

Prevenire è meglio che curare. Questa frase che all’apparenza sembra un luogo comune rispecchia in realtà il principio del padre della medicina Ippocrate (Primum non nocere), secondo il quale per il paziente si deve prediligere sempre un trattamento che rechi meno danni possibili. Ad aiutare i medici a mettere in pratica questa teoria però devono essere gli stessi pazienti che giocano un ruolo fondamentale all’interno dei programmi, disposti ogni anno dal Ministero della Salute per l’identificazione preventiva, soprattutto nel caso delle forme tumorali più frequenti.
Molte volte però a bloccare i cittadini è la scarsa fiducia che ripongono del Sistema Sanitario, così finiscono con declinare l’invito a sottoporsi a controlli preventivi gratuiti sottovalutando la loro importanza (nonché il valore dei medici e delle strutture nazionali) e ritrovandosi magari dopo diverso tempo a fare i conti con malattie in stadio avanzato rimpiangendo poi l’opportunità persa in precedenza.
Questo senso di diffidenza è radicato in modo particolare nel Lazio e per una malattia ancora poco conosciuta: il tumore al colon- retto. In Italia sono circa 38.000 i casi diagnosticati ogni anno e, in termini proporzionali, la mortalità si colloca al secondo posto sia fra i maschi (dopo il tumore del polmone) che fra le femmine (dopo il tumore della mammella). Il Lazio nel 2005 è stato al quarto posto fra le regioni d’Italia per incidenza ed al secondo per mortalità. Le neoplasie al colon-retto colpiscono dai 40 anni in poi, con un aumento di incidenza che raggiunge il suo picco nei soggetti sopra i 60 anni, senza differenze di sesso. Nella maggior parte dei casi, la diagnosi è tardiva poiché vi sono pochi sintomi.
Per questo la Regione Lazio ha attivato, sin dal 2005, uno studio di fattibilità (DGR 1740/02) per sperimentare diverse modalità organizzative per lo Screening del tumore del colon-retto. Un lavoro che permette di identificare precocemente le forme tumorali invasive, ma anche a individuare e rimuovere possibili precursori. Si tratta di un semplice test immunochimico per la ricerca del sangue occulto fecale da effettuare con cadenza biennale, in caso di riscontri positivi vengono disposti tempestivamente, quindi senza attendere liste di attesa infinite, approfondimenti diagnostici: colonscopia eventualmente completata con colonscopia virtuale o clisma opaco a doppio contrasto.
“Nel Lazio L’adesione ad effettuare il test del sangue occulto è accolto solo dal 33% circa delle persone che ricevono l’invito – afferma il Dott. Elio Mattei del Reparto di Gastroenterologia dell’Ospedale Sandro Pertini – In altre regioni, come ad esempio l’Emilia Romagna, si arriva oltre il 60%. Nelle colonscopie da noi fatte, in ben il 35% si sono effettuate polipectomie endoscopiche con un’alta percentuale di polipi in fase di iniziale degenerazione (displasia di alto grado). Ma soprattutto – continua Mattei – abbiamo diagnosticato nel 9% degli esami fatti una neoplasia maligna che ha necessitato di intervento chirurgico. Tutti questi casi erano per fortuna in fase iniziale e quindi completamente asintomatici.
A questi ultimi pazienti è stato chiesto se, nel caso non fossero stati chiamati dalla ASL, avrebbero mai fatto di loro iniziativa una colonscopia. Tutti e sottolineo tutti hanno risposto di no! Questo significa – conclude il Dottore – che quasi sicuramente sarebbero stati costretti a farla solo alla comparsa dei sintomi quando cioè la loro patologia era già ad uno stato avanzato e quindi con una prognosi sicuramente diversa”.
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