Unioni civili. La “sharia” di Bagnasco

di Aldo Pirone - 26 Gennaio 2016

Ieri il cardinale Bagnasco è intervenuto sulla questione della famiglia e delle unioni civili. Ha detto molte cose e fatto molte considerazioni che meriterebbero una confutazione nel merito compreso il richiamo all’art. 29 della Costituzione che definisce la famiglia come “società naturale basata sul matrimonio”. Dando per scontato che quella definizione debba essere interpretata come necessariamente  ristretta all’unione di un uomo con una donna e quindi escludente qualsiasi altra unione fra persone dello stesso sesso.

bagnascoSicuramente per i Costituenti si configurava come tale ma il testo non lo dice. A meno che il termine “naturale” non lo si voglia interpretare come “normale” relegando le unioni affettive e sessuali fra persone dello stesso sesso come “innaturali”. Rispunterebbe così la vecchia concezione omofoba che per secoli ha contraddistinto la cultura di impronta religiosa, ma anche non religiosa e laica, del nostro mondo occidentale. All’omosessualità non viene più riservato il rogo medioevale, o la definizione di “reato”, oppure quella di “malattia”, ma comunque rimane per la Chiesa un elemento di “disordine” morale innaturale. A cui tutt’al più, dopo molti sforzi e molte evoluzioni, e visti i tempi che corrono in Europa e nel mondo occidentale, si può concedere, o meglio si è costretti a concedere, una qualche tolleranza legislativa: “il rispetto per tutti sia stile di vita – dice Bagnasco – e i diritti di ciascuno vengano garantiti su piani diversi secondo giustizia”.  In giro per il mondo, in particolare quello musulmano, c’è da dire che c’è di peggio, a volte molto peggio. Agli omosessuali spesso è riservata la morte. In Europa in fatto di matrimony gay, invece, c’è di meglio, di molto meglio anche in Paesi a forte radicamento cattolico: vedesi Spagna e Irlanda.

A proposito di naturalità per l’Organizzazione mondiale della sanità  l’omosessualità è “una variante naturale del comportamento umano”. Perciò mettere la controversia su questo terreno non è per il cardinale Bagnasco particolarmente vantaggioso. Se poi si aggiunge, come lui ha fatto, che tale famiglia naturale è quella voluta dal Dio cattolico ci si addentra su una strada che porta a un vicolo cieco perché il “naturale” non è immutabile e reca con sé, naturalmente è il caso di dire, la caratteristica dell’evoluzione soprattutto se riferito alla costruzione dei rapporti umani.

La definizione che oggi sembra senz’altro più vicina alla complessità moderna del termine “famiglia” è quella che espresse Antonio Gramsci: la famiglia come centro di affetti e di solidarietà. Perché a ben vedere sono questi due elementi che tengono un’unione indipendentemente dagli orientamenti sessuali dei componenti. E anche la questione delicata dei bambini va vista in quest’ottica. Bagnasco  dice: “I bambini hanno diritto di crescere con un papà e una mamma, la famiglia è un fatto antropologico, non ideologico”.

L’interesse di un bambino nel contesto familiare è quello di essere circondato dall’affetto e dalle cure che quell’affetto produce. Che poi a produrlo siano due uomini o due donne, o un uomo e una donna non è dirimente di per sé. L’importante che quell’affetto, quella solidarietà e quella cura ci siano. Questo è “antropologico” mentre  “ideologico” è esattamente il modello di famiglia propugnato da Bagnasco.

Inoltre il Presidente della CEI dice che “i figli non sono mai un diritto perché non sono cose da produrre”. Ma la procreazione dei figli non è proprio il fine del matrimonio che la Chiesa benedice? E l’atto sessuale non è permesso solo in quell’ambito? E perché questa gioia, questo desiderio di genitorialità, riconosciuti anche alle coppie eterosessuali che adottano bambini non può essere riconosciuto alle coppie omosessuali? La risposta è evidente: perché quella gioia e quel desiderio si debbono soddisfare solo dentro la famiglia eterosessuale. Quella “voluta da Dio”.

Ma a parte tutto questo, quello che rimane inaccettabile sopra ogni cosa della prolusione del cardinale Bagnasco è il suo invito perentorio ai laici credenti, stando a quanto riporta oggi “la Repubblica”, “di iscrivere la legge divina nella città terrena”. E no cara Eminenza, ai laici credenti spetta testimoniare la loro fede con i propri comportamenti, non spetta di imporli agli altri con la legge e con i tribunali. Che poi sarebbe un’implicita confessione di debolezza per la stessa fede religiosa. Compito dei laici credenti non è quello di imporre una sorta di “sharia” cattolica, ma quello di fare leggi laiche che corrispondano al bene comune.


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