Qui o altrove “la mattanza delle donne”

Un'altra ragazza 16enne in coma per le botte della "Polizia della Morale"
Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini” - 25 Ottobre 2023

Dunque, è successo di nuovo. Ancora per un velo rifiutato, ancora botte dai “poliziotti della morale” iraniani e ancora una ragazza di 16 anni in coma. La ragazza si chiama Armita Garawand ed è stata aggredita da componenti della “polizia della morale femminile”, mentre andava a scuola, perché non indossava il velo. Ora la ragazza si trova in coma per le botte ricevute e l’Ospedale è sorvegliato dalle forze di sicurezza iraniane, per paura di manifestazioni. A denunciare l’aggressione alla ragazza è stata la ONG per i diritti dei curdi in esilio Hengaw, Organization for Human Rights, come ha riportato il Quotidiano inglese The Guardian.  Così l’Agenzia Giornalistica ANSA riporta la notizia in un lancio il 5 Ottobre:

Armita in coma in Iran, il regime teme la nuova Mahsa 

“Intubata, una ferita alla testa coperta da un grosso cerotto, gli occhi chiusi, la flebo sul braccio sinistro abbandonato. E’ la foto di Armita Geravand, 16 anni, in coma dopo il pestaggio da parte della polizia morale nella metropolitana di Teheran perché non indossava il velo islamico. L’istantanea, scattata nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Fajr della capitale iraniana, è stata diffusa dal gruppo curdo per i diritti umani Hengaw Organization for Human Rights ed è rimbalzata su siti e social con la velocità della rete: una possibile miccia per una nuova ondata di proteste come quelle che hanno scosso l’Iran dopo la morte di Mahsa Amini, arrestata perché non indossava l’hijab secondo gli standard degli ayatollah e ‘misteriosamente’ deceduta dopo tre giorni di coma.

Era stata la stessa associazione a denunciare la “grave aggressione fisica” subita da Armita dopo che un video circolato sui social mostrava una ragazza portata a braccia fuori da un vagone da alcune donne in chador nero e deposta a terra, immobile. Versione smentita, come nel caso di Mahsa, a livello ufficiale. I media statali – che secondo la ong hanno pubblicato il filmato modificato – hanno riferito che la giovane è invece svenuta dopo un calo di pressione che l’avrebbe fatta sbattere contro la parete del vagone del treno.

E l’agenzia di stampa ufficiale Fars ha pubblicato un’intervista ai genitori della ragazza in cui affermano che non è stata aggredita. “Abbiamo controllato tutti i video e ci è stato dimostrato che è stato un incidente”, ha detto il padre. Tecnica sperimentata da parte dei guardiani dell’ortodossia che però non ha impedito nei mesi scorsi né la circolazione delle notizie né le rivolte che hanno fatto tremare il regime. 

Così stavolta, per essere più convicenti, gli agenti della sicurezza – riporta ancora Hengaw – hanno sequestrato i telefoni cellulari dei parenti della giovane. Non solo. La giornalista Samira Rahi, sostiene Iranwire, ha condiviso una foto che mostra il dispiegamento delle forze di polizia fuori dall’ospedale. “Due auto della polizia sono posizionate all’ingresso del pronto soccorso dell’ospedale Fajr ed è evidente la presenza di agenti in borghese”, ha scritto su X citando una fonte informata. La giornalista ha anche riferito che “le forze di sicurezza hanno ispezionato i veicoli che transitavano nell’area e, in alcuni casi, hanno esaminato attentamente il contenuto dei cellulari dei passeggeri”. Agenti in borghese sarebbero presenti anche nel reparto di terapia intensiva dove Armita è ricoverata da domenica sera. 

Un’altra giornalista, Maryam Lotfi, che lavora per il quotidiano Shargh, è stata arrestata dopo essere riuscita a entrare nell’ospedale dove si trova Armita. Sono stati oltre 90 i giornalisti presi di mira dalle autorità iraniane nel corso delle manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa. I più conosciuti, Niloufar Hamedi e Elaheh Mohammadi, che hanno seguito il caso di Mahsa, sono ancora in carcere con l’accusa di cospirazione contro la sicurezza nazionale. Ma nel blindatissimo Iran le notizie circolano ugualmente. E la miccia della rivolta è già accesa.”.

Fonte: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/10/04/iran-ong-mostra-la-foto-della-giovane-in-coma-per-velo_00e0b540-adac-4b18-9608-656a59360a5f.html

Dar Ciriola

Dunque, ancora violenza dei pasdaran degli ayatollah iraniani contro le donne di quel Paese, che si battono per i loro diritti al grido di “Donna, Vita, Libertà” e nonostante la pesante repressione, la loro lotta non si ferma. E coinvolge sempre più persone. Così, quella lotta la racconta Francesca Luci, sul Manifesto, in un pezzo pubblicato l’8 Marzo scorso:

Le ragazze dell’Iran e il fuoco della rivolta che brucia il regime

8 MARZO. Dall’autoimmolazione di Homa Darabi alla protesta per l’omicidio di Mahsa Amini, la lunga lotta per rivendicare vita e libertà

Un’enorme folla applaude mentre una ragazza danzante getta il suo velo in mezzo a tanti altri in fiamme. Sopra un bidone di rifiuti rovesciato una donna con una bellissima chioma, mani al cielo, in una mano tiene il velo e con l’altra fa il segno della vittoria. Pochi secondi dopo il velo è divorato dal fuoco. Una ragazza sventola la bandiera arcobaleno e l’immagine di una madre anziana che si strappa il velo dalla testa in segno di protesta.

