Storie dimenticate della deportazione
NOTA INTRODUTTIVA – A lezione di etnia (e di Diritti)
Che cosa c’entra Alessandro Manzoni (quello de “I promessi Sposi”, ma anche quello de “La Colonna Infame”, altro capolavoro letterario e civile, mai abbastanza letto e studiato) con la “razza” (meglio l’etnia) e i diritti universali? C’entra, c’entra. Ieri, infatti, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha, diremmo così, approfittato della sua presenza alle celebrazioni del 150° Anniversario della nascita di Manzoni, per dire la sua sulla questione della ‘difesa dell’etnia italiana’, tempo addietro sollevata dal Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (leggi del sovranismo alimentare), Francesco Lollobrigida.A Milano, Mattarella ha parlato del Manzoni civile e ha ricordato: «Nella sua visione è la persona, in quanto figlia di Dio, e non la stirpe, l’appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, di tutela e protezione. È l’uomo in quanto tale, non solo in quanto appartenente a una nazione, in quanto cittadino, a essere portatore di dignità e di diritti». Sintesi perfetta che meglio non si potrebbe. Capito, Ministro Lollobrigida?
Storia dell’internamento fascista e del Campo di Ferramonti di Tarsia (Cosenza)
Il 18 Settembre del 1938, in Piazza Unità D’Italia a Trieste, Benito Mussolini – l’ex socialista, dal 1919 diventato duce del fascismo e dal 1922 Primo Ministro e Segretario di Stato del Regno D’Italia – dichiara, durante un discorso che resterà nella Memoria nera del nostro Paese: “L’ebraismo è un nemico irreconciliabile!”. In realtà sulla questione della cosiddetta “razza superiore”, il fascismo si era, per così dire, “portato avanti nei lavori” emanando, il 7 Settembre del 1938-XVI, il Regio Decreto-Legge n.1381, recante “Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri” che prevedeva l’espulsione, dal Regno e dalle Colonie, di tutti gli ebrei stranieri in quel momento residenti. sul territorio nazionale e dell’Impero. Ma la parabola antisemita del fascismo era iniziata circa due mesi prima, ed esattamente il 14 Luglio del 1938, quando sul Quotidiano Il Popolo D’Italia (diretto da Arnaldo Mussolini, fratello del duce che quel Giornale lo aveva fondato) veniva pubblicato, con il titolo: “Il Fascismo e i Problemi della Razza”, il Documento fondante della politica razzista del regime più noto come il “Manifesto della Razza”. (*)
Poco meno di due mesi dopo il discorso di Trieste, il Parlamento fascistizzato del Regno approvava il Regio Decreto-Legge 17 Novembre 1938 – XVI, n.1728, recante “Provvedimenti per la Difesa della Razza Italiana”. Quel Decreto-Legge sarà il primo di una lunga serie di Provvedimenti antiebraici a sfondo razziale, voluti dal fascismo e controfirmati dal re savoiardo, Vittorio Emanuele III, che – si dice – abbia apposto la sua firma su quel primo Decreto razzista, senza avere sollevato alcuna obiezione sul suo contenuto e dopo una lauta colazione, consumata nella Regia Tenuta pisana di San Rossore.
Il tempo che con quel Pacchetto di Leggi razziste aveva inizio è stato definito dagli Storici come quello della “privazione dei diritti”.
“La Difesa della Razza”: il primo numero del Quindicinale “La Difesa della Razza” uscì esattamente un mese prima della firma delle Leggi razziali, il 5 Agosto 1938. La Rivista fu voluta da Mussolini per divulgare le teorie razziste nella cultura e nell’educazione degli italiani. Doveva riprendere, approfondire e sviluppare i temi contenti nel “Manifesto della Razza”, dopo essere stata legittimata, rafforzata e resa autorevole dalla firma delle Leggi razziali del Settembre 1938. Ne fu Direttore Telesio Interlandi e Segretario di Redazione Giorgio Almirante. L’ultimo Numero della Rivista portava la seguente data di pubblicazione: “16.20 Giugno 1943”.
