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Pistorius. La giustizia non è uguale per tutti

Ma questo si sapeva già

Nel luglio del 2007 ero presente al Golden Gala, la manifestazione romana di atletica leggera più importante dell’anno. Sono da sempre un appassionato di sport, soprattutto di quelli idealizzati ancora nell’illusione che siano esenti da interessi commerciali e da scommesse clandestine. Purtroppo non dal doping, verso il quale la tentazione è sempre troppo forte, con la carne degli atleti ancora troppo debole.

Quella sera ebbi l’opportunità di veder gareggiare, per la prima volta al mondo, Oscar Pistorius contro atleti normodotati, sulla distanza dei 400 metri piani. L’impressione che ne ricevetti fu ad un tempo scioccante ed esaltante nel vedere quel ragazzo sfortunato alla nascita, reagire con tanto coraggio e determinazione contro la sorte, dopo aver dovuto subire da piccolo l’amputazione delle gambe fino al ginocchio, col prendersi una rivincita gareggiando con strane protesi, agganciate alla parte superiore della gamba. In quella serata non vinse ma riuscì comunque a lasciarsi qualche atleta alle spalle. Non sono un addetto ai lavori, ma mi sembrò che, penalizzato in partenza, ricevesse un impulso straordinario da quelle lame, avvicinandosi all’arrivo. Comunque fosse, tanto di cappello a quel ragazzo sudafricano che mostrava tanta forza di carattere nel non arrendersi alla sfortuna.

Una valutazione superficiale non è mai veritiera, senza poter entrare nei meandri della psiche umana. È stato evidente in seguito quanto disturbo mentale dovesse ancora permanere in quell’atleta famoso e affermato che, in un alterco con la bella e altrettanto famosa fidanzata, la uccide a revolverate poco più di un anno fa. Poi il processo e i mistificati scenari degli avvocati – famosi e costosi anche loro – che ne giustificassero il comportamento, scegliendo la strada dell’errore per aver creduto la casa invasa dai ladri, con l’esplosione dei colpi accidentalmente indirizzati contro la ragazza. Una fatalità, accaduta addirittura nell’intento di proteggerla da ipotetici intrusi.

Ma alla prova dei fatti, nell’opinione pubblica rimane il convincimento che non si possa sparare così a casaccio senza sapere contro chi. Che poi la star dell’atletica, l’uomo che la pubblicità ha presentato come capace di volare sulle lame, o quella ancor più dettata dall’ironico destino: I am the bullit in the chamber (io sono il colpo in canna), abbia potuto sparare per sbaglio più di un colpo contro la fidanzata che si trovava in casa sua, scusate ma è poco credibile. Se si volevano trovare scuse, giustificazioni o attenuanti era più leale e condivisibile cercarle all’interno di una personalità ancora confusa e forse amplificata nella sua paranoia dal successo conquistato come atleta amputato, finora unico al mondo, capace di correre l’Olimpiade di Londra del 2012 con i più forti quattrocentisti normodotati, fino a giungere alla semifinale.

Il giudice donna che lo ha giudicato, gli ha inflitto 5 anni per omicidio colposo e tre anni (sospesi con la condizionale) per il possesso di arma da fuoco. Fa specie che i genitori della ragazza uccisa si siano dichiarati soddisfatti della sentenza. Forse, conoscendo la giustizia del proprio paese, temevano addirittura che potesse essere assolto? Può darsi.

Nel leggergli la sentenza che lo assolveva dall’accusa di omicidio volontario, mi auguro che la  giudice gli abbia detto: “Dall’accusa di volontarietà nell’omicidio, sei assolto. Ma la prossima volta non lo fare più.”

 


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