SONO QUESTE le immagini della rivoluzione iraniana “Donna, Vita, Libertà” che è divampata dopo la morte di Mahsa Amini. Una rivoluzione che prende la sua linfa vitale dalla forza delle ragazze e delle donne che hanno combattuto e combattono contro il dominio dell’Islam politico e oscurantista sulla loro vita. Dal primo momento dell’insediamento della Repubblica Islamica, 44 anni fa, le donne sono state respinte da tutte le arene pubbliche, assoggettate alla segregazione di genere nelle scuole, nei trasporti pubblici, nelle palestre, nei campi sportivi, nel lavoro e obbligate a coprirsi il corpo con l’hijab. L’inno alla mascolinità del regime ha spazzato tutte le conquiste femminili ottenute nel passato e ha trasformato la società iraniana in una società maschile nel modo più forte possibile. La sofferenza delle donne è diventata marginale.

Le donne, tuttavia, non sono rimaste inattive. Dall’approvazione della legge sull’hijab obbligatorio il 18 agosto 1983, hanno sempre manifestato la loro contrarietà pagando un enorme tributo con maltrattamenti, carcere e tortura. Una continua battaglia cominciata con l’autoimmolazione della dottoressa Homa Darabi nel 1993, frutto della frustrazione unita al sentimento di vergogna e al rimpianto per aver sostenuto la rivoluzione islamica, che arriva fino alla morte di Mahsa Amini.

CON L’INIZIO degli anni ’90 le ragazze sono potute uscire di casa e giocare negli spazi pubblici. Nel decennio seguente le donne hanno conquistato uno spazio nel mondo del lavoro: dalla medicina all’educazione e perfino nello spettacolo. Hanno occupato i banchi delle università fino a diventare la maggioranza tra i laureati di ogni anno.

Ma tutti i progressi ottenuti dalle donne in questa guerra impari non erano sufficienti per le ragazze che stavano raggiungendo l’età dell’adolescenza. Sono state loro a comprendere che in questa presenza audace e comprensiva l’elemento del corpo, come concetto immediato ed evidente, era ancora assente. In altre parole, la donna era presente – ma una donna senza corpo. Così le ragazze e le adolescenti hanno trovato la soluzione nell’accettare e rivelare il loro corpo.

PRIMA DELLA MORTE di Mahsa Amini, le voci delle proteste delle donne iraniane non erano mai arrivate alle orecchie del mondo in maniera così forte. Il movimento delle donne che si tolgono il velo era iniziato molto prima, ma era limitato alle ragazze giovani che nelle grandi città si toglievano il velo, si filmavano e pubblicavano i video online. O alle ragazze coraggiose che appendevano il loro velo su un bastone in segno di protesta negli angoli delle città. La ribellione iniziata in Iran a settembre 2022 è stata così come un fuoco sotto la cenere, che si è acceso dopo 44 anni di immensa oppressione delle donne e delle ragazze ed è diventato un movimento pubblico.

LE DONNE si sono tagliate i capelli in ogni angolo del Paese per Mahsa, Nika, Freshteh e centinaia di altre vittime, sfidando i carnefici. Non hanno cercato né martirio e né eroismo, tutt’altro: sono scese in piazza a mani vuote e libere da ogni violenza rivendicando il loro diritto alla vita e alla libertà, la stessa vita normale che è stata negata al popolo iraniano sotto la bandiera della Repubblica islamica. Hanno mostrato al mondo che sotto quel velo è nascosta un’enorme energia sapiente, e il desiderio di liberarsi definitivamente dal manto di oppressione che pesa sul loro corpo.

PER LA PRIMA VOLTA nella storia di un paese islamico, le donne iraniane rappresentano una forza umanistica, egualitaria, liberale, laica, potentissima ed eccezionale, per stimolare un cambiamento fondamentale. Di fatto già hanno vinto, hanno scosso i pilastri del regime teocratico come una burrasca inaspettata. Abbracciate dalla maggioranza della popolazione, si sono riprese il loro lungo cammino verso un nuovo futuro. Come scrisse Oscar Wilde: «Se Dio non avesse fatto la donna, non avrebbe fatto il fiore». Fonte: https://ilmanifesto.it/le-ragazze-delliran-e-il-fuoco-della-rivolta-che-brucia-il-regime

Il termine femminicidio

Mentre raccoglievo le idee per scrivere questo pezzo altre due donne sono state uccise, perché volevano essere donne libere. Dunque, il contatore dei femminicidi continua a girare e tocca quota 79 (da Gennaio di quest’anno) con una media di 5 donne uccise solo nell’ultima settimana. Dunque, la scia di sangue che le donne lasciano sul terreno, per colpa di uomini incapaci di accettare la loro voglia di libertà, cresce e nel contempo si abbassa l’età delle vittime. Chi mi legge da più tempo sa quanto mi intrighi ragionale sulle parole e sul loro significato. Allora vediamo di capire meglio (e così di capirci) che cosa vuole significare effettivamente il termine “femminicidio” che da tempo è arrivato ad abitare il nostro linguaggio quotidiano.

