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Memoria operaia: gli scioperi del Marzo 1944. “Pane, Pace e Libertà”

C’è una fotografia famosa che simboleggia gli scioperi operai del Marzo 1944

“Cinque di marzo del ’43
Nel fango le armate del duce e del re
Gli alpini che muoiono traditi lungo il Don

Cento operai in ogni officina
Aspettano il suono della sirena
Rimbomba la fabbrica di macchine e motori
Più forte è il silenzio di mille lavoratori

E poi quando è l’ora depongono gli arnesi
Comincia il primo sciopero nelle fabbriche torinesi”

“[…].”

(Stormy Six, “La Fabbrica”, dall’Album “Un Biglietto del Tram”, 1975, Etichetta l’Orchestra)

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C’è una fotografia famosa che simboleggia gli scioperi operai del Marzo 1944.

Propriamente, non si tratta di una fotografia, ma di un fotomontaggio che è stato spesso utilizzato anche durante le lotte operaie della fine degli anni ’60 e degli anni ’70 del ‘900, ma anche per simboleggiare – nel 1960 – la ricercata unità tra studenti e operai.

È un’immagine che simboleggia quanto accade – in piena occupazione tedesca del nostro Paese – nel mese di Marzo del 1943 e poi ancora nel Marzo del ‘44: la spallata operaia al tedesco occupante ed al fascista collaborazionista, pagata a caro prezzo dagli operai e dalle operaie, con  una durissima repressione nazifascista e centinaia e centinaia di deportazioni in Germania.

Dal 1° all’8 Marzo 1944 gli operai torinesi incrociano le braccia in uno sciopero generale che coinvolge 70.000 lavoratori. Da Torino, l’agitazione si espande nelle altre regioni del Nord. La repressione nazifascista non si fa attendere e colpisce duramente il Movimento operaio torinese.

Il 28 Febbraio 1944 le autorità nazifasciste annunciano la messa in ferie delle Fabbriche cittadine per la mancanza di energia elettrica. Una manovra preventiva, attuata nel tentativo di scongiurare lo sciopero generale organizzato per il giorno seguente dagli operai torinesi. Essa interessa una minima parte delle Fabbriche cittadine, e il 1° Marzo 1944, i lavoratori degli altri impianti incrociano le braccia: circa 60.000 operai si astengono dal lavoro. La sera stessa il capo fascista della Provincia ordina la ripresa dell’attività, minacciando la chiusura degli Stabilimenti, licenziamenti, perdita degli esoneri, arresti e deportazioni.

Parole che cadono nel vuoto: il 2 Marzo scioperano circa 70.000 lavoratori, supportati dai commercianti e da Unità partigiane. Torino si ferma. Il 3 Marzo la Fiat, seguendo una linea tracciata anche da altri industriali dimostratisi, salvo rare eccezioni, solidali con le forze nazifasciste, decreta la serrata degli stabilimenti. Contemporaneamente, i vertici governativi inviano nelle Fabbriche presidi armati.

La protesta si protrae fino all’8 Marzo, quando il Comitato di agitazione decide la ripresa del lavoro. La lotta, estesasi successivamente in altre Regioni del Nord, assume un significato politico: tradurre sul piano della fabbrica la dichiarazione di guerra consegnata dall’antifascismo torinese al regime fascista fin dall’8 Settembre 1943. Al termine degli eventi si stringono le maglie della repressione nazifascista attraverso arresti, ritiri degli esoneri militari e deportazioni nei Campi di concentramento tedeschi: circa 400 operai, 178 alla sola Fiat, sono prelevati in Fabbrica e portati alla stazione di Porta Nuova, destinazione Mauthausen. Pochi di loro riescono a fare ritorno.

A 80 anni da quei giorni occorre ricordare questa lotta operaia del Marzo ’44 così come quella dello stesso mese dell’anno precedente. Lo faccio riportando parte di un pezzo sugli scioperi del Marzo ’44, pubblicato sul mensile, Patria Indipendente e firmato da Giorgio Pagano

Grazie per l’attenzione e buona lettura.

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Gli scioperi del 1° Marzo 1944, quando la Storia cambiò per sempre

Giorgio Pagano

80 anni fa, la prima e unica grande mobilitazione generale nell’Europa occupata dai nazifascisti. “Pane, pace e libertà” le parole in cui si riconobbero migliaia di operaie e operai. Il diverso caso di La Spezia e di Genova. Ma la repressione sarà spietata e feroce ovunque, pagata con la deportazione nei lager e con la morte. L’assassinio di Giacomo Buranello, studente di ingegneria e comandante GAP, e i rapporti con il Partito comunista. Vicende da conoscere perché sembrano parlare direttamente all’oggi: non tutto può nascere da rigidi assiomi e ordini pianificati, dal caos possono trarre origine comunità di lotta ed esperienze nuove, cariche di potenzialità da ascoltare, interpretare e coordinare. Perché pur tra limiti ed errori, al 25 aprile 1945 ci si arrivò anche così

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La storia della “ricostruzione” della classe operaia durante la Resistenza da parte degli operai stessi e da parte del partito che sempre più la stava rappresentando, il Partito comunista, si manifesta attraverso una varietà di momenti di lotta: non solo il classico sciopero, ma anche l’assenteismo, la bassa produttività e il sabotaggio nelle aziende che lavoravano per i tedeschi. In questo articolo privilegerò il momento dello sciopero aperto, quello di maggiore impatto nel contesto, assai difficile, della repressione fascista, dell’occupazione tedesca e della guerra, e mi soffermerò sul 1944, da gennaio a marzo.

