Memoria stragista 1993-1994

La mafia, la destra eversiva, i Servizi, la P2 e le bombe. E i mandanti? Lavori in corso
Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini” - 21 Maggio 2023

Prologo: si dice che le storie che, con il tempo, “invecchiano” passino di moda e perdano d’interesse. Ma questo non vale per tutte le storie. Per alcune di esse, infatti, pure se sono passate, mettiamo, tre decine d’anni esatte c’è ancora interesse, soprattutto quando si tratta di storie criminali come quella di cui appresso leggerete; storie che non “vanno in prescrizione” – né giudiziariamente, né per quanto riguarda la Memoria – e alle quali, nonostante il tempo trascorso, si aggiungono particolari importanti magari grazie a rivelazioni di stampa o, come in questo caso, a indagini della Magistratura. Ma vediamo di che cosa sto scrivendo.

Roma, Parioli: il 14 Maggio, un Venerdì, a Roma pioveva a dirotto. Ma il “botto” che, alle 23,35 di quel giorno (minuto più, minuto meno) fece saltare in aria una Fiat Uno, imbottita di un mix di tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina; mandò in frantumi i vetri delle abitazioni e i cornicioni dei palazzi intorno e sbriciolò il muro di cinta di una Scuola, attirò l’attenzione degli abitanti molto più del rumore della pioggia sul selciato o dei tuoni in cielo.

La strada era quella romana di Via Ruggero Fauro, nell’elegante Quartiere dei Parioli e i 100 chilogrammi di quel mix esplosivo, con cui la macchina saltata, era stata riempita, avevano un destinatario. Si trattava del giornalista, scrittore, sceneggiatore e anchorman televisivo Maurizio Costanzo che quella sera era appena uscito dal Palazzo in cui si trovava lo Studio di registrazione del suo “Maurizio Costanzo Show”.

Chi aveva commissionato ed eseguito l’attentato – dal quale, come dichiarò in seguito, il giornalista si salvò per essere arrivato (con Maria De Filippi) in quella via tre minuti prima dell’esplosione e grazie ad un muretto. Lo voleva morto per il suo attivismo contro la mafia, giudicato eccessivo e, come si scoprì, a dare l’ordine di toglierlo di mezzo era stato proprio Totò Reina (detto ‘O Curto) il “Capo dei Capi” della cupola mafiosa.

La tessera P2 n.1819 e il “cretino” – Maurizio Costanzo – come scopriranno i Giudici milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo nella ormai famosa perquisizione di Villa Vanda a Castiglion Fibocchi (la Villa di Licio Gelli) – risultava iscritto alla P2 con la Tessera N.1819. Per quella iscrizione, il giornalista – morto ad 84 anni il 21 Febbraio 2023 – nel 1991 si era definito “un cretino” (in un’intervista resa a Giampaolo Pansa). Ma questa sua condizione, auto-riconosciuta ex post, non l’aveva ancora maturata dieci anni prima, ovvero nel 1980 (un anno prima del ritrovamento degli elenchi della P2) quando aveva intervistato proprio il Venerabile Maestro massone (ex sergente repubblichino) per farne un pezzo che venne pubblicato sul Corriere della Sera, il 5 Ottobre di quell’anno, per una serie intitolata “Il fascino discreto del potere nascosto”. Il pezzo, Costanzo, lo aveva consegnato in redazione all’ultimo minuto, senza svelare – nemmeno al Direttore del Quotidiano milanese – chi fosse l’intervistato.

In quell’attentato in via Ruggero Fauro non c’erano stati – per fortuna – dei morti, “solo” 22 feriti. Ma in quel progetto di morte, che aveva visto coinvolto anche il giovane Matteo Messina Denaro – (catturato di recente o consegnatosi volontariamente dopo una latitanza trentennale) – quella bomba era stata solo la prima di una guerra dichiarata dalla mafia allo Stato repubblicano e democratico; guerra che è riduttivo definire come la continuazione della cosiddetta “strategia della tensione”. Una guerra che vedrà coinvolte non solo la mafia e la ‘ndrangheta (leggi il mondo della criminalità organizzata) ma anche la destra eversiva, funzionari infedeli degli apparati dello Stato e politici importanti.