Il termine “femminicidio” è stato usato, per la prima volta, per indicare la mattanza che, a partire dal 1993, ha colpito le donne e le ragazze messicane di Ciudad Juarez, portandosi via ben 370 vite e – come ho scritto tempo addietro – venne coniato per connotare meglio il fatto che quegli omicidi (così venivano etichettati prima dell’avvento di quel termine nuovo) non erano solo tali, ma indicavano che la vittima era una donna e che era stata uccisa solo in quanto tale.

Inserisco qui una notazione personale. Forse esagero nel paragone, ma i femminicidi mi hanno spesso evocato le stragi di civili che colpirono l’Italia durante i 20 mesi dell’occupazione tedesca del nostro Paese. Quelle stragi erano pianificate come “guerra ai civili”, in un primo momento organizzate per togliere ai partigiani l’appoggio della popolazione, ma subito diventate mera vendetta verso un popolo che si rivoltava, compattamente, a quell’occupazione violenta e sanguinaria. 

Ecco, lo ripeto, forse esagero, dato che nell’uccisione delle donne non c’è un piano preordinato, ma certo c’è una componente di emulazione: il maschio che medita l’eliminazione fisica della compagna o della ex legge certo i giornali e certamente guarda la televisione, così imparando il da farsi criminale. Dunque, niente di preordinato, ma i numeri di questa strage continua, in salita costante denotano sicuramente un attacco contro il genere femminile agli occhi di certi uomini “colpevole, non solo di esistere come tale, ma del fatto che le donne osino rivendicare, per loro stesse, libertà e autonomia dai maschi. Sia nel caso delle stragi nazifasciste , sia in quelle dei femminicidi si tratta di una questione di potere, esercitata da qualcuno a scapito di qualcun altro (e della sua vita). 

Ripeto, forse esagero, ma questo è il pensiero fisso che mi torna in mente anche ora, mentre scrivo queste righe e mi è parso giusto condividerlo con chi mi legge. 

Ma tornando al significato della parola “femminicidio” questo termine si è, per così dire, affermato nel nostro lessico quotidiano grazie all’impegno di anni dei Movimenti delle donne al quale impegno – è sempre bene ricordarlo – dobbiamo, ad esempio e per intero, il fatto che la violenza sessuale, meglio  il reato di stupro, prima considerato nel Codice penale un reato “contro la pubblica morale” sia – con la Legge 15 Febbraio 1996, n. 66, recante: “Norme contro la violenza sessuale” – diventato un reato “contro la persona”. Facendo tesoro di questa importante evoluzione del diritto penale e tenendo conto del fatto che – come ha recentemente affermato la Professoressa Marta Cartabria, ex Presidente della Corte Costituzionale e ex Ministro della Giustizia, ogni reato non è solo una violazione delle regole, ma soprattutto un reato contro la persona – occorre sempre ricordare che quando si colpisce una donna e la si uccide, non si compie solo e soltanto un delitto chiamato omicidio, ma appunto un femminicidio, certamente reato di odio, che dovrebbe comportare, per chi lo compie, delle aggravanti. 

E questo cambio di passo non dovrebbe vedere la luce solo nella pratica processuale, ma anche – per tornare alle parole e al loro uso corretto – ad esempio negli articoli dei giornali. Quando si descrive l’omicidio di una donna bisognerebbe, infatti, smettere di utilizzare espressioni come “delitto passionale”, “raptus di follia” e/o “dramma della gelosia”, aggiungendo magari la locuzione “tutti i particolari in cronaca” (dal titolo del Film del 1970 di Ettore Scola), ma si dovrebbe, semplicemente, chiamare quei delitti con il loro nome ovvero: femminicidi. In chiusura, torno  al significato, non solo lessicale, del termine “femminicidio“ e alla differenza tra questo e l’altro, quasi simile, di ”femmicidio” e vi lascio a quanto scrive in proposito Milena Anzani, MA in Istituzioni e Politiche dei Diritti Umani e della Pace, presso l’Università di Padova e Volontaria di Servizio Civile Nazionale

Fonte: https://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/I-concetti-di-femmicidio-e-femminicidio/368#:~:text=Il%20femmicidio%2C%20dall’inglese%20femicide,di%20essere%20donne%20(a)

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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