Memoria ferroviaria e altre storie
22 Luglio 1970, Gioia Tauro un "incidente ferroviario" che non lo fu affattoIn quell’anno, il 1970, chi scrive aveva compiuto vent’anni. In quell’anno, il 1970, in testa alla Hit Parade degli Album musicali più venduti si piazzava “Bugiardo più che mai”, di Mina, Etichetta PDU.
In quell’anno, il 1970, tra le ragazze era ancora la minigonna a furoreggiare: un piccolo indumento che parla di lotta ai tabù sociali del tempo e di voglia di libertà individuale.
Il 16 Ottobre di quell’anno, il 1970, scompariva, a Palermo, il giornalista Mauro De Mauro, il suo corpo non sarà più ritrovato.
Il 27 Settembre di quell’anno, il 1970, cinque militanti anarchici calabresi restavano uccisi in uno strano incidente automobilistico, mentre si stavano recando a Roma per comunicare alla controinformazione anarchica importanti informazioni in loro possesso.
Il 22 Dicembre di quell’anno, il 1970, esivae nelle Sale cinematografiche il Film “Lo chiamavano Trinità” con Bud Spencer e Terence Hill.
Ma in quell’anno, il 1970, succedeva anche altro.
Il 14 Luglio, in Francia giorno della Festa della Repubblica, infatti, scoppia la rivolta di Reggio Calabria, con i “Boia Chi Molla”, di Ciccio Franco, Deputato del MSI e sindacalista CISNAL e i militanti di Avanguardia Nazionale del romano Stefano Delle Chiaie, a Roma detto “Er Caccola”, con evidente riferimento alla sua bassa statura, che si scontrano violentemente con le Forze dell’Ordine, con la scusa della lotta per “Reggio Capitale” della Regione Calabria, al posto dii Catanzaro.
Una settimana dopo, il 22 Luglio di quell’anno, il 1970, un Mercoledì, sulla linea ferroviaria che da Palermo porta a Torino, all’altezza di Gioia Tauro, per lo scoppio di una bomba deraglia la “Freccia del Sud”.
Lo chiamano il “Treno del Sole”, è il treno che porta i contadini siciliani (e non solo loro) a Torino per diventare operai della FIAT.
Il “progresso industriale” (lo chiamano “boom economico” o meglio “miracolo italiano”) li vede arrivare con la loro valigia di cartone, tenuta chiusa dallo spago e, facendo loro indossare una tuta, li trasforma in operi, in addetti alla catena di montaggio (leggi uomini-macchina”) nello Stabilimento torinese della Fabbrica Italiana Automobili Torino, più nota come FIAT.
Quel deragliamento, causato dall’esplosione di una bomba, spacca in due tronconi il convoglio ferroviario, che portava 200 passeggeri, e provoca 6 morti e 150 feriti dei quali un terzo gravi.
I sei morti di Gioia Tauro
Andrea Gangemi di Palermo, Adriana Vassallo di Agrigento, Rosa Fazzari di Catania, Rita Cacicia di Bagheria, Letizia Palumbo e Nicolina Mazzocchio di Casteltermini. Cinque dei sei morti erano pellegrini in viaggio verso il santuario di Nostra Signora di Lourdes in Francia.
Quel deragliamento – classificato in un primo momento come un “incidente ferroviario” – è, in realtà, il risultato di un attentato fascista, ma non solo fascista. Si tratta, infatti, della strategia nera degli attentati ai treni che entra in scena, con una novità: l’alleanza strategica dei fascisti con la ‘ndrangheta calabrese, contro lo stato democratico, meglio democristiano.
L’inchiesta giudiziaria non porterà alla verità su esecutori e mandanti. e si chiuderà con un nulla di fatto. Negli anni ‘90 le rivelazioni di un pentito faranno riaprire l’inchiesta giudiziaria e, nel 2001, tre saranno i condannati per strage dalla Corte D’assise di Palmi: Giacomo Lauro, Vito Silvestrini e Vincenzo Caracciolo, tre ‘ndranghetisti, come esecutori dell’attentato. I tre sono però tutti deceduti e non si è potuto (o voluto) risalire ai mandanti di quella strage.
