Memoria corsara, 2 novembre

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini” - 3 Novembre 2023
“A me gli occhi, please!”, ovvero 36 mesi senza Gigi Proietti

Forse solo lui – Luigi (Gigi) Proietti, da Roma (in arte Mandrake) e molti altri – poteva farci lo scherzo, l’ultimo della sua permanenza su questa terra, di andarsene, lasciandoci soli a rimpiangerlo, il giorno del suo 80° compleanno (2 Novembre 2020) e certamente da lassù si sarà divertito un casino – “Daje a ride”, avrà sentenziato – a vederci attoniti, commossi, ma certamente anche un po’ divertiti di questa sua uscita di scena così particolare, da sembrare studiata da tempo. 

Da tre anni ormai non abbiamo, più le sue barzellette, le sue gag incredibili, i suoi spettacoli interminabili alla Leopoldo Fregoli (il grande fantasista e trasformista romano, a cui lo hanno spesso paragonato) e le sue battute fulminanti.

Un paio delle sue battute: “Mi diverto e mi pagano pure. È una pacchia.”. “Vivi, lascia vivere” ma soprattutto … “nun te fa pijà per culo”. Qui uno dei suoi pezzi migliori, “Toto e la Sauna”: https://www.youtube.com/watch?v=b99KaCZbi6c

2 Novembre 1975 di 48 anni fa invece il giorno in cui ci hanno rubato Pier Paolo Pasolini

  • “Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 74). Io so il nome del gruppo di potenti che, con l’aiuto della CIA (e in second’ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della CIA, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum. Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di stato), a giovani neofascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine a criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so, perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.”. (Pier Paolo Pasolini, “Che cos’è questo Golpe”)

(“Io So”), Corriere Della Sera, 14 Dicembre 1974)

Così Pier Paolo Pasolini scriveva, il 14 Dicembre 1974, sul Corriere della Sera. E forse è per quelle parole, ma anche per il suo Petrolio, l’ultimo lavoro (un Romanzo), lasciato incompiuto e uscito postumo, nel 1992, per i tipi della Garzanti, che nella notte tra il 1° ed il 2 Novembre 1975, all’Idroscalo di Ostia (Roma), ci hanno rubato uno dei più grandi e poliedrici intellettuali che l’Italia del ‘900 abbia mai avuto.

La sua morte non è stato un “fatto di cronaca”, un “giallo”, come al tempo è stato trattato da molti giornali, ma si è trattato di un omicidio politico, con il quale Pasolini ha pagato la sua lucidità intellettuale e politica, la sua caparbietà nell’affermare quello in cui credeva, andando spesso, come avrebbe detto Fabrizio De Andrè, “in direzione ostinata e contraria”; ma pagando anche il suo orientamento sessuale (leggi l’omosessualità, per la quale, tra la fine del 1949 e l’inizio dell’anno successivo, era stato cacciato dal PCI) e il suo essere – rivendicandolo sempre e comunque – un comunista, certo un comunista non ortodosso, ma convinto, sebbene avesse perso – durante i 20 mesi della Resistenza al nazifascismo, il fratello 18enne Guido (nome di battaglia Ermes) partigiano della Osoppo, ucciso a Porzus (Friuli Orientale) nel Febbraio del 1945, dai partigiani comunisti italiani e jugoslavi. (*)

Questo suo andare sempre contro corrente lo aveva fatto definire un “eretico” e lo aveva portato a scontrarsi anche con il Movimento politico del 1968 quando, dopo gli scontri di Valle Giulia a Roma (1° Marzo 1968), aveva preso le parti dei poliziotti “figli del popolo”. Eppure, questa sua direzione “ostinata e contraria” non gli aveva impedito di accostare, con convinzione, il suo nome a quello dell’Organizzazione politica Lotta Continua per girare, nel 1970, il Film 12 Dicembre, del quale aveva firmato la regia. Così lui stesso spiegò le ragioni di quella sua scelta

Dar Ciriola
  • Perché ho fatto questo film insieme a un gruppo di giovani compagni di Lotta Continua? Il perché c’è sicuramente, ma, per essere sincero io non lo so dire. Ho criticato a suo tempo, con violenza e forse con inopportunità, l’azione politica dei giovani: molte di quelle mie critiche si sono sfortunatamente rivelate giuste, e non ne abiuro. Tuttavia, mi sembra che la tensione rivoluzionaria reale sia vissuta oggi dalle minoranze di estrema sinistra. La critica globale e quasi intollerante che queste esprimono contro lo stato italiano e la società capitalistica mi trovano completamente d’accordo nella sostanza, anche se non spesso sulla forma. Perciò, fin che ne sono capace, e ne ho la forza, è ad esse che mi unisco…” (Pasolini, “Il cinema in forma di poesia,” Pordenone, Cinemazero, 1979; p. 97).

