Categorie: Cronaca

Benedetto XVI torna a parlare di Darfur nel messaggio pasquale. Ma in Sudan la situazione resta immobile

Una fetta di deserto, un lembo di terra dilaniata dalla guerra, dove ogni giorno 75 bambini muoiono di fame. E’ il Darfur, una regione del Sudan poverissima “appoggiata” su un mare di petrolio. A contenderselo Usa e Cina, contrapposte in una nuova guerra fredda per la conquista delle risorse energetiche. Risorse sempre più limitate da quando il gigante asiatico si è imposto sul mercato come nuovo concorrente, mettendo a rischio il primato occidentale.

L’inizio del conflitto del Darfur viene fatto coincidere con il 26 febbraio 2003, quando le truppe governative sudanesi del Fronte di Liberazione rivendicarono un attacco presso il loro quartier generale, messo in atto dai gruppi ribelli. Si trattava di una guerra per il controllo delle acque del Nilo, una fonte di ricchezza fondamentale in un paese che fonda la sua economia su pastorizia e agricoltura, ma che la siccità sta rendendo sempre meno fertile e più desertico.

In realtà quello che agli occhi dell’opinione pubblica mondiale è stato presentato come un conflitto tribale è solo uno degli scacchieri dove si sta giocando una partita più grande. Da un lato la Cina, con il suo boom economico, la sua voglia di “occidentalizzarsi” e il bisogno di risorse energetiche per mantenere una popolazione di un miliardo e mezzo di abitanti. Dall’altro l’Occidente, il terrore di rimanere tagliato fuori dalla corsa al petrolio, se la Cina si imporrà sul mercato come nuovo consumatore.

L’associazione americana Human Rights First, vicina ai gruppi evangelici e sionisti di destra, accusa da tempo il gigante asiatico di violare l’embargo per la vendita delle armi in Sudan, in vigore dal 2005. La Cina finanzierebbe le truppe governative, per assicurarsi la priorità sui giacimenti petroliferi sudanesi, la cui qualità e quantità di petrolio è paragonabile a quella dell’Arabia Saudita. La Repubblica Popolare Cinese sta da tempo investendo nella regione, inviando ingegneri e tecnici che possano avviare lo sfruttamento delle risorse.

In realtà nel Darfur non è presente solo la China National Petroleum Company. Tutt’oggi i maggiori acquirenti del petrolio sudanese sono la Lundin Oil AB Svizzere/ Svedese, la canadese Talisman Energy Inc, l’austriaca Omv e la malesiana Petronas. Tutte società che vedrebbero danneggiati i propri interessi se la Cina acquisisse, attraverso accordi governativi, il monopolio per l’estrazione delle risorse.

"Bernard Kouchner, ministro degli Affari esteri ed europei del governo di Parigi, è uno dei responsabili morali di quanto sta avvenendo in Sudan, per aver instillato l’idea falsa di un genocidio nel Darfur". A rilasciare queste affermazione Rony Brauman, l’ex presidente di Medici Senza Frontiere. "Non è un mistero – continua Brauman – che Kouchner sia un uomo della lobby filo-statunitense molto attiva in Francia. Allo stesso modo, non è un mistero che la rete più attiva nella campagna tesa a scatenare una nuova “guerra umanitaria” contro il Sudan sia la lobby filo-israeliana negli Stati Uniti che da anni organizza manifestazioni ed ha dato vita alla Save Darfur Coalition. Per gli Stati Uniti attaccare il Sudan con il pretesto del Darfur è la via più diretta per ridurre la crescente influenza della Cina sui paesi africani".

"L’amministrazione Bush ha per prima parlato di genocidio – dice Aminata Dramane Traorè, scrittrice ed ex ministro della Cultura del Mali – ma poi non ha fatto molto. Nella provincia occidentale del Sudan ogni giorno ammazzano civili. Il mondo occidentale dovrebbe muoversi per impedire i massacri. Invece solo parole, ma poi non accade nulla, forse a causa del petrolio".

Nel frattempo nel Darfur si continua a morire e le azioni dell’Onu risultano essere sempre poco efficaci. Nel luglio 2007 è stata approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza la risoluzione 1769, una sorta di “road map” sudanese, che di fatto però non sancisce il disarmo dei ribelli e il cessate il fuoco definitivo. Troppo distanti le posizioni e gli interessi dei membri del consiglio permanente: gli Usa che vorrebbero definire il conflitto un “genocidio” per avere la possibilità di intervenire militarmente, limitando così il controllo cinese sui giacimenti. La Cina che ha tutto l’interesse ad accaparrarsi il primato sul pregiato petrolio sudanese, fondamentale per il suo imponente sviluppo economico. Nel mezzo il Darfur. Un paese poverissimo dove si continua a morire per un “mare” di petrolio.


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