“Non ho parlato”
Tra le storie di coraggio, anche quella di Angelo Joppi, Brigadiere dei Reali Carabinieri e partigiano combattentePassano gli anni ma i numeri rimangono nella memoria
Chi si ricorda dell’assalto fascista e no-vax alla CGIL di Corso D’Italia, del 9 Ottobre 2021? Forse pochi. Bene, anzi male. Allora, rinfreschiamoci la Memoria. E’ notizia di oggi che la Pubblica Accusa, avanti ai Giudici della Prima Sezione Penale del Tribunale di Roma, ha chiesto complessivamente 60 (leggasi se-ssa-nta) anni di carcere per gli assalitori neri, così ripartiti; 10 anni e sei mesi per Roberto Fiore e Luigi Aronica, di Forza Nuova, il primo ed ex NAR e Forza Nuova il secondo. Nove anni sono stati chiesti per Luca Castellino, Salvatore Lubrano e Roberto Franceschi, tutti fascisti. Nove anni e sei mesi per Pamela Testa, no-vax.
Dell’eccidio delle Cave Ardeatine (24 Marzo 1944) scrivo spesso. Tra i nazisti assassini – oltre ad Herbert Kappler, Capo delle SS, della SD, la Polizia di Sicurezza tedesca, e della Gestapo a Roma – figuravano le SS Karl Hass ed Erich Priebke, entrambi dopo la guerra assoldati, per le loro “competenze” nella lotta al comunismo, dai Servizi Segreti della Repubblica Federale Tedesca. Erich Priebke, catturato a Bariloce (Argentina) nel Novembre del 1995; processato da un Tribunale Militare italiano (8 Maggio 1996) e assolto – per avere obbedito agli ordini che si dissero (falsamente) non ineseguibili – venne successivamente ri-processato (15 Ottobre 1996) da un Tribunale civile, sempre italiano, e condannato (Luglio 1997) a 15 anni (di cui 10 anni condonati), mentre Karl Hass veniva condannato a 10 anni e 8 mesi e subito rimesso in libertà. Il 7 Maggio 1998, il Tribunale Militare di Roma, nel Processo D’Appello, condanna entrambi i nazisti assassini all’ergastolo. Priebke chiede la grazia al Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi, che la subordina al parere dei parenti delle vittime delle Ardeatine. La grazia è rifiutata. Priebke ottiene, però, gli arresti domiciliari a motivo della sua età avanzata.
Fin qui la storia processuale, ma non tutti sanno che Priebke passò gli arresti domiciliari in casa del suo Avvocato (come lui nazifascista) che risiedeva in Via Cardinal Sanfelice (Piazza Irnerio, Municipio XIII di Roma Capitale). Il nazista “amava”, la mattina, passeggiare sotto scorta per il Quartiere e fare la spesa al Supermercato, come fosse uno di noi. Il boia nazista è morto all’età di anni 100 compiuti, l’11 Ottobre del 2013. Bene, l’11 Ottobre scorso, sono scoccati i 10 anni dalla sua morte. Il suo tempo di vita è stato troppo lungo e dieci anni possono far dimenticare molte cose, ma la nostra Memoria non dimentica i colpevoli di quell’eccidio, così come ricordano quei 335 martiri innocenti.
“Sottufficiale dei Carabinieri Reali, caposquadra del fronte militare di resistenza della Capitale (Banda CC.RR. Caruso) audace fino alla temerarietà sempre primo in ogni ardua contingenza e in ogni iniziativa rischiosa, sfidando impavido le insidie della polizia nazi-fascista che lo ricercava attivamente, eseguì personalmente diversi ed importanti atti di sabotaggio e di distruzione contro il nemico. Arrestato una prima volta, riuscì a fuggire dalle mani della polizia fascista, continuando imperturbabile la sua intensa attività di organizzatore. Arrestato successivamente e rinchiuso nelle tetre prigioni di via Tasso, vi giacque per circa novanta giorni, subendo ventotto martorianti interrogatori, e le più atroci, massacranti, immense torture, per estorcergli rivelazioni sull’organizzazione del fronte militare di resistenza. Sopportò con adamantina eroica fermezza i più strazianti, feroci supplizi che resero il suo corpo permanentemente invalido, per nascondere severamente il segreto. Luminoso, sublime esempio di alte virtù militari, di assoluto sprezzo del pericolo, di completa, appassionata dedizione alla causa della Patria. (Motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare, concessa al Brigadiere dei Reali Carabinieri Angelo Joppi, il 15 Maggio 1946).
