Un libro ci parla del male assoluto

L'uomo nero - Storie di mostruosità e melma nera

Premessa – Melma nera in Europa

Germania: Alternative Fur Deutscland (AFD) il Partito neonazista tedesco, ha eletto il suo primo Sindaco del dopoguerra nel paesino di Raguhn-Jesseitz (Sassonia).

Francia: a Lione sono comparse le ronde nere del Movimento di estrema destra Les Remparts, al grido di “La Francia ai francesi” e “Questa Patria è nostra”.

Frammenti

«Davide! Davide! Scappa via bello de mamma, scappa! Che ce so li mammoni». [grido udito nel silenzio di via della Reginella, alle cinque del mattino del 16 Ottobre 1943, durante la grande razzia tedesca del Ghetto e della città di Roma].

Sbronzarsi, drogarsi prendersi le cose e le donne altrui, rischiare la vita in un modo idiota, per nulla, stuprare e devastare. Non me ne frega un cazzo del prezzo che pago, prima lo faccio pagare agli altri, poi lo pagherò io.” . “[…]”. “Ho pure collaborato con la giustizia, ma l’ho fatto per uscire, per poi tornare a commettere reati di fuori. Non ho mai voluto fare altro.” (Angelo Izzo, l’ “Uomo Nero” del Circeo e di Ferrazzano).

Nel frammento iniziale che avete letto sopra, il termine “mammone” indica chiaramente i nazisti paragonati al “gatto mammone”, parola composta che nell’Ottocento indicava il falso idolo delle ricchezze e il demonio. Ma molto probabilmente, le mamme di una volta usando quella parola non si riferivano direttamente al demonio, bensì ad una creatura fantastica e paurosa nata dall’unione del gatto, animale che nel Medioevo si pensava appartenere a Satana, e del Mammone, appunto il diavolo. Per molto tempo “mammone”, termine di origine siriaca, è stato usato per terrorizzare i cuccioli dell’uomo e probabilmente, proprio come indicatore del peggior essere per cattiveria presente sulla terra, è entrato nel linguaggio quotidiano degli ebrei romani al tempo di quel funesto 16 Ottobre di quasi ottanta anni fa. 

Al tempo della mia infanzia, invece, il gatto mammone era scomparso dalla scena, sostituito dall’ “uomo nero”, figura altrettanto sinistra che – se non avessi prontamente ubbidito ai miei genitori, senza discutere, e fatto tutti i compiti – sarebbe certamente arrivato, mi avrebbe rinchiuso nel suo sacco, nero come lui e portato via, per sempre. Dunque, diverse le parole, ma sempre uguale il terrore vero con il quale si rovinava di giorno e di notte – scientemente o meno che fosse – la vita di molti bambini (me compreso) nati negli anni 50 del Secolo scorso. 

Perché queste righe introduttive tra lo storico e il semantico ottocentesco? Perché proprio di un “uomo nero” racconta il libro che oggi vi propongo. Un “uomo nero” in carne ed ossa che ha occupato le cronache appunto nere (anzi nerissime) dei Quotidiani per molto tempo, negli anni tra il 1975 e il 2005. A chi mi riferisco? Ma ad Angelo Izzo, l’”uomo nero” (meglio uno dei tre) del Circeo, ma non solo. Di lui e della sua vita da assassino compulsivo e narcisista scrive la giornalista romana, nata e cresciuta in RAI, Ilaria Amenta nel suo “Io sono l’uomo nero, dal Circeo a Ferrazzano la storia mai raccontata di Angelo Izzo e dei suoi crimini”, Rai Libri, 2023. 

Si tratta di un libro duro, anzi durissimo. Un libro che non avremmo mai voluto leggere e che si legge a fatica, non per come è scritto, ma per le cose orrende che descrive. Certo, tutti noi conosciamo la violenza, ne abbiamo letto e l’abbiamo sentita raccontare molte volte in tutte le sue sfumature, ma mai questa perversione di alcuni umani è stata descritta come in questo libro. Ripeto, non avremmo mai voluto leggerlo un libro così, ma si tratta di una lettura purtroppo necessaria perché, con le sue pagine, l’Autrice ci regala non solo la conoscenza di anni duri del nostro passato non poi così remoto, ma anche la consapevolezza di cosa sia il male assoluto, di come si possa presentare e di come possa sostanziare la massima espressione del disprezzo dell’altro da sé. 

