarle bene perché possono diventare pietre, ma anche la chiave per arrivare a conoscere le cose del mondo. Conoscere le parole e dominarle è fondamentale e Don Lorenzo Milani, il prete della Scuola di Barbiana (1954) ma anche di quella di quel piccolo Borgo di Montagna del Mugello chiamato San Donato di Calenzano (PI) la Scuola Serale Popolare di) da lui fondata nel 1947.
Ricordando che il 27 maggio 2023 si è celebrato istituzionalmente a Barbiana il centenario della nascita di don Lorenzo Milani (Lorenzo Milani Comparetti – Firenze, 27 maggio 1923 – Firenze, 26 giugno 1967) con la presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dello stesso Papa Bergoglio – egli era prima Prete e poi Educatore (in entrambi i casi, intendendo i due termini nel senso più ampio) lo sapeva bene quando abbracciò le sue due vocazioni.
Sapeva di non poter fare il Prete se prima non avesse insegnato ai “suoi figlioli” – come chiamava i ragazzi e le ragazze di quel Borgo toscano di montagna in cui lo avevano esiliato per tentare di farlo smettere di essere e fare – a conoscere e padroneggiare le parole e a capirle. Cosa importante da fare perché – diceva loro – “ogni parola che non capisci oggi è un calcio in culo domani.” Ma dove si insegnano le parole? A Scuola, naturalmente. Che fare, però, se la Scuola ufficiale è come un Ospedale che “cura i sani e respinge i malati”? Inventare un’altra Scuola, una scuola diffusa, che per essere e fare non ha affatto bisogno di un luogo specifico, si può fare, infatti, dove capita. Una Scuola che insegni a parlare, a scrivere e a fare di conto, certo, ma insegni anche a pensare e ragionare, insieme, per capire e interpretare la realtà, primo passo per poi poter agire su di essa. pensare.
Immanuel Kant (1724-1804) insigne Filosofo tedesco di Konisberg, nella sua Opera intitolata Pedagogia (1803) scriveva che: “Lo studente non deve imparare dei pensieri, ma a pensare; non lo si deve portare ma guidare, se si vuole che in seguito sia capace di camminare da solo.” A chi Don Milani doveva insegnare? A quelli che non avevano voce, perché quelle 900 parole che il padrone sapeva in più, loro non le conoscevano. Insegnare ai cafoni, a quelli che la Scuola ufficiale respingeva – “Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete», Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.” (“Lettera a una professoressa”, testo collettivo, Barbiana, 1967) a quelli che, alla fine, decideranno di smettere di “spalare merda” per fare scuola 12 ore al giorno, per 365 giorni l’anno, una Scuola senza voti, ma anche senza vacanze. Decideranno di fare scuola con Don Lorenzo Milani, per diventare uomini e donne capaci di essere parte attiva e responsabile della società in cui era loro capitato di nascere. (*)
E dove fare Scuola? Dove capitava. Ogni posto era buono. Si poteva fare scuola, tempo permettendo, si capisce, anche all’aperto, per esempio sotto una Quercia secolare, la grande Quercia. E così è stato fatto a Barbiana.
Ma l’idea della Quercia come luogo alla cui ombra fare scuola non era sua. Don Milani – uomo di cultura grande e raffinata, nato nel 1923 (l’anno della Riforma Gentile della Scuola Elementare) da una ricca famiglia toscana — l’aveva scoperta leggendo di Mary Peake, l’Insegnante afroamericana che, sotto una grande Quercia secolare della Virginia – insegnava agli schivi neri (gli ultimi di quel tempo) il significato delle parole.
In quegli anni, in America c’era la guerra civile e ai neri della Virginia, Stato della Confederazione sudista, era vietato andare a Scuola. La Maestra Mary rischiava dunque grosso ad insegnare loro – sotto la Quercia secolare – le parole e come capirle e scriverle. Poi la guerra civile finì e venne il Presidente Lincoln con il suo Atto di Emancipazione che aboliva la schiavitù in tutti gli Stati Uniti D’America. Era il 1863, l’anno in cui la Maestra Mary aveva lasciato questa vita. Forse il Presidente Lincoln non seppe mai di lei o forse sì. Sta di fatto che in quell’anno, vicino a quella Grande Quercia secolare della Virginia, fu costruita una Scuola e la Quercia fu detta “dell’Emancipazione”.
Don Lorenzo Milani aveva fatto scrivere, all’ingresso della sua Scuola, a Barbiana (niente altro che una stanza accanto alla Chiesa) la frase “I CARE”. La traduzione suona: “Mi Importa”, “M’interessa” “Ho a cuore”, l’esatto contrario del motto fascista “Me ne frego”. Ma “I CARE” può essere tradotto anche con “Ho cura”. Certo, prendersi cura dell’altro da sé, ma anche del bene comune. Insomma, per Don Milani ci si doveva sentire – ed essere fino in fondo – responsabili di tutto e per questo spiegava che certo si deve osservare la Legge, ma che quando si capisce che una Legge è sbagliata si deve agire per cambiarla, perché: “l’obbedienza non è più una virtù”.