Nel celeberrimo film di Roberto Rossellini, “Roma Città Aperta” (1944-1945) c’è una scena nella quale Don Pietro, il prete partigiano interpretato da Aldo Fabrizi, assiste il dirigente partigiano Luigi Ferraris, alias Ingegner Giorgio Manfredi (interpretato da Marcello Pagliero) che sta esalando l’ultimo respiro, dopo una pesantissima seduta di tortura a cui i nazisti lo hanno sottoposto. Don Pietro gli dice “Non hai parlato” e Ferraris china la testa e chiude, per sempre, gli occhi. Subito dopo il prete si rivolge all’Ufficiale tedesco, che aveva ascoltato quelle sue parole, e grida “Maldetti! Maledetti! Sarete schiacciati nella polvere, come dei vermi. Maledetti!”. (*)
Quella scena si svolge nel Carcere tedesco di Via Tasso e racconta la tragica fine di molti antifascisti incarcerati in quell’Edificio, oggi Museo Storico della Liberazione. A Via Tasso si svolgerà la parte finale della storia minima di cui oggi scrivo, quella del Brigadiere dei Reali Carabinieri, Angelo Joppi (1904-1984) antifascista e partigiano combattente, decorato di Medaglia D’Oro al Valor Militare.
“Là, vicino a San Giovanni…”
Se non fosse per alcuni appartamenti quel Palazzo, al civico 145 di Via Tasso, Rione Esquilino, sarebbe un tranquillo condominio romano come tanti altri. Ma la monotonia della vita degli abitanti di quelle case è rotta, quotidianamente, dal via vai quasi continuo di gente anonima, di tutte le età, che entra nell’edificio per visitare appunto alcuni di quegli appartamenti che non sono più, come si dice, “di civile abitazione” ma che, dopo essere stati uno dei luoghi più nefasti durante l’occupazione tedesca della città sono diventati, il 4 Giugno del 1955, un Museo: Il “Museo Storico della Liberazione”.
Quel Palazzo è stato – durante i 271 giorni dell’occupazione tedesca di Roma – la sede della polizia tedesca, al comando del Colonnello delle SS Herbert Kappler (che aveva il suo ufficio nell’edificio situato al civico 155 di quella stessa Via) ed un Carcere tedesco (al numero 145), zona “off-limits” per tutti, anche per i fascisti, ad eccezione degli uomini della “Banda” di Pietro Koch.
Quando ne parlavano i romani dicevano di quel luogo, senza pronunciarne il nome: “là, vicino a San Giovanni” ed in quell’espressione, secca, c’era tutto l’orrore – sconosciuto, ma sicuro – per quello che accadeva tra quelle mura e dietro quelle finestre murate che si vedevano dalla via, ammesso che si potesse superare lo sbarramento tedesco, che ne impediva l’accesso.
Al civico 145 si arrivava (e si arriva) dopo un tratto di strada reso allora più stretto dai cavalli di Frisia, dal filo spinato e dai soldati tedeschi che in assetto di guerra lo presidiavano giorno e notte. Ancora oggi, percorrendo quella stradina stretta, per arrivare all’ingresso del Museo, si ha l’impressione di varcare un confine: quello tra la normalità e l’orrore. Se si sale al secondo piano dello Stabile – superato l’ingresso angusto su cui affacciano alcune stanze trasformate, oggi, in zona di accoglienza del Museo – si arriva a quelle che, in origine, erano le celle del Carcere, tra cui una cucina, che i tedeschi avevano trasformato in cella d’isolamento. Si possono vedere ancora oggi le piastrelle che coprono una parte delle pareti una finestra, con un residuo del muro di mattoni che la nascondeva e un busto di bronzo.
Si tratta della Cella n. 5 del Carcere e il busto è quello del Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, che vi trascorse i 60 giorni intercorsi tra il suo arresto e la fucilazione alle Cave Ardeatine. Lì subì, in silenzio, le pesanti torture cui fu ininterrottamente sottoposto. Lì sopportò il martirio, per tenere fede al giuramento fatto alla Patria. Lì – come i tanti altri suoi compagni di sventura (come il Diplomatico e suo amico Filippo De Grenet, che era rinchiuso nella Cella n. 1, sempre al secondo piano del Palazzo) – continuò la sua lotta silenziosa per il riscatto dell’Italia.
Il 5 Aprile del ’44, la famiglia Montezemolo ricevette – dalla Direzione del Carcere – un biglietto nel quale si comunicava che il Colonnello era “morto di morte naturale” (“gestorben”), il 24 Marzo del ’44. Così è anche scritto sulla Scheda segnaletica intestata a Montezemolo e conservata, in originale, nel Museo di Via Tasso.