Ma questo libro, che Ilaria Amenta ha scritto con molto coraggio, ci aiuta anche a riflettere su di una cosa molto difficile da capire: come sia possibile, dopo trent’anni passati a scontare un ergastolo per i fatti tremendi del Circeo (1975), uscire in semilibertà (sarebbe interessante leggere la Relazione che ha permesso la concessione di questo beneficio a uno come Angelo Izzo) e commettere ancora due omicidi, con la stessa efferatezza del primo (quello di Rosaria Lopez) e con la stessa voglia di violenza della prima volta, affatto diminuita da quei trent’anni di detenzione e nemmeno spenta, come leggerete, dal secondo ergastolo comminato ovvero ancora vivida dentro, nonostante la frase che un timbro a secco ha stampigliato su di un fascicolo intestato con il proprio nome: “FINE PENA MAI”. D’altronde all’inizio avete letto: “Non me ne frega un cazzo del prezzo che pago, prima lo faccio pagare agli altri, poi lo pagherò io.”, firmato Angelo Izzo, l’”uomo nero” che scriverà anche – compiacendosene – quanto segue: “Ciò che è tu, diventa mio perché io lo voglio e me lo prendo”. E il riferimento è qui non solo ai beni materiali. (*)

Il piccolo schermo, le lotte femministe e il Codice penale che cambia

Occorre ricordare che il massacro del Circeo fu raccontato, nel 1979, del Programma RAI “Processo per Stupro” che trasmise integralmente le udienze del Processo agli assassini del Circeo. Per la prima volta in RAI veniva affrontata quella tematica.

Quel Processo e le lotte femministe che lo precedettero e seguirono dettero origine alla Legge 15 Ottobre 2013, n.119 (in vigore dal 16 Ottobre 2013) recante: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, che reca disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”.

Nel 2009 è stato poi approvato uno specifico Decreto-Legge, cosiddetto anti-stupro, che inasprisce le pene per quel tipo di reato e introduce il reato di “atti persecutori” nei confronti delle donne. Dunque, quel Processo – come pure l’Originale televisivo più recente intitolato “Circeo” (Settembre 2022) hanno contribuito a cambiare il sentire comune, e di conseguenza la Legge, facendo diventare la violenza di genere non più delitto “contro la morale ed il buon costume”, eredità del Codice fascista Rocco del 1930, bensì “delitto contro la persona”. 

Ma vediamo di capire meglio come stanno effettivamente le cose in questa storiaccia. Angelo Izzo è in carcere da trent’anni quando esce in semilibertà e commette gli omicidi di due donne – moglie e figlia di Giovani Maiorano, un affiliato pentito alla sacra corona unita conosciuto in carcere – madre e figlia che si trovavano a Ferrazzano (Campobasso) sotto protezione testimoni. Due donne di tutto innocenti. Le raggiunge e le uccide senza ragione o meglio solo per dare libero sfogo alla sua voglia incontrollabile di esercitare la violenza. Poi, mentre è di nuovo in carcere a scontare il suo secondo ergastolo, Izzo comincia a scrivere le sue “memorie”. Una sorta di diario in più capitoli nel quale si compiace di raccontare nei minimi particolari le sue azioni criminali ed è dalla lettura di questo diario che origina il coraggiosissimo lavoro della Amenta di cui scrivo qui.

La Roma nera dei “drughi pariolini”

A Roma, Angelo Izzo è uno dei tanti “pariolini” (temine dispregiativo che indicava, negli anni ’70, i figli annoiati dei ricchi romani, quasi sempre fascisti). Lui, figlio di un costruttore edile, non abita proprio ai Parioli ma in un Quartiere confinante. Giovanissimo è entrato nel mondo della militanza politica armata di estrema destra e ha nel suo curriculum furti, rapine e lo stupro di due ragazzine. Anche un suo amico è un violento. Si chiama Gianni Guido, è figlio di un alto funzionario di banca e anche lui milita negli ambienti dell’estrema destra, così come il terzo del gruppo, Andrea Ghira, anche suo padre Aldo fa il costruttore. Loro due sì che sono pariolini doc.