Così il fascismo si allineava alla pratica antisemita del nazismo hitleriano che aveva promulgato, già nel 1933, un pacchetto di Leggi antiebraiche simili, le cosiddette “Leggi di Norimberga”, ma, paradossalmente, meno dure di quelle fasciste. Meno di due anni dopo quel primo Decreto antiebraico, Mussolini comunicava agli italiani – dal balcone del suo studio nel Palazzo di Venezia, che aveva visto ben altri fasti – l’entrata dell’Italia nel Secondo conflitto mondiale al fianco della Germania hitleriana (e poi del Giappone Imperiale) e da quel momento, gli ebrei saranno dichiarati non più degni della cittadinanza italiana diventando, di colpo, nemici dell’Italia fascista.
La Dichiarazione di guerra aggravò enormemente la situazione degli ebrei, non solo italiani, presenti sul territorio nazionale, la cui vita libera era già stata colpita pesantemente dalle Leggi razziste e antisemite. Ma – è bene ricordarlo – già da prima di quella dichiarazione di guerra ed esattamente dal 16 Maggio 1940 – mentre l’Italia era ancora in situazione di “non belligeranza”– il Ministero dell’Interno aveva predisposto una prima Circolare che ordinava (in caso di coinvolgimento del Paese nella guerra mondiale scoppiata il 1° Settembre del 1939, con l’invasione tedesca della Polonia) l’internamento di tutti i cittadini di Stati stranieri. Malgrado il Provvedimento di espulsione, emanato poi nell’Ottobre 1938, in Italia si trovavano a quell’epoca circa 3800 ebrei stranieri; per loro si disponeva dunque, in caso di guerra, che fossero separati e trasferiti in Strutture speciali di Internamento.
L’annuncio dell’internamento degli ebrei stranieri
“Nella seduta della giunta dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane tenutasi il 30 maggio 1940, il presidente Dante Almansi comunicò le intenzioni del governo fascista di rinchiudere gli ebrei stranieri in uno speciale campo di concentramento, che era in via di allestimento a Ferramonti di Tarsia (in provincia di Cosenza). La collocazione geografica di questo campo – all’estremità meridionale della penisola – permise la salvezza della maggior parte degli internati, che sfuggirono all’occupazione tedesca e furono liberati dagli inglesi il 14 settembre 1943. Almeno 141 ebrei concentrati a Ferramonti, però, erano stati in precedenza trasferiti nell’Italia centro-settentrionale. Arrestati dai nazisti, furono deportati in Germania verso la fine del 1943. Tornarono in 11.
- Lo stato di guerra ha indotto il governo a prendere dei provvedimenti nei confronti dei profughi ebrei stranieri i quali verranno accentrati in una località dell’Italia meridionale e precisamente a Tarsia (provincia di Cosenza), dove dovranno restare anche a guerra ultimata per essere trasferiti di là nei paesi disposti a riceverli. Il provvedimento verrà attuato in due tempi: prima uomini e donne verranno separatamente avviati in diverse località del Regno, poi verranno riuniti nella località definitiva su accennata ricostituendo le singole famiglie in appositi baraccamenti. Anche gli apolidi vengono considerati alla stregua degli stranieri se venuti in Italia dopo il 1919.”
- Carlo Spartaco Capogreco, “L’entrata in guerra dell’Italia e l’internamento degli ebrei stranieri: il campo di Ferramonti”, in C. Di Sante(a cura di), I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione (1940-1945), Milano, Franco Angeli, 2001, p. 83Sul Campo d’Internamento di Ferramonti di Tarsia, Carlo Spartaco Capogreco, Storico italiano specializzato nello studio dei Campi di Internamento e Concentramento, ha scritto un Saggio intitolato Ferramonti, edito dalla Casa Editrice Giuntina, nel 2007.