Ma procediamo con ordine – La guerra della mafia allo Stato – che di fatto non aveva avuto tregua fin dalla strage mafiosa e fascista di Portella della Ginestra (1° Maggio del 1947) … aveva ripreso vigore dopo le stragi di Capaci e via Mariano D’Amelio (1992) che avevano colpito prima il Giudice Falcone (e la moglie Francesca Morvillo, anche lei Magistrato), e poi il Giudice Paolo Borsellino con i nove Agenti delle loro rispettive scorte … La strage di Via D’Amelio provocò anche 24 feriti …

Con quelle due stragi mafiose si chiudeva infatti il primo anno di quella guerra, né dichiarata, né ortodossa. L’anno successivo, il 1993, vide un cambio di strategia, ché la mafia attaccherà il patrimonio artistico del Paese con cinque stragi, a Roma, Milano e Firenze che causeranno dieci morti, una novantina di feriti e ingenti danni al patrimonio artistico del nostro Paese. A Gennaio del 1994 poi, terzo anno di quella guerra, vide la luce il tentativo di una sesta strage (una bomba doveva esplodere allo Stadio Olimpico, durante la partita di calcio Lazio-Udinese). Strage che però restò solo tentata, perché non si concretizzò per un errore tecnico nell’innesco (nessuno è infallibile). Poteva essere una strage di proporzioni inimmaginabili. Così non fu solo per un errore o forse, per chi ci crede, per l’intervento provvidenziale dell’entità incorporea che chiamiamo destino.

Dar Ciriola

Paolo Bellini, ‘Primula nera’ nazista, ma non solo – Lo avevano soprannominato la “Primula Nera”, ma Paolo Bellini non è affatto un personaggio romantico da Romanzo, come si dice, “di cappa e spada”. Braccio armato della destra eversiva negli anni ’70, tra le fila di Avanguardia Nazionale (è lui, nel 1975, ad uccidere il militante di Lotta Continua, Alceste Campanile); latitante tra Brasile ed Europa, con il falso nome di Roberto Da Silva, negli anni ’80; negoziatore per conto dello Stato con Cosa Nostra nei primi anni ’90 e sicario di ‘Ndrangheta in Emilia-Romagna, per conto del Clan calabrese di Cutro qualche anno più tardi, il nome di Paolo Bellini attraverserà, in un modo o nell’altro, mezzo secolo di Storia e di segreti del nostro Paese.

Si tratta di un personaggio dalle mille vite. Di recente, il suo nome è tornato alla ribalta perché inquisito per essere il “quinto uomo” della strage fascista-piduista alla Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980 (85 morti e oltre 200 feriti). Fu lui ad avere trasportato la bomba per quella strage e per questo delitto orrendo è stato condannato come esecutore materiale della strage, in concorso con il NAR Luigi Ciavardini. Lo inchiodano il fotogramma di un filmato in super8 – girato quel giorno da un turista sul Binario 1, il Binario maledetto – e la testimonianza della ex moglie che gli ha fatto saltare l’alibi in precedenza concordato con l’allora coniuge.

Ma Paolo Bellini è stato anche altro. Sembra sia stato lui, infatti, a consigliare la cupola mafiosa di cambiare strategia nel suo attacco allo Stato colpendo, a suon di bombe, il patrimonio artistico del Paese, senza riguardo alle vite che potevano essere spezzate. In cambio – si disse al tempo – di una richiesta di annullamento del regime carcerario duro del 41bis al quale molti capi mafiosi erano soggetti; annullamento che pare fosse stato prima promesso da politici dello Stato che contavano e poi negato.

Ma Paolo Bellini, non solo è molto altro che non un semplice militante della destra eversiva. La ex “Primula nera” delle “segrete cose” di quegli anni sa anche molto più di quello che dice. Infatti – interrogato in video-conferenza durante il Processo alla ‘Ndrangheta stragista, in svolgimento dal Marzo 2023, presso la Corte D’Assise D’Appello di Reggio Calabria – ha dichiarato:

  • Secondo quanto mi disse Antonino Gioè [mafioso deceduto, in circostanze misteriose, nel Carcere romano di Rebibbia nella notte tra il 28 e 29 Luglio del 1993 e sulla cui morte la Procura della Repubblica di Roma ha aperto un indagine ad Aprile dell’anno scorso, Ndr.] c’era un contatto tra Cosa nostra e piani alti di governo e c’entravano anche gli Stati Uniti, perché c’era un parente di Riina in America. Era una triangolazione, tutto in uno. Questo intendo quando parlo di seconda trattativa”.