Anche Andrea Ghira è stato in carcere per rapina e dai due camerati si fa chiamare Jacques Berenguer, come il famoso criminale marsigliese, noto a Roma per avere compiuto sequestri di persona. Sicuramente i tre conoscono i camerati Fioravanti, Mambro e Cavallini che nel 1977 daranno vita ai Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) e riempiranno di delitti le cronache nere di quegli anni, e non solo di quelli. Ma i tre pariolini conoscono di certo anche Massimo Minorenti, una figura minore del giro nero, anche lui militante di estrema destra. Minorenti, nell’Agosto del 1970, verrà ucciso dal Marchese Camillo Casati Stampa di Soncino perché, amante prezzolato della moglie Anna Fallarino. Se n’era innamorato e, da lei ricambiato, i due volevano fuggire: il fucile da caccia del Marchese (con il quale lui stesso si suicida dopo il duplice delitto) glielo impedisce mentre – nel silenzio di quella sera d’estate – la città intera segue, con trepidazione, la partita di Calcio tra le nazionali di Italia e Germania. L’Italia quella partita, che diventerà Storia del Calcio giocato, la vince per 4-3, così guadagnandosi la finale dei Mondiali di Messico ’70.

Izzo e i suoi degni compari, passano i pomeriggi al Fungo dell’Eur, un locale abituale ritrovo dei fascisti capitolini, dove i tre, nel Settembre del 1975, porteranno Rosaria Lopez (19 anni) e Donatella Colasanti (17anni), le due ragazze vittime del massacro consumato nella Villa della Famiglia Ghira situata in Via della Vasca Moresca, a San Felice Circeo. Dopo quel crimine i tre diventeranno “famosi” e, al termine di una serie di colpi di scena, Guido e Izzo finiranno in galera, mentre Ghira fuggirà all’estero (si disse grazie alla zia che gestiva, con l’UNITALSI, i viaggi a Lourdes dei treni dei malati) si arruolerà, in Spagna, nella Legione straniera – il Tercio – sotto il falso nome di Massimo Testa De Andres e morirà per overdose a Melilla, enclave spagnola situata sulla costa orientale del Marocco, il 2 Settembre del 1994.

Così finisce la vita di Andrea Ghira mentre Guido finirà di scontare definitivamente la sua pena il 25 Agosto 2009, dopo aver conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere in carcere, fruendo di uno sconto di pena di otto anni grazie ad un indulto. Angelo Izzo, invece, farà ancora parlare di sé per il doppio delitto di Ferrazzano: “l’Uomo nero”, infatti, non ha mai abbandonato la sua insana “passione” per la violenza e, passando tra le maglie troppo larghe della Giustizia, ha ucciso ancora. Chissà se dopo questi ennesimi delitti lo Stato ha capito, finalmente, di che pasta criminale è fatto il “drugo dei Parioli”. 

Come fosse uno Studio sociologico sui giovani del tempo, il lavoro di indagine della Amenta, ci catapulta nel mondo dei ragazzotti della cosiddetta “Roma bene”, degli anni ’70 del ‘900. I figli di papà che hanno “tutto e subito” e per questo si annoiano da morire, così da riempire la loro vita vuota con fatti trasgressivi; rapine, stupri e assassinii. Insomma, ragazzotti annoiati per i quali anche la militanza politica (preferibilmente di destra) vale solo quando è fatta di assalti ai rossi, di pestaggi e anche qui di violenza assassina. 

Sono i ragazzotti di cui racconterà Edoardo Albinati nel suo La Scuola Cattolica (il “San Leone Magno”, di Roma), pubblicato da Rizzoli e Premio Strega 2016, un Premio letterario di cui Angelo Izzo, nel suo diario inedito, scrive di andare fiero, come fosse stato un Oscar a lui stesso attribuito per la sua carriera di assassino compulsivo e narcisista.  Va ricordato qui anche il Film che il regista Stefano Mondini dirige, con lo stesso titolo del libro di Albinati, nell’Ottobre del 2021.

Il lavoro dell’Amenta racconta, all’inizio, dei “drughi dei Parioli” (“drugo” e il termine mutuato dal Film “Arancia Meccanica”, di Stanley Kubrik, con cui i pariolini come Izzo amavano fregiarsi e traduce il termine “stupratori”) ma poi, pur lasciando gli altri sullo sfondo, si concentra su uno di loro, su Angelo Izzo e lo segue dal suo arrivo sulla piazza della destra romana fino alla scrittura del diario, al tempo della sua seconda condanna all’ergastolo per duplice omicidio. Per farlo e farlo al meglio, l’Autrice ha dovuto leggere quel diario, di cui è venuta in possesso in modo fortuito e andando avanti con la lettura di quelle pagine agghiaccianti è stata costretta a scegliere un taglio narrativo per proteggere il lettore dal male assoluto che queste pagine sprigionano. Ha scelto, infatti, di intervallare il suo punto di vista ai brani del Memoriale Izzo contenuti nel libro. 