Anche il Brigadiere di Reali Carabinieri, Anglo Joppi, soggiornò in un cella di Via Tasso e sebbene venisse ripetutamente e ferocemente torturato, restando per questo permanentemente invalido, non rivelò mai, fino alla sua liberazione avvenuta il 4 Giugno del 1944, ciò che sapeva della sua Organizzazione, ciò che i tedeschi cercarono invano di fargli confessare. Ma in quel Carcere non erano rinchiusi solo uomini (oltre 1000, nei 9 mesi del suo funzionamento), ma anche donne: militanti politiche, ebree, partigiane, oltre 350, detenute al quarto piano dell’edificio. Di loro e della loro permanenza a Via Tasso è difficile trovare riferimenti nei testi storici o sul web. E’ come se quelle donne non avessero lasciato tracce visibili di quel disgraziato periodo della loro vita, ma le tracce invece ci sono e sono conservate nell’archivio del Museo.
Tra queste, quella lasciata da Maria Teresa Regard (Piera), componente dei GAP, i Gruppi di Azione Patriottica del Partito Comunista Italiano che aveva partecipato, tra le numerose altre, all’azione gappista di Via Rasella. Piera – arrestata il 30 Gennaio del 1944, con un’altra sua compagna, Carla Anglini, in casa di Gioacchino Gesmundo dove si era recata per procurarsi i famosi chiodi a quattro punte – fu portata a Via Tasso, dove già si trovavano altri suoi compagni. Della sua, per fortuna breve, permanenza nel Carcere tedesco – fu rilasciata perché i suoi compagni, Gianfranco Mattei e Giorgio Labò, non fecero il suo nome – (Mattei si suiciderà nella sua cella, due giorni dopo la cattura di Piera, per paura di non resistere ad altre torture e Labò sebbene torturato, dichiarerà di non conoscerla) Maria Teresa Regard ha scritto, tra l’altro:
«Ho assistito agli orrori del carcere di Via Tasso.». «Carla Angelini, la mia compagna morta qualche anno fa, aveva scritto su un foglio il nome, anche se storpiato, di colui che l’aveva arrestata e minacciosamente interrogata, dopo avere torturato a morte un altro compagno di lotta, l’ufficiale del Genio Luciano Lusana.». «Il nome era quello del Tenente Priebke. ». […]».
Nella sua testimonianza, la Regard racconta poi dell’attività di resistenza delle donne e della sua partecipazione alla Resistenza (il suo GAP era intitolato a Giuseppe Garibaldi): da giovane studentessa universitaria a Tenente del CVL, il “Corpo Volontari della Libertà”, decorata di Medaglia d’Argento al Valor Militare, con la seguente motivazione: «Giovane studentessa universitaria, partigiana, ardimentosa dava alla causa della Resistenza apporto entusiastico e infaticabile…Tratta in arresto e tradotta nelle prigioni di Via Tasso, teneva, durante i ripetuti interrogatori, contegno virile ed esemplare…».
Come ha lasciato scritto, incidendo le parole, ad una ad una, sul muro della sua cella di Via Tasso (la numero 1), il Generale dell’Aeronautica Sabato Martelli Castaldi – antifascista che aveva combattuto nella battaglia di Porta San Paolo e Partigiano con il nome di battaglia di “Tevere”, decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria – anche lui detenuto e torturato in quel luogo; anche lui assassinato alle Cave Ardeatine, il 24 Marzo del 1944, come molti altri Patrioti provenienti da quel Carcere:
«Quando il tuo corpo non sarà più / il tuo spirito sarà ancora più vivo / nel ricordo di chi resta / fa che possa essere sempre di esempio /.».
E di esempi come il loro – e delle tante altre persone comuni che, come loro, hanno dato la vita, per ciò in cui credevano – è lastricata la strada della rinascita democratica del nostro Paese.
Un libro
Sotto trovate raccontata la storia di resistenza di Angelo Joppi, ripresa dal Sito web dell’ANPI Nazionale. In chiusura ricordo che sulla storia del Brigadiere dei Carabinieri Medaglia D’Oro al Valor Militare, nel 2014 per i tipi della Minerva Edizioni e con il titolo di “Non ho parlato, storia di un carabiniere torturato di nazisti”, è uscite nelle Librerie un testo redatto proprio da Angelo Joppi, Il testo ri-editato da quello pubblicato, con identico titolo, nel 1947, reca la Prefazione dell’allora Colonnello di Carabinieri (oggi Generale di Brigata) Roberto Riccardi, all’epoca della pubblicazione Capo Ufficio Stampa del Comando Generale dell’Arma.