- Venne così approntata tutta una serie di queste Strutture Speciali tra le quali spiccavano il Campo di Pisticci (MT), riservato soprattutto agli oppositori politici italiani, Il Campo di Agnone (IS) riservato ai Rom ai Sinti, italiani e stranieri, così come la Rocca di Cento (Ferrara), il Campo di Colfiorito (Umbria) – destinato e agli ebrei stranieri, ai civili albanesi e montenegrini, come pure ai detenuti politici italiani – nonché quello di Ferramonti di Tarsia (CS) per gli ebrei stranieri, ma non solo. E così fu possibile dare attuazione alle disposizioni contenute nel Decreto del Duce 4 Settembre 1940-XVIII, recante “Disposizioni relative al trattamento dei sudditi nemici internati.”.
Come ho scritto, tra le Strutture di contenimento approntate figurava il Campo di Ferramonti di Tarsia che entrò in attività il 20 Giugno del 1940, ovvero appena dieci giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia. Ferramonti fu il principale Campo di Internamento per ebrei stranieri aperto all’epoca in Italia. Era stato allestito, in fretta, nel corso del Mese di Maggio. In Settembre, con l’arrivo di 302 persone deportate da Bengasi, il Campo raggiunse il numero di 700 prigionieri (diversi dei quali erano donne e bambini). il Campo di Ferramonti è stato uno dei più grandi Campi di Internamento tra quelli aperti dal regime nell’Italia fascista. Si estendeva su di un’area di 16 ettari ed era composto da 92 baracche di varia dimensione, molte delle quali con la classica forma ad “U” e fornite di cucina, latrine e lavabi comuni.
Nel Novembre 1941, furono condotti a Ferramonti anche prigionieri non ebrei (soprattutto jugoslavi, greci e albanesi). Accanto al predominante gruppo di ebrei stranieri, che non scese mai sotto il 75% del totale dei reclusi, a Ferramonti arrivarono anche dei gruppi di persone di religione non ebraica, ma di nazionalità dichiarate nemiche dell’Italia, alcune delle quali professavano la religione cattolica. Tra gli internati di Ferramonti si troverà anche un gruppo di cittadini cinesi (settanta uomini, commercianti ambulanti nelle città del Nord o marinai su navi italiane) che allestirono all’interno del Campo una lavanderia. Anche se gli ebrei non detenevano più l’esclusiva della presenza nel Campo, la presenza ebraica rimase sempre preponderante e, nell’Agosto del 1943, toccò il proprio culmine, con 2.016 prigionieri. presenti. Il 14 Settembre 1943, il Campo di Ferramonti di Tarsia venne liberato dalle avanguardie dell’Esercito britannico.
Nota: La maggioranza degli ebrei italiani non venne internata. Nel Maggio 1942, però, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 55 anni (circa 10 000 persone) vennero precettati e adibiti al lavoro obbligatorio. L’operazione venne ampiamente propagandata dalla stampa fascista, ma si rivelò un completo fallimento sotto il profilo economico, in quanto gli individui furono in genere adibiti a lavori manuali, per i quali non avevano alcuna attitudine e competenza.
La questione dei Campi di Internamento nell’Italia fascista non può certo esaurirsi con le poche righe che avete letto sul Campo di Ferramonti di Tarsia, Non va, infatti, dimenticata la Rete di Campi analoghi che il fascismo aprì, con il proseguire della guerra, nei Paesi che andava via via occupando. Si tratta di una questione sulla quale mi riprometto di tornare a scrivere), mentre ricordo qui solo quelli aperti in Slovenia e Dalmazia ma anche alcuni altri attivi in Italia e a in territorio dalmata e sloveno collegati, rimandandovi alla lettura della Nota finale.