L’ho scritto, si tratta di un libro duro da leggere e digerire, ma di un libro che andava scritto perché è sempre utile (direi addirittura necessario) conoscere a fondo il male, se vogliamo vaccinarci da chi porta in sé – riconoscendolo apertamente – quel virus, spacciandolo, come fa Angelo Izzo, il Mostro dei Parioli, per qualcosa di “naturale” che non si riesce a controllare, mentre ci dice apertamente, con le parole, ma anche con i fatti, che con quel virus vuole infettarci, fregandosene del prezzo che dovrà pagare per questa sua azione da untore. (**)

Nota finale: l’”Uomo Nero” e il “Caso Corazzin”

Lei si chiama Rossella Corazzin e ha appena 17 anni. Si trova in vacanza con i genitori a Tai di Cadore (Belluno) e un giorno – due mesi prima del massacro del Circeo – scompare nel nulla. Nessuna traccia di lei aiuta nelle ricerche. Vengono rinvenute soltanto alcune lettere in cui la ragazza scrive di avere conosciuto “un certo Gianni”. Il mistero più fitto circonda quella sparizione finché, nel 2016, Angelo Izzo non racconta la sua versione di quel fatto. La ragazzina, ancora vergine, venne rapita da un gruppo di drughi (leggi stupratori) per farne l’oggetto di un rito di iniziazione a base di sesso e per poi sacrificare (leggi uccidere) la vergine non più tale.

Si disse e scrisse che la ragazza fosse stata una delle vittime del “Mostro di Firenze” perché – è sempre Izzo che racconta – il “rito” iniziatico  si svolse su un tavolo nella Villa del Medico fiorentino Francesco Narducci, rampollo di un’agiata famiglia fiorentina e massone (che Izzo descrive come un camerata, figaccione, dalle belle moto e auto, del quale era diventato molto amico: Ricorderà infatti che i due avevano partecipato a diversi Convegni massonici, presenti molti aderenti ai gruppi dell’estrema destra) –  che, prima di sparire nel nulla nel 1985,  era entrato nelle indagini sui delitti del “Mostro di Firenze” che riempiranno le cronache giudiziarie negli anni tra il 1974 ed il 1985.

Izzo racconta, compiaciuto, la sua storia macabra, ma non viene creduto e così le indagini si arenano. D’altronde il padre e la madre di Rossella Corazzin erano morti molto tempo prima delle rivelazioni dell’”uomo mero”, convinti che la figlia fosse morta dopo essersi persa nei boschi del Cadore.

(*) “Massacro del Circeo”, atto finale: «Cigno, cigno! C’è un gatto che miagola dentro una 127 in viale Pola». È la notte tra il 30 Settembre e il primo Ottobre 1975. A Roma, nel Quartiere Trieste, un metronotte ferma una volante dei carabinieri: «C’è una macchina», dice, «una Fiat 127. Si sentono lamenti provenire dal bagagliaio». I militari parcheggiano, si avvicinano all’auto, ci girano intorno. Odono un rumore, chiamano i soccorsi via radio: «Cigno, cigno, c’è un gatto che miagola». Arrivano altre pattuglie. Arriva anche un fotoreporter, che era sintonizzato sulle frequenze dell’Arma, si avvicina al portabagagli mentre i militari lo forzano e, quando il portellone viene aperto, i suoi flash illuminano l’inferno. Dentro ci sono i corpi di due ragazze: una è morta, l’altra è viva, per puro miracolo…. .
(**) Interessante, nel libro della Amenta, è anche la Prefazione firmata dal, Dottor Giuseppe De Falco, Procuratore della Repubblica di Latina, già Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Roma al tempo delle indagini, a lui affidate, sulla latitanza di Andrea Ghira. Il Dottor De Falco trae spunto dalla vicenda di Angelo Izzo e degli assassini del Circeo, di cui al lavoro di Ilaria Amenta, per ricordarci il valore della persona umana, donna o uomo che sia, e l’importanza, per un vivere che si definisca civile, del rispetto dell’altro da sé sostanziato – negli Articoli 2 e 3 della nostra Costituzione – dall’espressione  “diritti inviolabili dell’uomo” (“che la Repubblica riconosce e tutela”, Articolo 2) e dalle parole uguaglianza, dignità, parità giuridica e sociale, (di cui all’Articolo 3) richiamandoci al nostro dovere di cittadini coscienti e responsabili.

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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