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Memoria “zingara” – per un Vocabolario della Memoria, vedi alla Voce “Porrajmos”

La prima pietra d'inciampo per un Sinto italiano deportato e sopravvissuto, posata a Trieste, davanti alla Stazione ferroviaria

«Quando i nazisti presero i comunisti / io non dissi nulla perché non ero comunista. / Quando rinchiusero i socialdemocratici io non dissi nulla perché non ero socialdemocratico. / Quando presero i sindacalisti, io non dissi nulla perché non ero sindacalista. /Poi presero gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo. / Poi vennero a prendere me. / E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa». // Poesia del Pastore protestante Martin Niemoller, deportato a Dachau (versione originale).

Un antico proverbio Rom recita: “Se vuoi essere saggio, ascolta”. Il detto non si trova scritto, ma viene ripetuto di generazione in generazione. E questa trasmissione orale ci ricorda che i Rom, i Sinti, i Caminanti e i Kalè – quelli che noi chiamiamo, in modo dispregiativo “zingari” – sono un popolo che oltre a non possedere una terra propria, non possiede una cultura scritta. La loro Memoria è soltanto orale e si tramanda, appunto oralmente, di padre in figlio, di nonno in nipote e così via, da sempre, per generazioni. 

Come ho già scritto tempo addietro i nazisti consideravano gli “zingari” (“zigeuner”) un “ramo degenerato” della razza ariana (sebbene fossero probabilmente la più pura manifestazione etnica dell’arianesimo) e decisero di sterminarli, così accadde.

Gli “zingari” uccisi saranno 500mila, ma alcuni studiosi triplicano questa cifra. Heinrich Himmler, capo delle SS, con il famigerato “Decreto Auschwitz”, del 16 Dicembre del 1942, ordinò la deportazione degli “zigeuner” nel KL di Auschwitz-Birkenau, Settore B2E, lo Zigeunerlager. Li (ma poi non solo in quel KL) saranno rinchiusi circa 23mila “zingari”. Il 16 Maggio del 1944, i deportati di quel Settore del Campo (circa seimila erano quelli rimasti ancora in vita) attueranno una rivolta, praticamente a mani nude, uccidendo 11 SS. 

I 2897 superstiti di quel disperato tentativo di ribellione saranno tutti uccisi dai nazisti, il 2 Agosto 1944. Il loro sterminio si chiama Porrajmos (Grande Divoramento) o anche Sa Mudaripen. Lo ricordano una statua, scolpita in pietra della Majella, che si trova a Lanciano (Chieti) presso il Parco delle Memorie, il Parco dedicato alla Memoria delle vittime dell’odio razziale nazifascista, dove è stata collocata il 5 Aprile del 2018 e a Roma, in via degli Zingari, dove anticamente era stanziata una comunità di Rom, una lapide, collocata dal Comune nel 2001. (*) 

Le righe che avete letto fanno da necessario Prologo alla storia che segue. Si tratta della storia di Romano Held, Sinto italiano per il quale, il 18 Gennaio scorso, è stata posata, davanti alla Stazione ferroviaria di Trieste, una pietra d’inciampo. La prima, in Italia, a Memoria di uno “zingaro” deportato dai nazifascisti. 

  • “Qui suonava Romano Held, nato 1927, Arrestato 1.05.44, deportato Dachau, liberato”

Così recita la pietra d’inciampo che è stata collocata grazie alla collaborazione tra i giovani ebrei e Rom della città, con la collaborazione dell’Associazione “Arte in Memoria” che da molti anni si occupa della posa delle pietre d’inciampo, strumento di una memoria diffusa inventato dall’artista tedesco Gunter Demnig. 

Il Sinto italiano Romano Held, nato a San Pier d’Isonzo in Provincia di Gorizia, aveva 17 anni quando, il 1° Maggio 1944, venne arrestato, mentre si stava muovendo con la sua carovana nella zona di Palmanova. La sua famiglia, da sempre vissuta nella zona di Trieste, era riparata sui monti sopra Udine (Fagagna) dopo che, con l’armistizio del Settembre 1943, quell’area di confine era passata sotto il controllo diretto del Terzo Reich. La sorella raccontò che l’arresto si doveva alla “soffiata” di un collaborazionista fascista italiano ai soldati tedeschi. Così il diciassettenne fu portato nel Carcere di Udine, nei cui registri (oggi depositati presso l’Archivio di Stato di Trieste) è riportata la sua “colpa” accanto al nome: “girovago”. Sì, perché Romano, figlio di un Sinto italiano e di una donna rom istriana, faceva parte di una famiglia di musicisti che fu vittima del genocidio nazifascista dei Rom e Sinti. Anche il fratello Berto, infatti, sarà deportato, ma anche lui sopravvivrà (**) 

Il 31 Maggio 1944, i documenti attestano che a Udine Romano sale sul convoglio numero 48 partito da Trieste con destinazione Dachau, dove giunge il 2 Giugno. Qui viene trasformato in un numero, il 69525. Alla liberazione del Campo da parte degli americani, il 29 Aprile del 1945, Romano è ancora vivo: torna in Italia dalla famiglia e riprende a svolgere l’attività di musicista. Non per molto: anche a causa delle pessime condizioni di salute patite nel Lager, muore a Trieste nel 1948, a soli 21 anni. 

Nota: Quando gli americani entrarono nel KL di Dachau, vi trovarono attivo un Comitato Internazionale dei Deportati che lo controllava dopo la fuga delle SS. Il Comitato Internazionale era attivo dal Settembre 1944. Il KL di Dachau è stato definito “l’Università” del Sistema concentrazionario nazista. Dalla sua apertura (22 Marzo 1933) vi furono ristrette circa 200mila persone. I deportati italiani furono a Dachau 19mila. I deportati uccisi, al 29 Aprile 1945, furono 41500 di cui 1.550 erano italiani. 

(*) Così, Piero Terracina (1928-2019), deportato ad Auschwitz-Birkenau (Matricola: A-5506) e sopravvissuto, ricorda lo sterminio di Rom e Sinti avvenuto nel KL il 2 Agosto del 1944: “In quel campo c’erano tantissimi bambini, molti di quei bambini certamente erano nati in quel recinto […]. La notte del 2 agosto 1944, ero rinchiuso ed era notte e la notte nel lager c’era il coprifuoco, però ho sentito tutto. In piena notte sentimmo urlare in tedesco e l’abbaiare dei cani, dettero l’ordine di aprire le baracche del campo degli zingari, da lì grida, pianti e qualche colpo di arma da fuoco. All’improvviso, dopo più di due ore, solo silenzio e dalle nostre finestre, poco dopo, il bagliore delle fiamme altissime del crematorio. La mattina, il primo pensiero fu quello di volgere lo sguardo verso lo Zigeunerlager che era completamente vuoto, c’era solo silenzio e le finestre delle baracche che sbattevano.”

(**) Maledizione zingara

Gelide mani nere rivolte al cielo,

la palude ricopre la testa

schiacciata, un grido soffocato si eleva,

nessuno ascolta.

Un popolo inerme

al massacro condotto,

nessuno ha visto

nessuno ha parlato.

Cadaveri risorti dalla palude,

orribili visi mostrati al sole,

il dito puntato

verso chi

ha taciuto.

(Santino Spinelli, in arte Alexian, da Romanipè)

 

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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