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La morte di Antonio Annarumma. Il 19 novembre 1969 a Milano

La prima vittima degli “anni di piombo” fu un agente di PS

La memoria non è un pregio molto diffuso negli italiani, perché tante storie e tanti fatti, anche se in forme diverse si ripetono a distanza di tempo, più o meno lungo e, come affermava Giovanni XXIII: “La storia insegna ma l’uomo non apprende”.  Conoscere aspetti che possono sembrare marginali, possono assumere un valore simbolico, come il sacrificio del giovane poliziotto Antonio Annarumma, che 45 anni fa, veniva ucciso a Milano.

Allora ricordare vicende – che oggi possono assumere un significato storico, come quella del 19 novembre 1969, in occasione dello sciopero generale per la casa (indetto dalle confederazioni sindacali CGIL-CISL-UIL) alla fine della stagione chiamata “autunno caldo” – può aiutare a comprendere la complessità di un periodo, della vita sociale e politica del nostro Paese, che iniziava drammaticamente.

Infatti l’arco di tempo della fase storica chiamata “anni di piombo”, si considera solitamente dalla fine degli anni sessanta, alla metà degli anni ottanta del XX secolo, tuttavia gli anni considerati di inizio e fine, possono variare in funzione delle convinzioni politiche degli storici e di quanti studiano e ricercano la verità su problematiche complesse.

L’inizio è talvolta individuato con quella che genericamente è chiamata contestazione del Sessantotto, talaltra con la strage di Piazza Fontana.

Il primo caso di scontro violento del movimento del ’68 contro le forze dell’ordine, si ebbe a Roma il 1° marzo 1968 durante la cosiddetta battaglia di Valle Giulia, alla Facoltà di Architettura dell’Università della Capitale.

Il primo morto degli anni di piombo è considerato l’Agente di Polizia Antonio Annarumma, ucciso il 19 novembre 1969 a Milano, mentre il primo atto della strategia della tensione, che caratterizzò quegli anni fu la strage di piazza Fontana avvenuta a Milano, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, il 12 dicembre 1969, con 17 morti e 88 feriti.

In quel periodo si verificò un’estremizzazione della dialettica politica, della protesta sociale e della contestazione allo Stato e alle sue Istituzioni, che si tradusse in violenza di piazza, nell’attuazione di atti di terrorismo e negli ambienti dei movimenti extraparlamentari più estremi si passa alla clandestinità e alla lotta armata.

Influiva inoltre, sulle vicende interne italiane, ma non erano esclusi altri paesi, il clima internazionale causato dalla “guerra fredda”, il conflitto a distanza tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Alcune questioni accadute non ancora chiarite,  possono trovare una chiave di lettura, proprio in questo contesto secondo alcuni commentatori, come quelle della morte dell’on. Aldo Moro e dell’attentato al Papa Giovanni Paolo II.

Tra il 1969 e il 1988, definiti “anni di piombo,” si sono registrati, secondo una pubblicazione di Sergio Zavoli, “La notte della Repubblica”: 428 morti, circa 2.000 feriti, di cui una parte con danni permanenti, nei 14.615 attentati compiuti. A decenni dai fatti, non si ha ancora – da fonti ufficiali – un quadro preciso e attendibile di tutte le vittime.

Antonio Annarumma
Antonio Annarumma

Chi era Antonio Annarumma, la prima vittima degli “anni di piombo”?

Era figlio di un bracciante agricolo del Sud d’Italia, nato a Monteforte Irpino (Avellino) il 10 gennaio 1947. Era un ragazzo normale, che ha cercato il lavoro, con un concorso pubblico, un “posto fisso” in Polizia. Era uno dei tanti figli e nipoti di braccianti, che per migliorare la propria condizione scelsero di indossare la divisa grigioverde della pubblica sicurezza, sperando di guadagnare un salario, conoscere posti e persone nuovi. Dopo la Scuola Allievi di Caserta, a Foggia e successivamente in servizio nel Terzo Reparto Celere di Milano.

Il 19 novembre 1969, insieme allo sciopero generale indetto dalle confederazioni sindacali, con circa 30.000 mila manifestanti al corteo di Milano, nelle stesso orario si tenevano anche due cortei promossi: uno dei marxisti-leninisti di estrazione maoista e uno dagli anarchici.

Piazza del Duomo, corso Vittorio Emanuele, via Larga (sede del Teatro Lirico), piazza Festa del Perdono, via Rastrelli, furono il teatro degli scontri di guerriglia fra il corteo dei sindacati, scortati a distanza dalle jeep della polizia, e militanti e attivisti  dell’estrema sinistra maoista che uscivano dal Teatro Lirico, dove avevano tenuto un comizio, e si volevano inserire nella manifestazione sindacale.

