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Tevere soffocato dai rifiuti: la plastica invade fiume e mare

Una ricerca condotta dell'Ispra ha permesso di monitorare il tipo di rifiuti che dal fiume finiscono in mare

La foce del Tevere, tra Fiumicino e Ostia, è diventata un simbolo drammatico di un conflitto in cui la natura sta irrimediabilmente perdendo, ma non solo.

Uno studio dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha fatto luce su un’altra questione cruciale: la composizione dei rifiuti che inquinano i nostri corsi d’acqua.

Il 19 settembre, l’Ispra ha diffuso i risultati di un monitoraggio sui “macro-rifiuti galleggianti” in 12 fiumi italiani. E il verdetto è chiaro: il Tevere è il fiume più inquinato d’Italia per quanto riguarda la quantità di rifiuti che trasporta, in gran parte composti da plastica.

Questo fiume storico, che attraversa il cuore di Roma, convoglia non solo rifiuti di ogni genere, ma anche oggetti voluminosi come frigoriferi e boiler, spesso provenienti dall’Aniene. Tuttavia, la vera piaga sono gli imballaggi in plastica alimentare, che si accumulano continuamente alla foce.

Secondo Roberto Crosti, ricercatore dell’Ispra, la situazione è grave e costante. “Monitoriamo il Tevere dal 2016 e non abbiamo rilevato periodi in cui i rifiuti galleggianti siano significativamente più numerosi”, afferma Crosti. Tuttavia, con l’arrivo della primavera e l’inizio dell’estate, quando il fiume viene maggiormente vissuto, si osserva un leggero aumento dei rifiuti, in particolare degli imballaggi alimentari.

Ma che fine fanno questi rifiuti? Gli scienziati hanno utilizzato contenitori di plastica dotati di GPS per tracciare il percorso dei rifiuti trasportati dal Tevere.

Uno di questi è arrivato fino in Corsica, mentre la metà dei dispositivi traccianti lanciati nel fiume è ancora lì, dopo un anno e mezzo, confermando che i rifiuti possono restare intrappolati a lungo nelle acque fluviali, subendo un lento processo di frammentazione.

Una volta raggiunto il mare, la plastica si disintegra ulteriormente, fino a trasformarsi in microplastiche, che poi vengono ingerite dai pesci e finiscono sulle nostre tavole.

Un problema ben noto anche all’associazione ambientalista MareVivo, che da tempo denuncia questa situazione. Per cercare di contrastare il fenomeno, sono state introdotte le cosiddette barriere “acchiappa-rifiuti”, che in parte hanno intercettato i dispositivi GPS utilizzati nell’esperimento.

La Regione Lazio ha promesso nuovi investimenti in questa tecnologia, riportando in funzione anche la “diga galleggiante” sull’Aniene. Tuttavia, queste soluzioni da sole non possono bastare. È fondamentale intervenire con politiche mirate alla riduzione dei rifiuti plastici, in particolare degli imballaggi alimentari, che restano i principali responsabili dell’inquinamento del Tevere.

Il Tevere, che dovrebbe essere una risorsa per Roma e le sue comunità, sta diventando un fiume che trascina verso il mare tonnellate di plastica e rifiuti, con conseguenze devastanti non solo per l’ambiente, ma anche per la nostra salute.


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