Le sue dichiarazioni sono attendibili? Non solo mafia … Quegli attentati terroristici di marca mafiosa saranno rivendicati da una fantomatica sigla, la “Falange Armata”, di fatto inesistente e dalla quale promanava “odore di Servizi”, ma non solo. Quella sigla faceva nascere il sospetto che la mafia non avesse fatto tutto da sola e che, anche essendo reale la “consulenza” terroristica di Paolo Bellini, la sua non fosse stata la sola mente a pensare quelle stragi, una mente troppo raffinata per gente come ‘O Curto e Co.. Ed ecco allora apparire sulla scena di quelle stragi la purtroppo consueta mescolanza tra criminalità organizzata, destra eversiva, massoneria deviata e Servizi (che, come ho già scritto in un’altra di queste Note, non sono deviati, anche se così abbiamo imparato a definirli, perché fanno solo quello per cui sono stati creati). (*)

In questo puzzle assassino, sembra mancare un ultimo tassello, quello della politica. Su questo aspetto stanno indagando da tempo i Sostituti della Procura della Repubblica di Firenze, Luca Tescaroli e Luca Turco. L’indagine – condotta con l’ausilio della DIA, la Direzione Investigativa Antimafia – non esclude nessuna pista, scava nel passato e punta – con l’ipotesi di reato di “concorso in strage” – su due indagati eccellenti: Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Il primo e troppo noto per scriverne ancora, ma va ricordato – poiché e anch’essa materia di questa indagine – come Berlusconi sia stato il datore di lavoro di Vittorio Mangano, impiegato come “stalliere” nella Villa berlusconiana di Arcore, ma di professione mafioso pluriomicida che era stato definito dal Giudice Paolo Borsellino come una delle “teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia”. (**)

L’altro indagato, Marcello Dell’Utri, va pure lui ricordato per essere stato condannato a sette anni di carcere per “concorso esterno in associazione mafiosa” (per il decennio 1983-1992”), condanna confermata in Corte di Cassazione (ne ha scontati solo cinque e qualche mese, ma restano a suo carico i 12 anni ricevuti nel Primo Grado di Giudizio per la cosiddetta “trattativa Stato-Mafia”. A carico, poi, di Silvio Berlusconi vi sarebbe, da parte degli Inquirenti fiorentini, l’ipotesi di un incontro – in un appartamento del Complesso edilizio di Milano 3 (dal Berlusconi edificato ai tempi del suo impegno come imprenditore edile) – con il mafioso e pezzo da novanta di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano, detto “Madre Natura”. Allo stato, si tratta però ancora solo di un’ipotesi investigativa poiché – sebbene sia stato rintracciato l’appartamento in cui l’incontro sarebbe avvenuto – non sono stati, fino ad ora, trovati riscontri certi sulla presenza di Berlusconi a quell’incontro.

Certo – per usare ancora il termine caro al Commissario Francesco Ingravallo di romana memoria – lo “gnommero” è aggrovigliato assai e soprattutto di non facile sbrogliamento, dato che i Giudici fiorentini  hanno a che fare con pentiti poco attendibili, capi mafiosi reticenti o non collaborativi e con i depistaggi a cui le cronache giudiziarie di questi decenni ci hanno, purtroppo, abituato. Ma le indagini proseguono e potrebbero avere sviluppi importanti e clamorosi, che seguiremo. Per il momento mi fermo qui e chiedo venia per la lunghezza di questo scritto, ma l’oggetto meritava, credo, di mettere chiaramente sul piatto tutti gli elementi noti e al momento a disposizione.