Lorenzo Milani se n’è andato nel 1967 per una leucemia, ma la sua presenza sulla terra ha lasciato un segno, che è stato definito indelebile. Nei suoi anni di impegno, religioso e civile, che cosa ci ha insegnato? Che bisogna studiare per conoscere non solo quelle 900 parole in più, capaci di farci raggiungere il sapere del padrone, ma bisogna studiare per superarlo quel sapere, perché la conoscenza delle cose del mondo rende liberi e permette di capire e cambiare la realtà. Ma la “pedagogia” di Don Lorenzo Milani (che non era un Pedagogo ma solo un prete e un uomo giusto) ci dice anche che non siamo soli, siamo una parte del tutto, una parte della comunità in cui siamo nati e dobbiamo interessarci, ovvero “avere cura” (“I Care”) delle cose di quella comunità e fare la nostra parte per quella comunità che è anche la nostra.
Qualcuno ha pensato – e scritto – che la Scuola di Don Milani fosse la codificazione di un sistema pedagogico. Qualcun altro ha pensato – e scritto – che la sua esperienza fosse anticipatrice del 1968. A mio giudizio due errori. Don Milani non è stato un Pedagogista, nel senso che normalmente è dato a questo termine, perché non lo era. I Pedagogisti elaborano sistemi pedagogici ma, generalmente, non frequentano – e così conoscono poco – i fruitori dei sistemi educativi che elaborano. I Pedagogisti danno ricette sull’Educazione, gli Educatori, come Don Lorenzo Milani, invece, danno risposte pratiche ai problemi educativi che si sono trovati di fronte e hanno affrontato (e se il problema si modifica o cambia, si modifica o cambia anche il modo di affrontarlo) lavorano in concreto, si “sporcano le mani” con la materia grezza (i ragazzi e le ragazze) e pagano di persona – come è stato per lui – scelte ed errori. (**)
Don Lorenzo Milani, non è stato un anticipatore del ’68. Era più vecchio di ‘quelli del ’68’, era nato sotto il fascismo e lo aveva conosciuto, così come aveva conosciuto la guerra. Aveva conosciuto il “Me ne frego” e le altre piacevolezze del regime fascista. Certo Don Milani, non avrebbe amato i ‘sessantottini’, ma l’essenza del suo “I Care” (“M’Importa”, “M’Interessa”) di quel suo “bisogna interessarsi di tutto” e portare fino in fondo la propria scelta, si ritrova certamente nello spirito e nella lotta di quei ragazzi e di quelle ragazze che sognavano di costruire un mondo nel quale il singolo si sentisse, a buon diritto, parte di una comunità e avesse il diritto di “cambiare lo stato delle cose presenti.”. E gli scritti del Priore di Barbiana (in primis “”) hanno aiutato molti di quei ragazzi e di quelle ragazze a capire, crescere e fare.
Nota finale: per chi volesse capire meglio Don Lorenzo Milani e le sue idee, consiglio la lettura del Meridiano Mondadori che racchiude i suoi scritti, pubblicato nel 2017. Considerato il prezzo notevole del Volume (Euro 140,00) consiglio ancora di cercarlo – e leggerlo – in una Biblioteca.
(*) In un’intervista per un Programma della RAI (La Grande Storia, 2017) il Professor Tullio De Mauro, insigne Glottologo e Linguista, accosta il lavoro di Don Lorenzo Milani perché i figli dei contadini e degli operai si impadronissero della lingua, e conquistassero l’arte di leggere e di scrivere, alle intuizioni che, su quella questione cruciale, aveva evidenziato, nei suoi Quaderni dal Carcere, Antonio Gramsci, arrivando così a sostenere che sia possibile, oggi, capire meglio il pensiero di Gramsci sull’Educazione, anche grazie al lavoro indefesso di Don Lorenzo Milani, il prete che aveva trasformato il luogo del suo esilio, umano e religioso, in un pulpito dal quale parlare agli ultimi del mondo. Un’eresia, accostare due mondi, il cattolico e il comunista, così diversi? Non pare se usciamo dagli schemi puramente ideologici e guardiamo ai risultati pratici di due uomini così diversi, ma in fondo così simili.
(**) Sono passati cinquantasei anni dalla “Risposta ai Cappellani militari “, la Lettera che costò a Don Lorenzo Milani due Processi per “apologia di reato” (era favorevole all’obiezione di coscienza al servizio militare, all’epoca un reato penale): il primo con assoluzione con formula piena «perché il fatto non costituisce reato»; il secondo, in appello, di condanna con «reato estinto per la morte del reo». Il Priore di Barbiana, infatti, morì quattro mesi prima del Processo che si tenne a Roma il 28 Ottobre 1967. Questa fu la risposta che, all’epoca, lo Stato, assai irriconoscente, diede all’agire civile e sociale del cittadino Lorenzo Milani, che aveva capito, interpretato e vissuto, fino in fondo il secondo comma dell’Articolo 1 della nostra Costituzione, che recita: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.“.
Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”