Intanto in quell’anno, il 1970, Stefano delle Chiaie è avvistato in Calabria, sui Monti della Sila, a caccia di compartecipi alle sue trame eversive e golpiste da reclutare tra gli ‘ndranghetisti locali (qui per approfondire: https://icalabresi.it/fatti/delle-chiaie-capaci-i-legami-calabresi-uomo-nero-storia-italia/).
Quell’anno, il 1970, si chiude con il tentato (e fallito) Golpe Borghese della notte tra il 7 e l’8 Dicembre, il cosiddetto “Golpe della Madonna”, dove al fianco dei fascisti di ogni risma ci saranno, ancora una volta, mafiosi e ‘ndranghetisti. Per quella volta non se ne farà nulla, ma quel copione reggerà ad altre prove antidemocratiche tinte di nero. Ragazzi, che anno, quell’anno, il 1970.
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La strage fascista e mafiosa di Gioia Tauro non ha avuto nella storia della cosiddetta strategia della tensione il posto che gli spettava. Mentre per la strage dell’Italicus (4 Agosto 1974) e per quella del Rapido 904 (23 Dicembre 1984) non si è mai parlato di “incidente ferroviari” la strage di Gioia Tauro ha faticato parecchio a diventare quello che, in effetti, è stata, cioè una strage fascista e mafiosa.
Certo questo è successo per la sovrapposizione di questo attentato terroristico con i moti di Reggio Calabria, scoppiati appena una settimana prima, ma forse c’è anche un’altra spiegazione di questa derubricazione di una strage a mero “incidente”. E la spiegazione sta nel fatto che, grazie all’ospitalità mafiosa, sullo Stretto di Messina sono stati di casa Franco Freda, Stefano Delle Chiaie e il principe nero Junio Valerio Borghese, ex comandante della X Mas e capo del Fronte Nazionale che stava preparando il colpo di Stato della notte dell’Immacolata, da lì a cinque mesi di quel 1970. Dunque, i moti di Reggio Calabria e poi l’attentato alla “Freccia del Sud” fecero di quel territorio un laboratorio dove si selezionavano le truppe di élite dell’eversione di destra: va ricordato che nell’Aprile del 1968 fra i cinquanta giovani camerati spediti in stage “di addestramento” nella Grecia della dittatura militare ben nove venivano da Reggio Calabria.
Magari quanto avete appena letto è solo un’idea e – come cantava Giorgio Gaber nella sua “Un’Idea” (1972) – “Un’idea un concetto un’idea / Finché resta un’idea è soltanto un’astrazione /, ma lo stragismo nero – da Piazza Fontana in avanti – ci ha insegnato che, spesso, le astrazioni possono diventare realtà.
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Nota finale: la saldatura tra criminalità organizzata e nazifascismo nostrano si ripeterà, più avanti nel tempo, in un’altra occasione. Mi riferisco agli attentati contro il patrimonio artistico italiano, nello specifico alla strage di Via dei Georgofili, a Firenze, in cui, nella notte tra il 26 ed il 27 Maggio del 1993, persero la vita sei persone: un’intera famiglia di cinque persone, tra cui due bambine e uno studente. Il mandante di quella strage si chiamava Totò Reina, detto ‘O Curto, la mente, invece, si chiama Paolo Bellini, militante di Avanguardia Nazionale, killer di mafia e ladro di opere d’arte, condannato, insieme con altri nazifascisti di casa nostra, come esecutore della strage alla Stazione ferroviaria di Bologna del 2 Agosto 1980 che causò 85 morti e più di 200 feriti.
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Morte “accidentale” di cinque anarchici calabresi
Si chiamavano: Gianni Aricò, Annelise Borth detta “Muki” (tedesca), Angelo Casile, Franco Scordo e Luigi Lo Celso, erano cinque anarchici calabresi del Collettivo della Baracca. Così la loro storia e la loro tragica fine la racconta Collettiva, Sito online della CGIL Nazionale.
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Gli anarchici della Baracca, cinque morti nel mistero
Erano convinti di essere a conoscenza di cose che avrebbero fatto tremare l’Italia. Stavano per rendere noti documenti relativi all’attentato di Gioia Tauro e al golpe Borghese. Invece morirono in uno strano incidente stradale e di ciò che sapevano non si conobbe più nulla
Verso le 17 del 22 luglio 1970, all’inizio della rivolta del Boia chi molla e meno di un anno dopo la strage di Piazza Fontana, nei pressi della stazione di Gioia Tauro, deraglia il treno Freccia del Sud diretto da Palermo a Torino provocando la morte di sei persone (Rita Cacicia, Rosa Fassari, Andrea Gangemi, Nicoletta Mazzocchio, Letizia Concetta Palumbo e Adriana Maria Vassallo) e il ferimento di altre 70 circa.