Aggiornamento: è notizia di ieri che i Magistrati della Procura della Repubblica di Firenze, che seguono l’inchiesta sui mandanti delle bombe mafiose del 1993-1994 (quella con Berlusconi e Dell’Utri, indagati per “concorso in strage”), stanno indagando sui motivi della chiusura – da parte dell’Emittente televisiva La 7 – della Trasmissione di Massimo Giletti “Non è l’Arena”, dopo le due interviste a Salvatore Baiardo, uomo di fiducia del clan mafioso dei Fratelli Graviano, andate in diretta nel Programma. I Magistrati hanno sentito il conduttore TV e, in particolare, vogliono avere chiarezza sui contatti tra Berlusconi e Urbano Cairo (Editore de La 7 e del Corriere della Sera) avvenuti alcune settimane prima della chiusura della Trasmissione. Occorre ricordare che Urbano Cairo era stato, negli anni 90, collaboratore di Silvio Bertusconi. Dunque, lo gnommero si attorciglia ancora di più. Come andrà l’inchiesta “lo scopriremo solo vivendo”.

(*) “Falange Armata” è il titolo di un Romanzo del 1993 scritto da Carlo Lucarelli. Vi si racconta una storia di fantasia in cui l’Ispettore Coliandro (poi divenuto famoso, sul piccolo schermo, nell’interpretazione dell’attore Giampaolo Morelli) incontra sulla sua strada un gruppo di fascistelli. E’ probabile che il nome inventato di quel fantomatico gruppo armato, presunto autore degli attentati mafiosi al nostro patrimonio artistico, arrivi da quelle pagine. E’, a mio giudizio, altamente improbabile che i mafiosi abbiano letto il Romanzo di Lucarelli. Più probabile, mi pare, il fatto che lo scrittore parmense abbia (o abbia avuto) qualche fan tra gli uomini dei Servizi che dunque si ricordarono di quella Falange dovendo dare vita temporanea ad un gruppo armato mai esistito.

(**) Anna Maria Casati Stampa di Soncino e la “doppia rapina” ai suoi danni: molti aspetti della vita, pubblica e privata, di Silvio Berlusconi sono noti, ma non a tutti. Forse, è noto come il fondatore di Forza Italia e più volte Presidente del Consiglio sia venuto in possesso della Villa di Arcore in cui vive. Vale dunque la pena di spendere ancora qualche riga su questo particolare, non privo di risvolti interessanti. Come racconta Corrado Augias, in un suo libro del 2005 (“I Segreti di Roma, storie luoghi e personaggi di una Capitale”, pubblicato da Mondadori)  Silvio Berlusconi acquistò la Villa di Arcore, Villa San Martino, negli anni ’70 pagandola, a rate, poco meno di 500 milioni dell’epoca; grazie alla intermediazione di un suo amico, l’Avvocato Cesare Previti (che definì l’affare, con l’allora legittima proprietaria della Villa “un colpo di fortuna”) allora collaboratore dello Studio Legale dell’Avvocato Giorgio Bergamasco (esponente del Partito liberale) che era stato nominato curatore dell’eredità di Anna Maria Casati Stampa di Soncino, unica figlia (all’epoca minorenne) del Conte, Camillo Casati Stampa di Soncino.

Il Conte Camillo, uomo dalle abitudini sessuali assai discutibili (faceva prostituire la moglie con individui da lui scelti, spesso a caso, annotandone i particolari in un diario) si era ucciso, il 30 Agosto de 1970, dopo avere, a sua volta, ucciso la moglie, Anna Fallarino e l’ultimo dei suoi amanti: Massimo Minorenti. Quella strage sarà nota nella Capitale come “il delitto di via Puccini” e lascerà così Anna Maria Casati Stampa di Soncino (che fuggirà all’estero per sfuggire alle curiosità morbose della stampa nostrana) orfana dei genitori ed ereditiera di una fortuna considerevole, valutata in 3-4 miliardi dell’epoca. Va ricordato che il Minorenti era un pariolino, vicino alla destra eversiva romana e amico dei tre fascisti, Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido, autori del purtroppo famoso Massacro del Circeo, perpetrato dai tre il 29 Settembre del 1975 e che portò alla morte della giovane Rosaria Lopez (19 anni), procurando un pesante trauma psicologico e ferite fisiche importanti all’amica di lei Donatella Colasanti (17 anni). Le due ragazze erano state rapite, stuprate e violentate per diversi giorni, dai tre fascisti nella Villa al Circeo di proprietà del padre di Andrea Ghira, noto costruttore romano.

 

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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