Quel confine sottilissimo tra vita e morte

Una interessante discussione sul tema in occasione della presentazione del libro di Paolo Flores d’Arcais

Dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale (25 settembre 2019) che prevede la non punibilità del “suicidio assistito”, il tema del “fine vita” è tornato, nuovamente, d’attualità in Italia.

Una interessante discussione sul tema in oggetto si è tenuta il 15 ottobre 2019 presso l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, nell’ambito delle loro attività culturali, in occasione della presentazione del libro “Questione di vita e di morte” di Paolo Flores d’Arcais. Hanno discusso con l’Autore: Giuliano Amato e Simona Argentieri.

Amica o nemica la morte?”. Perché non riusciamo a riconciliarci con la morte, a familiarizzare con lei? Nasce con noi, viaggia – sempre – accanto a noi, è nostra sorella, anzi, gemella. Noi continuiamo a ritenerla nemica, a ignorarla come se non ci riguardasse. Eppure la nostra diagnosi, alla nascita, è infausta. Da questa avventura della vita nessuno ne uscirà vivo. Nonostante i progressi tecnologici, le avveniristiche scoperte e sperimentazioni medico-scientifiche non c’è da farsi illusioni. La morte non è alla fine, ma dentro la vita stessa. Infatti, dopo i 25 anni, muoiono ogni giorno 25.000 cellule cerebrali senza essere sostituite. L’ultimo giorno, dunque, non è che un finire di morire. Viviamo sulle frontiere dell’eternità e non ci pensiamo. Tutta l’infelicità dell’uomo viene dalla sua ostinazione di non accettarsi – quaggiù – come provvisorio.

L’angoscia della morte”, così come lo definisce la Argentieri, è l’ostacolo che si dovrebbe superare per tentare di elaborare, emanare una “legge” che riconosca il “diritto” di ciascun individuo di scegliere “come” e “quando” morire [beninteso quando ci siano determinate condizioni di “non vita” (p.e., malati terminali o stati vegetativi) (cfr, l. 38/2010 e l. 219/2017)].

La “pietas” sembrerebbe guidarci prima di ogni regolamento giuridico. Anche perché non tutte le morti sono uguali: quella improvvisa è ben diversa da quella che si “attende”. In quest’ultima, infatti, si crea un particolare tipo di rapporto tra malato terminale e familiari. Tutti i sentimenti sino allora sperimentati vengono accantonati, messi a tacere e paiono poca cosa: è una nuova relazione quella che si instaura basata, paradossalmente, sulla donazione reciproca. La sofferenza non deve essere un problema da risolvere o che fa orrore ma una realtà da vivere e condividere insieme. Tuttavia, ciò che ancora non è stato acquisito consapevolmente (nei molteplici ambiti di discussione e riflessione) è proprio questo passaggio dall’empatia all’autodeterminazione.

Il pamphlet di Flores d’Arcais, in questo senso, contiene una lucida e ben argomentata polemica contro il potere monolitico esercitato dalla Chiesa Cattolica. La sua domanda, alla fine, si può riassumere così: “Come può un estraneo – potere morale e ricattatorio della gerarchia ecclesiastica – decidere della mia vita?” “Perché dovrei accettare la tua morale e non viceversa?”. La soluzione potrebbe essere una sola: accettare la volontà dell’altro. Una volontà lucida, consapevole, reiterata e non condizionata. Una soluzione non divisiva ma condivisa: la scelta ultima non è tra vivere e morire ma “morire in un modo piuttosto che un altro” quando anche la medicina non può più nulla.

 

Brunella Bassetti

 


Le foto presenti su abitarearoma.it sono state in parte prese da Internet, e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo alla redazione che le rimuoverà.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Scrivi un commento