Sul treno del Sole ci sono duecento passeggeri. Lavoratori pendolari che tornano su dopo un soggiorno in famiglia, un gruppo di pellegrini diretto a Lourdes, viaggiatori occasionali. La scena che si presenta agli occhi dei soccorritori è tragica: alcuni vagoni sono schiacciati tra loro e le manovre di soccorso sono rese ancora più faticose dal forte caldo. Molti sono incastrati tra le lamiere, altri riescono ad uscire dal groviglio di ferro dai finestrini.
Nella prima fase delle indagini, si ritenne che il fatto fosse stato dovuto al cedimento strutturale di un carrello del treno; più tardi, alla negligenza del personale che era alla sua guida. Solo molti anni dopo sentenze definitive accerteranno che si era invece trattato di un attentato dinamitardo.
“Un mistero dimenticato – lo definirà Carlo Lucarelli – Talmente oscuro, talmente misterioso, che per tanto tempo nessuno ne ha saputo niente, dissolto quasi, coperto dalle nebbie nere di tanti altri grandi Misteri d’Italia”. In realtà l’ipotesi dell’attentato viene avanzata e sostenuta dalla maggior parte della stampa nazionale: il giornalista Mario Righetti del Corriere della Sera sostiene questa tesi dopo soli tre giorni, presto supportato anche da altre testate (su l’Avanti addirittura si arrivò a citare il presunto rinvenimento di altro esplosivo, il 7 agosto).
Anche Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e Annalise Borth, – gli anarchici della Baracca – età media 22 anni, sembrano aver capito tutto sulla matrice nera non solo dell’attentato, ma della rivolta nel suo complesso. Il 26 settembre del 1970 partono per Roma con una Mini Minor carica di documenti. Li aspettano i compagni anarchici della capitale, li aspetta l’Avvocato Edoardo Di Giovanni. A Roma, però, i cinque ragazzi (già testimoni fra l’altro a favore di Pietro Valpreda – che fu anche il tramite dell’incontro tra Annalise Borth e Gianni Aricò – nell’inchiesta su Piazza Fontana) non arriveranno mai. Si schianteranno sull’autostrada tra Ferentino e Frosinone, a 58 chilometri dalla capitale, contro un camion parcheggiato sul ciglio della strada.
“Abbiamo scoperto cose che faranno tremare l’Italia”, aveva confidato Gianni Aricò alla madre pochi giorni prima di morire. “È meglio che non faccia partire tuo figlio”, aveva detto un amico poliziotto al padre di Lo Celso, la sera prima della partenza. Nel 1993 i collaboratori di giustizia Giacomo Lauro e Carmine Dominici confermeranno al giudice istruttore milanese Guido Salvini la presunta collusione tra ambienti d’estrema destra e ‘ndrangheta, sostenendo la diretta responsabilità di questi nei fatti di Reggio e nell’attentato di Gioia Tauro.
“Personalmente – dirà Carmine Dominici – ritengo che quello dei cinque ragazzi non sia stato un incidente ma un omicidio. E tale opinione è condivisa anche da altri militanti avanguardisti. Non sono assolutamente in grado di indicare chi potrebbe aver preso parte alla presunta azione omicidiaria e, peraltro, era illogico che ci si rivolgesse a militanti calabresi in quanto ciò avrebbe comportato un pericoloso spostamento geografico”.
“Sono convinto – aggiungerà il procuratore Salvo Boemi nel 2001 – che quei cinque giovani avessero trovato dei documenti importanti. Non riesco a spiegarmi in altro modo la sparizione di tutte le carte che si trasportavano nella loro utilitaria. È un caso che avrei desiderato approfondire (…) ma esistono insormontabili problemi di competenza”.
Documenti importanti che probabilmente avrebbero consentito, se consegnati a chi di competenza, di ricostruire una catena di comando che da Reggio Calabria conduceva fino a Roma, fino al disegno golpista del principe Junio Valerio Borghese. Che avrebbero consentito, forse, di fare luce su di un’altra strage altrimenti destinata a restare impunita. E non solo per il tanto tempo trascorso.
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