Verso l’istituzione della Giornata della memoria delle vittime del colonialismo italiano in Africa

L’Assemblea capitolina ha approvato una mozione per fissarla il 19 febbraio

L’Assemblea Capitolina ha approvato il 6 ottobre la Mozione n. 232, la quale, dopo aver stabilito nella Premessa «che non si possono continuare a  ricordare solo le stragi subite e non quelle commesse»  e che «è tempo  di dare memoria  alla memoria, raccontando la storia dalla parte delle vittime, perché le atrocità coloniali  degli italiani non continuino ad essere lavate via dalla coscienza nazionale» impegna il Sindaco e la Giunta ad istituire il 19 febbraio, «in quanto Capitale d’Italia e in quanto città che presenta le più numerose tracce del colonialismo» nella sua Toponomastica, la Giornata della Memoria per ricordare le  vittime del colonialismo italiano, già proposta dal giornalista e storico Angelo Del Boca nel maggio 2006 ed oggetto della Proposta di Legge n. 1845, presentata  il 23 ottobre 2006 e mai discussa.

La Mozione impegna inoltre il Sindaco e la Giunta «a modificare le targhe di strade ispirate al colonialismo, riportando sulle stesse una spiegazione…sul margine inferiore, che faccia riferimento agli episodi storici…che sono stati luoghi di eccidi e stragi».

La Mozione impegna inoltre il Sindaco e la Giunta «a mettere in campo tutte le azioni necessarie  affinché la futura stazione della Metro C, prevista a ridosso di Porta Metronia, presso Via dell’Amba Aradam, sia intitolata alla memoria di Giorgio Marincola», nato in Somalia il 23 setembre 1923 dall’unione di un nostro sottufficiale dell’Esercito con una donna somala, diventato partigiano di Giustizia e Libertà, a Roma durante l’occupazione nazista, e che, dopo la liberazione della Capitale, ha scelto di continuare la lotta al Nord ed è stato ucciso ill 4 maggio 1945 in Trentino.

La Mozione impegna infine il Sindaco e la Giunta a far si  che in futuro alle strade e piazze di Roma «non siano più  attribuiti i nomi di  luoghi e fatti che riportino al colonialismo, ma ad altre figure, come …Omar al Mukhtar (leader della resistenza in Cirenaica alla nostra occupazione-Nota dell’Autore) … la Banda Mario (formata da partigiani originari delle Colonie), gli Arbegnuoc (i combattenti etiopici, che si opposero strenuamente alla nostra  occupazione).

L’attuazione della Mozione é una iniziativa lodevole per l’Amministrazione comunale di Roma perché dimostra la vicinanza del nostro Paese all’Etiopia (che può essere considerato il Paese “simbolo dei crimini” commessi in Africa, dato che ha avuto il maggior numero di vittime: almeno 350.000) ed inoltre è un modo concreto e dignitoso per “chiedere scusa” a tutti i Paesi nei quali abbiamo commesso “crimini” per costringere la popolazione locale ad accettare la nostra “occupazione”, che ha comportato anche la loro “italianizzazione forzata”, allo scopo di “assimilarli” alla nostra cultura, distruggendo però la loro. In questo modo, il nostro Paese dimostrerebbe di aver “fatto i conti”, finalmente, dopo 130 anni, con il proprio passato coloniale e quindi potrebbe sedere “a testa alta” nel consesso delle Nazioni.

 

PERCHÉ LA GIORNATA  DELLA MEMORIA IL 19  FEBBRAIO

Il 19 febbraio 1937 inizia in Etiopia una sanguinosa repressione, durata tre giorni, in seguito ad un attentato contro le nostre Autorità, compiuto da due patrioti eritrei.