Idroscalo di Ostia (Roma), 1°- 2 Novembre 1975, il “giallo Pasolini” e i suoi misteri

Per la morte di Pasolini fu arrestato – appena trenta minuti dopo il fatto, ovvero a tempo di record – Giuseppe (Pino) Pelosi, “ragazzo di vita”, diventato reo confesso di quell’omicidio si disse, per una prestazione sessuale non gradita, confessione che poi, però, ritratterà. Per quell’omicidio, Pelosi sarà condannato a nove anni di carcere, ma molti dubbi restarono – e restano ancora oggi – sulla sua colpevolezza. Pelosi – morto a Roma il 20 Luglio del 2017, portandosi nella tomba i segreti di quella notte all’idroscalo di Ostia – aveva confessato subito dicendo che Pasolini non era stato ai patti e lo aveva brutalmente aggredito. Ma lui, di quell’aggressione, non aveva sul corpo nessun segno, mentre il corpo di Pasolini era massacrato, anche dalle ruote di un’automobile con cui pare sia stato investito, per ben due volte, forse post mortem o forse quando era ancora in fin di vita. 

Pelosi sostenne di avere agito per difendersi e di avere agito da solo. Ma, anche se la versione di Pelosi non convinse gli Inquirenti, le indagini non vennero approfondite e le molte lacune del racconto del reo confesso di quello scempio rimasero (e rimangono a tutt’oggi) tali: dopo la questione dei segni, presenti sul corpo dell’aggressore (Pasolini) ma non su quello dell’aggredito (Pelosi), restano ancora diverse domande: di chi era, ad esempio, il maglione verde trovato nella macchina di Pasolini? Come mai le sigarette e l’accendino – che Pelosi sosteneva di avere lasciato nell’auto – non furono mai trovate? E ancora, la tavoletta di compensato, che Pelosi disse di avere usato per colpire Pasolini, era molto fragile, dunque come aveva potuto provocare il macello riscontato sul corpo della vittima? Tutte domande senza risposta che propendono per confermare la tesi che gli aggressori di Pasolini fossero più di uno e che quello – come ho scritto -. non fosse un semplice omicidio da cronaca nera, bensì rientrasse nella categoria degli omicidi politici. (**) 

A distanza di quasi mezzo secolo da quell’omicidio, gli esecutori e soprattutto i mandanti restano ancora sconosciuti e a noi, dell’uomo Pier Paolo Pasolini – scrittore, poeta, regista, saggista e polemista di vaglia – restano solo le sue opere: i suoi libri ed i suoi film e i suoi articoli. In particolare, restano i suoi “Scritti Corsari”, ovvero i pezzi pubblicati su diversi giornali tra il 1973 ed il 1975 e raccolti in Volume dalla Garzanti nel 2015. Si tratta di riflessioni su vari argomenti che, pur a distanza di tanti anni, mantengono ancora intatta la loro attualità. Leggerli o ri-leggerli oggi ci può aiutare a capire e a capirci, anche se la lettura ci ricorda che cosa – e soprattutto chi – abbiamo perso, in un modo così drammatico e violento.

(*) Nell’attacco di Porzus alla Formazione Partigiana della Osoppo, durante il quale venne assassinato Guido Pasolini (Ermes) fu ucciso, tra gli altri, anche Francesco De Gregori (nome di battaglia Bolla) omonimo e zio de cantautore Francesco De Gregori, che era il Comandante di quella Formazione Partigiana delle Fiamme Verdi.
(**) In un articolo sulla morte di Pier Paolo Pasolini, pubblicato il 1° Novembre scorso sul Sito web Lecce 24.it, del Gruppo Editoriale Quotidiano Nazionale. riguardo i possibili esecutori dell’assassinio dello scrittore, è scritto: “[…] Dettaglio non fantasioso. All’epoca, durante le indagini, qualcuno fece i nomi di Franco e Giuseppe Borsellino, conosciuti nel mondo della malavita come braciola e bracioletta, dediti al traffico di sostanze stupefacenti. I due che non avevano neppure un alibi credibile per quella notte avevano sparso la voce di aver pestato a morte Pasolini, ma davanti agli inquirenti dissero di essersi inventati tutto per costruirsi una reputazione da duri. C’è poi “Johnny lo zingaro” finito nelle carte del processo sull’omicidio per un plantare di scarpa numero 41 ritrovato nell’Alfa Romeo di Pasolini che non apparteneva né allo scrittore né a Pelosi e che Giuseppe Mastini usava abitualmente in seguito alle conseguenze di una sparatoria.”  Ma anche queste sono solo ipotesi. La verità su quella morte violenta, forse, non la conosceremo mai, dunque possiamo solo immaginarla, ma spesso l’immaginazione si avvicina di molto alla verità.

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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