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Il 17 aprile si vota per il referendum No-Triv: le ragioni del Si e del No

I cittadini potranno recarsi alle urne dalle 7 alle 23. Per raggiungere il quorum occorre il voto del 50% +1 degli aventi diritto

Il 17 aprile 2016 i cittadini italiani sono chiamati a votare in merito al referendum sulle trivelle. E’ la prima volta che nella penisola ci si recherà alle urne per un referendum richiesto e voluto dalle regioni.

Dei sei quesiti inizialmente proposti dalla Basilicata,dalle Marche, dalla Puglia, dalla Sardegna, dal Veneto, alla Calabria, dalla Liguria, dalla Campania e dal Molise, è rimasto solo quello relativo alla durata della concessione delle trivellazioni dei giacimenti presenti sul territorio italiano. Gli altri cinque, infatti, sono stati di fatto cancellati dalle variazioni inserite dal governo nell’ultima Legge di Stabilità.

Il referendum No-Triv riguarda l’autorizzazione o meno da parte delle compagnie petrolifere di estrarre giacimenti entro le 12 miglia dalla costa facendo riferimento, nel caso del SI, esclusivamente alla durata della concessione e, nel caso del NO, alla presenza di risorse nel sottosuolo. Il referendum non riguarda le piattaforme che si trovano oltre le 12 miglia, per cui sia che vincesse il Si o che vincesse il No non cambierebbe alcun che su queste concessioni.

Entriamo nel merito del referendum No Triv. Nel caso vincesse il NO le compagnie che hanno già tali autorizzazioni potranno proseguire a scavare fino a quando nel sottosuolo saranno presenti risorse di gas naturale o di petrolio; d’altro canto, se vincesse il Si tali compagnie potranno estrarre fino a quando il contratto di concessione non si esaurisca nei termini temporali previsti dall’accordo.

Di conseguenza le piattaforme concesse dallo Stato alle compagnie non sarebbero più rimesse a bando. Sulle 135 piattaforme presenti sul territorio italiano, 92 sono entro le 12 miglia, in particolar modo sull’Adriatico e sullo Ionio.

trivelleIl presidente del consiglio Matteo Renzi ha invitato i cittadini a non recarsi alle urne, cosi come il presidente emerito Giorgio Napolitano che, intervistato da Repubblica, spiega come ‘l’astensione è un modo di esprimere la convinzione dell’inconsistenza e della pretestuosità di questa iniziativa referendaria”. Infatti, affinchè la votazione risulti essere valida, è necessario che si raggiunga il quorum, ovvero che vadano a votare il il 50% +1 degli aventi diritto di voto; in caso contrario il referendum sarebbe nullo.

Per il segretario del PD la vittoria del SI causerebbe un numero non ben precisato di persone che perderebbero il proprio posto di lavoro. C’è chi sostiene siano 3mila e chi 18mila, numeri che, in realtà, dipendono dalla durata dei contratti che le compagnie hanno intrattenuto con lo Stato. La concessione tra le compagnie e lo Stato, infatti, prevede un primo periodo di 30 anni, prorogabile per altri 10, altri 5 e infine ancora per 5 anni. Terminata la proroga, qualora vincesse il Si, anche se vi fossero ulteriori risorse nel sottosuolo le compagnie sarebbero obbligate a smantellare le piattaforme e lasciare i giacimenti.

Chi sostiene il No cosi come chi non si recherà alle urne considera l’abrogazione della legge un danno economico per l’Italia, poiché, con la chiusura delle piattaforme, sarebbe necessario importare gas e petrolio da altri paesi. Stando ai dati raccolti dall’Espresso e forniti dal Ministero dello Sviluppo economico, il 28% del gas prodotto nel 2015 in Italia proviene proprio dalle piattaforme localizzate entro le 12 miglia.

I sostenitori del SI premono affinchè le concessioni alle compagnie terminino una volta scaduto il contratto, per via dell’inquinamento ambientale causato dalle piattaforme in tali aeree, con l’auspicio che vengano utilizzate maggiormente le energie rinnovabili a discapito di quelle fossili.


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