E’ stato quello il momento in cui iniziarono gli scontri fra le diverse componenti sindacali e politiche e le forze dell’ordine, che cercavano di evitare il contatto fisico fra gruppi. Nel frattempo accorsero dalla vicina Università Statale giovani militanti del Movimento Studentesco a sostegno dei manifestanti, contro la polizia. Gli scontri iniziarono a mezzogiorno e durarono circa tre ore; in quella circostanza di guerriglia urbana e di grande tensione, scattò la conflittualità  con lancio di sassi, tubi, biglie di ferro, bottiglie molotov, barricate e lacrimogeni, in un parapiglia generale senza controllo. Tale violenza fu un fatto straordinario per una pacifica manifestazione sindacale.

Mentre le macchine della polizia si disponevano “a carosello”, secondo le istruzioni antiguerriglia, l’agente Antonio Annarumma che era alla guida di un automezzo della Celere, fu colpito da un tubo di ferro che gli perforò la testa, si accasciò sul volante perdendone il controllo e contemporaneamente urtò con un’altra jeep della polizia. Morirà dopo tre ore di agonia in ospedale.

La versione ufficiale, sulla morte di Annarumma, secondo la ricostruzione della Magistratura (e le testimonianze dei tre agenti che erano a bordo dell’automezzo con l’agente scomparso), accertò che alcuni manifestanti raccolsero dei tubolari di ferro da un vicino cantiere edile e li lanciarono contro i mezzi della polizia. L’autopsia riscontrò una ferita di sezione circolare che penetrò fino a metà cranio della vittima. Esiste una versione dei manifestanti, con una ricostruzione che imputa invece, senza alcuna prova a supporto, la morte di Annarumma allo scontro fra due mezzi della polizia.

Il gippone di Annarumma
Il gippone di Annarumma

L’inchiesta della magistratura potè identificare con precisione le cause dolose della morte, ma non poté identificare i responsabili della morte. Nessuno fu identificato né perseguito per la morte dell’agente venuto dal Sud, il suo omicidio rimase quindi impunito.

Le reazioni ai fatti di Milano furono durissime da parte delle Istituzioni, che si trovarono impreparate di fronte a tanta violenza: il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, parlò di “barbaro assassinio”; il Ministro dell’Interno Franco Restivo, di “aggressione all’autorità dello Stato”, l’opinione pubblica ne rimase profondamente impressionata e i mezzi di comunicazione di tutto il paese diedero grande risalto all’accaduto.

Al funerale partecipò una folla enorme, la città di Milano era rimasta sconvolta da questo primo fatto di guerriglia urbana con la morte di un agente di PS di 22 anni. Il corteo che accompagnava la bara era formato da colleghi che esprimevano disagio e protesta, e, durante il percorso verso la chiesa si levarono tante braccia tese nel saluto fascista, mentre Mario Capanna, che si era presentato al funerale per dimostrare l’estraneità del movimento studentesco dai fatti, si salvò a stento dal linciaggio dei colleghi del defunto.

Il Corriere della Sera del 22 novembre 1969, pubblicò una foto dove si vedeva il giovane commissario Luigi Calabresi soccorrere Mario Capanna, sottraendolo all’aggressione degli agenti e dei neofascisti; ma significativo fu il commento sul quotidiano “Il Giorno” di Enzo Forcella, che dopo aver condannato le violenze di quel 19 novembre 1969, annotava che “lo sciopero generale costituisce un’arma rischiosa di cui non si può prevedere con esattezza la portata”. Ma, soprattutto, segnalava che “questa volta il morto non appartiene alle categorie dei braccianti, degli operai o degli studenti contestatori” e questo voleva dire che il “clima politico e sociale” era definitivamente cambiato.

Infatti con la morte di Annarumma iniziò un periodo terribile della nostra storia: nemmeno un mese dopo ci fu la strage di Piazza Fontana, poi la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, e successivamente l’assassinio del commissario Luigi Calabresi.

L’onorificenza della Medaglia d’oro al merito civile, è stata conferita dal Presidente della Repubblica alla memoria dell’agente Annarumma con motivazione: “Nel corso di un servizio di ordine pubblico, mentre era alla guida di un automezzo, veniva coinvolto negli incidenti tra gruppo di manifestanti e Forze dell’Ordine e colpito con una spranga di ferro alla testa. Mortalmente ferito immolava la giovane vita ai più nobili ideali di spirito di servizio”.

Sono passati 45 anni da quelle vicende che devono essere ricordate e commentate, non solo ai nostri giovani, ma anche a chi non le ha vissute direttamente o dimenticate. Inoltre esiste una frase, poco nota, ma sempre attuale che recita: “La memoria del passato insegni al presente”. Ecco perché forse, è utile conoscere, ricordando quello che nel nostro paese è successo, non tanto tempo fa.


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