(*) Le cronache raccontano che il Film di Rossellini – che venne snobbato dalla delegazione del Governo italiano al Festival del Cinema di Cannes del 1947 al quale era stato presentato, ma ottenne in seguito un grosso successo di pubblico, seppure dopo una partenza incerta nelle Sale – ebbe, per la sua realizzazione, diverse peripezie a cominciare dal difficile reperimento della pellicola (quando la lavorazione del film ebbe inizio Roma era ancora per poco occupata dai nazifascisti), passando per la difficoltà di trovare i fondi per costituire il budget del Film, per finire con la titubanza di Aldo Fabrizi il quale, notoriamente fascista (sarà notata la sua presenza al funerale di Giorgio Almirante), aveva paura di comparire nella parte di un prete antifascista temendo per la sua vita, qualora fossero in città tornati a comandare i nazifascisti. L’attore si convinse solo dopo avere chiesto – e ottenuto – di ricevere come compenso una grossa parte del budget del Film (si parla di circa 2 milioni di Lire dell’epoca).
Angelo Joppi. Si era arruolato nell’Arma nel 1923 e, dal 1924, aveva prestato servizio presso la Stazione di Selci Sabina e a Roma. Al termine della ferma, aveva affiancato il padre nel lavoro di bottega a Viterbo e si era sposato. Padre di quattro figli, nel 1940 Angelo Joppi era stato richiamato in servizio. Frequentato il corso allievi sottufficiali, nel 1941 Joppi è brigadiere presso la Compagnia Comando della Legione “Lazio”. Vi resta sino all’armistizio, quando si dà alla macchia nel Viterbese. Tornato nella Capitale occupata dai tedeschi, ai primi d’ottobre del 1943, il sottufficiale entra nell’organizzazione clandestina dell’Arma, diretta dal generale Filippo Caruso. È protagonista di numerose, temerarie azioni contro i nazifascisti. Il 14 gennaio 1944 è Joppi a lanciare, in Via Tasso, due bombe a mano nel cortile del Comando della polizia tedesca. Il 7 marzo il sottufficiale riesce a sottrarsi alla cattura, quando la polizia fascista fa irruzione in una bottega della romana Via del Vantaggio, trasformata in base e deposito d’armi della Resistenza. Joppi non desiste: una settimana dopo è protagonista dell’attacco, in Via Tomacelli, contro una colonna di fascisti proveniente dal cinema “Adriano”. Ma il sottufficiale dei carabinieri si è esposto troppo. Ancora qualche giorno e Joppi, tradito da una spia, è arrestato dai tedeschi mentre si trova con una delle giovani figlie (Liliana, di 17 anni), alla stazione ferroviaria di Piazzale Flaminio. Tradotto nel carcere di Via Tasso, Joppi è sottoposto a terribili torture, che non valgono a piegarlo e a fargli rivelare ciò che sapeva sull’organizzazione clandestina diretta da Caruso. Dopo mesi di detenzione e di sevizie, che lo avrebbero reso invalido, il valoroso carabiniere è condannato a morte. Il 3 giugno, con altri resistenti destinati al martirio, è caricato su un camion diretto fuori Roma. Il mezzo si guasta e Joppi, con gli altri, è riportato in Via Tasso. Si salverà per il sopraggiungere degli angloamericani.
La motivazione della massima ricompensa al valor militare recita: “Sottufficiale dei Carabinieri Reali, capo squadra del fronte militare di Resistenza della Capitale (Banda CC.RR. Caruso) audace fino alla temerità, sempre primo in ogni ardua contingenza e in ogni iniziativa rischiosa, sfidando impavido le insidie della polizia nazi-fascista che lo ricercava attivamente, eseguì personalmente diversi ed importanti atti di sabotaggio e di distruzione contro il nemico. Arrestato una prima volta, riuscì a fuggire dalle mani della polizia fascista, seguitando imperturbabile la sua intensa attività di organizzatore. Arrestato successivamente e rinchiuso nelle tetre prigioni di via Tasso, vi giacque per circa novanta giorni, subendo ventotto martorianti interrogatori e le più atroci, massacranti, immense torture, per estorcergli rivelazioni sull’organizzazione del fronte militare di resistenza. Sopportò con adamantina, eroica fermezza i più strazianti, feroci supplizi, che resero il suo corpo permanentemente invalido, per nascondere severamente il segreto. Luminoso, sublime esempio di alte virtù militari, di assoluto sprezzo del pericolo, di completa, appassionata dedizione alla causa della Patria. – Fronte militare di resistenza, settembre 1943 – giugno 1944 – Regio Decreto 15 maggio 1946”.
Dopo essersi lentamente e dolorosamente ripreso dai tanti traumi provati, Joppi, promosso maresciallo capo dei CC, sarà collocato nella riserva nel giugno del 1962 col grado di tenente. È spirato, a ottant’anni, in un ospedale romano. Nel 1991, il Comando generale dell’Arma ha deliberato l’intitolazione ad Angelo Joppi della caserma che, a Bomarzo (Viterbo), ospita la stazione dei carabinieri. (www.anpi.it)
Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”
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