Infatti, la mattina di quel giorno, che è il Giorno della Purificazione secondo il Calendario copto, nel palazzo imperiale Guenete Leul di Addis Abeba (chiamato anche Paradiso dei Principi o Piccolo Ghebbi), costruito all’inizio degli anni trenta, il generale Rodolfo Graziani, già comandante delle nostre truppe in Somalia e succeduto al Maresciallo Pietro Badoglio come Viceré dell’Etiopia e come Governatore Generale dell’Africa Orientale Italiana-AOI (costituita dall’unione dell’Eritrea, della Somalia e dell’Etiopia), organizza la solenne distribuzione di un tallero d’argento a cinquemila persone povere della Capitale etiopica, per onorare la nascita del primogenito del Principe Umberto, figlio del Re Vittorio Emanuele III.

Durante la cerimonia due giovani eritrei della resistenza alla nostra occupazione lanciano alcune bombe a mano contro Graziani e le autorità militari e civili italiane ed i numerosi notabili etiopi.  Muoiono sette persone ed una cinquantina di altre sono ferite, tra le quali Graziani (che riporta  molte ferite alla schiena ed alle gambe e rischia di morire  dissanguato), i generali Arnaldo Petretti (Vice Governatore dell’AOI), Italo Gariboldi ed Aurelio Liotta ed il Governatore della Capitale Alfredo Siniscalchi.

I nostri soldati aprono il fuoco contro le migliaia di etiopi presenti, molti dei quali sono uccisi. Gli attentatori però riescono a fuggire.

L’attentato giustifica una durissima repressione, non solo nella Capitale, ma in tutto il Paese, mediante una grande azione di “polizia coloniale”, per eliminare gli esponenti della classe notabile civile e militare etiopica,  ritenuti oppositori alla nostra occupazione.

Si scatena una “caccia all’uomo”, durata tre giorni, nella quale sono coinvolti non solo i soldati dell’Esercito ed i militi fascisti delle Camicie Nere, istigati dal locale Federale (il Segretario del Partito fascista), ma anche molti civili italiani (sia impiegati coloniali che semplici lavoratori), che comporta l’uccisione di alcune migliaia di persone, compresi vecchi, donne, ragazzi e bambini, che sono “passati per le armi” ed anche impiccati o trucidati sommariamente in vario modo (anche a badilate). Intere famiglie muoiono nell’incendio delle  loro capanne (tucul).

Il 22 febbraio 1937 Graziani invia un telegramma a Mussolini nel quale spiega così quello che ha ordinato di fare: “In questi tre giorni ho fatto compiere nella città perquisizioni con l’ordine di far passare per le armi chiunque fosse trovato in possesso di strumenti bellici e che le loro case fossero incendiate. Sono state di conseguenza passate per le armi un migliaio di persone e bruciati quasi altrettanti tucul”.

Secondo Angelo Del Boca, il massimo esperto del nostro Colonialismo in Africa, le vittime furono circa 4.000, mentre per lo storico inglese Ian Campbell circa 20.000 ed addirittura 30.000 per le Autorità etiopiche.

Da allora il ricordo delle stragi del 19-21 febbraio è rimasto ben impresso nel ricordo degli etiopi. Anzi, il giorno 19 febbraio è diventato un “giorno di lutto”, che, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, è stato inserito nel Calendario nazionale come Yekatit 12. Con quel nome è stata intitolata una piazza della Capitale, dove è eretto un obelisco dedicato alle migliaia di vittime della “strage di Addis Abeba”, che è ricordata ogni anno con una solenne cerimonia.

Due mesi dopo, tra il 21 ed il 29 maggio 1937, un’altra grande strage di civili e religiosi inermi, compresi molti ragazzi, è compiuta nella città conventuale di Debra Libanòs, dove, secondo le nostre Autorità, si erano rifugiati gli attentatori. L’azione è condotta dalle truppe coloniali (formate da ascari eritrei e somali, di fede mussulmana), comandate dal generale Pietro Maletti, già incaricato della repressione della resistenza armata alla nostra occupazione nella Regione dello Scioa occidentale. All’inizio sono giustiziati sommariamente 297 monaci e 23 laici, anche con l’utilizzo di mitragliatrici, come Maletti telegrafa a Graziani, che poi  riferisce a Roma. Pochi giorni dopo sono giustiziati anche 129 diaconi.  Il Generale Maletti  invia a Graziani un nuovo telegramma con scritto “Liquidazione completa“.