Con queste righe, mi premeva aprire, diciamo così, una “finestra” su questo aspetto della dittatura fascista che sarà poi ulteriormente aggravato, al tempo della Repubblica Sociale Italiana (quello che gli Storici hanno definito “della privazione delle vite”). Tempo in cui, in ossequio alla collaborazione assassina del fascismo saloino con i nazisti occupanti, di ben altro tenore saranno quei Campi che diventeranno, di fatto, Campi della Morte. Questo è un altro aspetto della questione “Campi d’Internamento” che non viene quasi mai messo nella giusta evidenza nelle rievocazioni storiche: cosa che accade, forse, per dare corpo all’espressione “italiani, brava gente” che non solo non corrisponde affatto – per dirla con il Machiavelli – alla “realtà effettuale delle cose”, ma che assolutamente non mi appartiene. (**)
Nota finale: occorre qui fare un cenno doveroso al Campo di Internamento di Arbe-Rab (Dalmazia) che altro non era che un insieme di tende circondate da filo spinato. Arbe rappresenta il più tristemente noto tra la totalità dei Campi d’Internamento allestiti dagli italiani, oltre che quello di maggiori dimensioni. Gestito direttamente dalla II Armata del Regio Esercito (che il 5 Maggio 1942 muta la propria denominazione in Supersloda, ovvero “Comando Superiore Slovenia e Dalmazia” con sede a Sussak), si presenta fin dalla sua apertura, avvenuta nella primavera del 1942, come un’enorme tendopoli recintata da filo spinato dove mancano latrine, cucine, infermerie ed ogni tipo di servizio, e dove le prime baracche sono costruite soltanto a partire dalla primavera dell’anno successivo.
L’ubicazione del Campo in una piana acquitrinosa, lascia i prigionieri esposti alla bora, alla pioggia e alle intemperie del rigido clima invernale facendo registrare, nel solo inverno del 1942, un altissimo tasso di mortalità: migliaia di uomini, donne e bambini sloveni muoiono per fame, malattie e freddo. Dalla Struttura di Arbe, punto nevralgico dell’intero universo concentrazionario fascista, dipendono, in territorio italiano, altri complessi adibiti all’internamento di cittadini jugoslavi: Cairo Montenotte (Savona) in Liguria, Renicci (Arezzo) in Toscana, Monigo di Treviso (Treviso) e Chiesa Nuova (Padova) in Veneto, Visco e Gonars, il più grande campo di concentramento per internati civili attivo in Italia durante il secondo conflitto mondiale. Fonte: http://intranet.istoreto.it/esodo/parola.asp?id_parola=4
(*) Va ricordato che fin dal Giugno del ’25, con la Legge n. 969, riguardante sia italiani che stranieri in grado di portare le armi e capaci di attività nociva agli interessi della Nazione, il Governo aveva provveduto ad organizzare la disciplina del Paese in guerra. Con l’emanazione, nel 1926, delle “Leggi Speciali” (i cosiddetti “Provvedimenti per la difesa dello Stato”), il Governo aveva istituito, presso ogni Prefettura, una “Anagrafe delle persone sospette in via politica”, in cui comparivano i nominativi di coloro che andavano arrestati in caso di particolari contingenze, momenti di tensione sociale e, ovviamente, stato di guerra. Quella Legge del ’25 fu il riferimento normativo del Regio Decreto-Legge 8 Luglio 1938-XVI, n. 1415, ovvero il Testo Unico sulle Leggi di Guerra, grazie al quale: “il Ministero dell’Interno, con suo Decreto, può disporre l’internamento dei sudditi nemici atti a portare le armi o che comunque possano svolgere attività dannosa per lo Stato.”. (Articolo 284)..
(**) L’Articolo 7 della “Carta di Verona”, Atto fondativo della Repubblica Sociale Italiana (RSI) approvata il 14 Settembre 1943, durante il Congresso fascista di Verona, stabiliva: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.”. Alla Carta seguirà, il 30 Novembre del 1943, l’Ordinanza di Polizia N. 5 che stabiliva: “Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengono, e comunque residenti nel territorio nazionale, debbono essere inviati in appositi campi di concentramento.”.
Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”