Analizzerò i casi di due città industriali della Liguria, La Spezia e Genova. La composizione degli operai delle due città era abbastanza simile – metalmeccanici impegnati in buona parte nell’industria bellica – così la fisionomia dei gruppi dirigenti del Partito comunista: ma, in quei mesi, l’esito delle lotte fu diverso. La “ricostruzione” della classe operaia dopo il ventennio fascista avvenne per tentativi ed errori, e si caratterizzò in modo diverso da città a città, e anche da fabbrica a fabbrica: le variabili da considerare sono molte.

Su alcune vicende della classe operaia in Italia e in particolare in Liguria nel corso del 1943 rimando ad alcuni miei articoli recenti [1], in modo tale da poter dedicare questa riflessione soprattutto allo sciopero del marzo 1944 e sui fatti che lo precedettero, che contribuiscono in gran parte a spiegare il suo esito diverso – positivo alla Spezia, negativo a Genova.

LA SPEZIA, GENNAIO E FEBBRAIO 1944

Dopo l’8 settembre 1943 gli operai spezzini non scioperarono né a novembre né a dicembre. Ma la loro situazione peggiorava sempre più.

Il 18 dicembre 1943 i carabinieri ritrovarono, nella sala degli orologi marcatempo dell’OTO Melara, un manifesto “dove si lamenta che l’aumento del 30% non basta e che occorre togliere il mercato nero e concludeva ‘Vogliamo più pane – Vogliamo più grassi’” [2].

Il 23 dicembre, nello stesso luogo, i carabinieri ritrovarono un altro manifesto, “contenente argomenti antifascisti, antitedeschi e comunisti incitanti le maestranze a sabotare l’opera governativa e a danneggiare l’alleato”. Il manifesto, firmato Comitato di agitazione di fabbrica, denunciava il pericolo della deportazione dei lavoratori in Germania per lavorare nelle fabbriche tedesche, non faceva cenno al comunismo e concludeva: “è necessaria una illimitata unità” [3].

Si stavano creando le condizioni per il grande sciopero del gennaio 1944.

La protesta aveva all’origine una situazione sociale insopportabile: a dominare era la fame. I negozi e i mercati erano vuoti, il mercato nero regnava incontrastato. I prezzi erano saliti vertiginosamente, le paghe non riuscivano a reggere il passo. A tutto questo si aggiungevano la disoccupazione, la minaccia di essere deportati in Germania e la mancanza di case, distrutte dai bombardamenti: 20mila, secondo il Prefetto e Capo della Provincia Franz Turchi.

In un promemoria della Corporazione fascista dei lavoratori dell’industria a Turchi del 24 novembre 1943 è scritto che gli occupati alla Spezia erano 4mila, i disoccupati 6mila: ma molti lavoratori – scrivevano gli stessi fascisti – non si erano “iscritti alle liste per tema di essere precettati ed avviati in Germania o di essere richiamati alle armi” [4]. I disoccupati erano quindi molti di più. Secondo il Consiglio provinciale dell’economia, nello stesso mese di novembre, erano 8mila [5].

Il 3 dicembre fu firmato un accordo tra industriali e sindacati fascisti per un aumento salariale del 30%. Ma agli operai non bastava per sopravvivere. Il 20 dicembre il generale tedesco Paul Zimmermann, delle SS, insediato da novembre a Torino quale “incaricato della repressione degli scioperi” ordinò, per evitare altri scioperi, di “estendere i miglioramenti, sia nella paga che nel campo alimentare, già stabiliti per gli operai di Milano e di Torino” agli operai di Genova. Nel manifesto il generale accennava anche alle “zone industriali liguri” [6]. I fascisti spezzini erano preoccupatissimi. Franz Turchi scrisse il 24 dicembre al ministro dell’Interno e personalmente al duce per essere certo di introdurre i miglioramenti anche nella nostra provincia. Ma gli animi non si placarono. Già in un promemoria a Turchi del 20 novembre la Corporazione fascista dei lavoratori dell’industria era stata costretta ad ammettere: “gli operai […] non sono orientati verso il Partito Fascista Repubblicano per mancanza di fiducia” [7].

Continua qui: https://www.patriaindipendente.it/servizi/gli-scioperi-del-1-marzo-1944-quando-la-storia-cambio-per-sempre


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