Le vittime ufficiali sono circa 450, ma almeno 2.000 secondo lo storico inglese Ian Campbell.

LE VITTIME DEL NOSTRO COLONIALISMO IN AFRICA

L’Etiopia è il Paese  africano che ha pagato il prezzo più alto, con almeno 350.000 morti, molti  in seguito all’impiego dei gas asfissianti, accertato  dagli anni sessanta da Angelo Del Boca e riconosciuto ufficialmente solo nel 1996 dall’allora Ministro della Difesa, generale Domenico Corcione, in violazione della Convenzione di Ginevra del 1926 sulla proibizione degli aggressivi chimici e, contestualmente, tolse il segreto di Stato sulla documentazione della guerra d’Etiopia e aprì gli archivi del Ministero della Difesa, relativi alle imprese  coloniali.

Invece, secondo il Memorandum presentato dal Governo etiopico al Consiglio dei Ministri degli Esteri, tenutosi a Londra nel settembre 1945, pochi mesi dopo la fine della guerra, le vittime sarebbero 760.000.

Il Trattato di pace, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, ha riconosciuto l’obbligo da parte nostra, per i danni materiali ed umani arrecati all’Etiopia, di un risarcimento di ben 35 milioni di dollari, per il periodo dal 1935 al 1943, che pertanto non comprende i danni subiti durante le guerre contro l’Abissinia del 1887 e del 1895-1896.

Oltre ai 350.000 vittime etiopi, ci sono stati almeno 100.000 morti in Libia, sia durante la guerra del 1911-1912 contro la Turchia per l’occupazione del Paese, sia negli anni seguenti, soprattutto nel periodo 1930-1931, quando, per domare la ventennale rivolta senussita in Cirenaica guidata da Omar al Muktar, soprannominato “il Leone del deserto”, si è deportata tutta la popolazione del Gebel cirenaico nel deserto della Sirte, in  Tripolitania (a centinaia di Km di distanza),  che in gran parte è  morta sia durante il trasferimento in vari  Campi di concentramento (Agedabia, Marsa Brega, el Agheila, Soluch…), allestiti con centinaia di tende nel deserto sirtico, sia per le pessime condizioni igieniche e di vita negli stessi Campi.

Almeno altre 20.000 vittime ci sono state in Somalia, durante la cruenta repressione degli anni 1926-1928, quando era Governatore il Quadrumviro fascista della “marcia su Roma” del 22 ottobre 1922 Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon. A Danane era stato allestito un Campo di concentramento nel quale sono morti molti Somali per le pessime condizioni igieniche e di vita.

Riguardo agli Eritrei, anche se non hanno subito dure repressioni, in quanto hanno “accettato” la nostra dominazione, hanno avuto almeno 30.000 ascari (le truppe coloniali, guidate da ufficiali italiani, impiegate nelle nostre guerre in Africa), morti nella campagne militari di “conquista” in Libia, Somalia ed Etiopia.  Inoltre, nell’isola di Nocra era stato allestito un Campo di concentramento, nel quale sono morti molti Eritrei per le pessime condizioni igieniche e di vita.


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Un commento su “Verso l’istituzione della Giornata della memoria delle vittime del colonialismo italiano in Africa

  1. È giusto riconoscere i propri errori e farne ammenda. Sono d’accordo sulla proposta di aggiungere alle targhe toponomastiche relative a personaggi e situazioni “imbarazzanti “, delle targhe esplicative ( del resto ci avevo pensato da sola), ma non sulla loro rimozione. La storia non si cancella. La “damnatio memoriae” imposta dall’alto non serve a niente. Meglio che la gente sappia che cosa hanno fatto certi personaggi o che cosa sia accaduto in certe situazioni, altrimenti sarebbe come se non fosse mai successo niente. La gente tende infatti a dimenticare spontaneamente il passato. Ci scommetterei qualsiasi cosa che, se si chiedesse, per esempio, ai passanti il perché dell’intitolazione della strada all’Amba Aradam, sarebbe un successo se uno su cento lo sapesse…

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