Il dibattito sul referendum costituzionale riserva ogni giorno sempre nuove sorprese. Dopo la chiamata in correo del PCI nelle nobili figure di Ingrao, Berlinguer e Iotti – Togliatti per ora è…
Preferirei di no. Benigni in pasticceria
“Sono trent’anni che sento parlare della necessità di superare il bicameralismo perfetto: niente. Di creare un Senato delle Regioni: niente. Di avere un solo voto di fiducia al governo: niente.
Pasticciata? Vero. Scritta male rispetto alla lingua meravigliosa della Costituzione? Sottoscrivo. Ma questa riforma ottiene gli obiettivi di cui parliamo da decenni. Sono meglio del nulla. E io tra i due scenari del giorno dopo, preferisco quello in cui ha vinto il ‘sì’, con l’altro scenario si avrebbe la prova definitiva che il Paese non è riformabile”.
Lo dice oggi Roberto Benigni a “la Repubblica”.
Non sono argomenti nuovi, anzi. Sono gli argomenti che più o meno alcune personalità, non solo politiche ma degli ambienti più diversi dell’establishment, portano a sostegno della loro propensione a votare sì al referendum di ottobre, pur dando un giudizio nel merito della riforma assai negativo e a volte sprezzante. Gli ultimi che ho visto, anzi letto, esprimersi in questo senso sono stati Vincenzo Visco, Bazoli, Cacciari.
Il celebre comico toscano, a differenza per esempio dell’emerito Napolitano, non liquida le obiezioni dei sostenitori del no come ubbie perfezioniste. Anzi, anche lui riconosce che il cambiamento della nostra Carta fondamentale è “pasticciato” e “scritto male”. Il che per un testo costituzionale non è questione di pura forma, ma di sostanza e perciò non di poco conto. Almeno per chi pensa alla Costituzione non come a un prodotto di pasticceria.
E qui sorge il mistero, non quello buffo di Dario Fo, ma quello ben più serio e corposo del nostro diavolaccio toscano: com’è possibile ottenere qualcosa di buono, cioè, come dice Benigni, gli “obiettivi di cui parliamo da decenni”, da una cosa fatta male e scritta peggio, incistata nella Costituzione?
La risposta del comico è che il pasticcio è meglio di un nulla di fatto che dimostrerebbe l’irriformabilità per omniam aeternitatem del nostro Paese.
Secondo questa logica, perciò, bisognerebbe prendere atto definitivamente che il nostro Paese è riformabile solo in peggio, cioè in modo pasticciato. Più che un sostegno al sì, quella di Benigni sembra una dichiarazione di resa ai pasticceri.