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La criminalità minorile nei nostri quartieri: il punto di vista di una Psicologa

I giovani che commettono reati sembrano essere aumentati negli ultimi tempi

Negli ultimi tempi sembrano essere aumentati i crimini commessi da giovanissimi. Tramite il telegiornale, la radio, i social, ogni giorno veniamo messi al corrente di azioni criminali commesse da minorenni, il più delle volte incredibilmente efferate.

Leggendo e ascoltando queste notizie la domanda sorge spontanea: perché succede? In questo articolo andremo a vedere alcune delle motivazioni che, secondo la Psicologia, potrebbero essere determinanti per la criminalità minorile.

I giovani che commettono reati sembrano essere aumentati negli ultimi tempi; inoltre sembra essersi abbassata la soglia minima di età in cui i ragazzi cominciano a mostrarsi capaci di compiere azioni violente o aggressive.

Dovremmo chiederci innanzitutto: è davvero così?

In parte sì, infatti se andiamo a vedere i dati statistici che riportano le segnalazioni di crimini commessi da minori negli ultimi tre anni in tutta Italia, potremo notare un lieve aumento, anche se non esponenziale come viene a volte riportato. Ciò nonostante il problema esiste ed è reale, per questo potrebbe essere interessante provare a comprenderlo meglio.

I crimini commessi dai minorenni riguardano spesso aggressioni fisiche a coetanei e non, con lo scopo di ottenere un tornaconto sia dal punto di vista monetario (ad esempio con furti) ma soprattutto dal punto di vista del potere. Per questo i giovani agiscono spesso in gruppo, in questo modo non solo saranno testimoni reciproci delle azioni commesse e dell’assenza di paura mostrata, ma anche perché così l’attribuzione di responsabilità per il crimine commesso potrà essere divisa tra tutti.

Come spiegato da Bandura nella sua teoria del disimpegno morale, il meccanismo della “diffusione della responsabilità” fa sì che se una colpa viene suddivisa tra più persone allora non è colpa di nessuno.

È anche da questo meccanismo che deriva il conosciutissimo fenomeno delle “baby gang”, bande di giovanissimi teppisti che negli ultimi tempi popolano le cronache dei telegiornali e spesso terrorizzano per lunghi periodi interi quartieri (ad esempio vicino la Metro C a piazza dei Mirti, dove spesso sono presenti questi gruppi di ragazzi).

Tanti sono i motivi per i quali questo fenomeno dilaga, non è corretto attribuire ad una sola causa la criminalità giovanile, poiché sarebbe riduttivo e sbagliato. Di seguito riporterò alcune riflessioni e considerazioni, partendo dalla letteratura scientifica.

Il Dr. Alfio Maggiolini definisce il comportamento antisociale in adolescenza “uno specifico disturbo del senso di responsabilità”, come se il senso di responsabilità di questi giovani fosse affetto da un vero e proprio deficit, facendo sì che questi non considerino gli effetti delle proprie scelte e decisioni, prese in modo irrazionale.

Da un punto di vista neurobiologico una spiegazione spicciola, ma comunque interessante, sarebbe che la corteccia prefrontale (area del nostro cervello implicata nella presa di decisione) terminerebbe il suo sviluppo intorno ai 25 anni di età dell’essere umano. Per questo le decisioni prese prima di questo periodo potrebbero essere considerate meno ponderate e razionali.

Ovviamente non possiamo ridurre tutto ad un aspetto prettamente biologico, i valori e la moralità di una persona guidano nella presa di decisione.

Come detto in precedenza però potrebbero subentrare al ragionamento morale i meccanismi di disimpegno morale, modalità di giustificazione delle nostre azioni socialmente immorali ma che portano un tornaconto personale.

Considerati questi meccanismi che secondo la Psicologia riguardano ognuno di noi, chiunque potrebbe chiedersi:

Anche io sono stato giovane, anche la mia corteccia prefrontale ha completato il suo sviluppo a 25 anni ed anche io avrei potuto mettere in atto meccanismi di disimpegno morale, ma non l’ho fatto. Ho seguito le regole e non avrei mai fatto del male ad altri. Perché loro sì?”.

Perché non tutti siamo la stessa persona!

Ognuno di noi è ovviamente diverso dagli altri. Ai meccanismi della mente comuni a tutti si sommano le nostre qualità, i nostri vissuti personali, la nostra personalità (soprattutto).

Nonostante il fenomeno della criminalità giovanile debba essere considerato per quello che è, un fenomeno appunto, è importante non fare lo stesso con i ragazzi che vi prendono parte.

Raggrupparli sotto un’unica etichetta e modalità di trattamento potrebbe essere estremamente nocivo e, cosa più importante di tutte, controproducente.

Le istituzioni dovrebbero occuparsi sia della protezione dei cittadini dai crimini, sia della prevenzione dalla commissione di questi crimini, ma anche, e questo è fondamentale, occuparsi di evitare la recidività di questi giovani autori di reato.

In questo modo i minori che commettono crimini oggi non saranno i criminali di domani.

È importante ripristinare la possibilità di un futuro per il giovane, ripristinando il patto sociale sul quale il nostro codice legislativo si basa. In questo modo i ragazzi autori di reato potranno essere recuperati ed il cerchio sarà interrotto.


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Un commento su “La criminalità minorile nei nostri quartieri: il punto di vista di una Psicologa

  1. Grazie mille dottoressa per quest’articolo! Spero che molti giovani (e soprattutto) adulti lo leggano e possano diffonderlo.
    È importante aiutare questi ragazzi ed educarli correttamente per far sì che non commettano di nuovo lo stesso reato, a prescindere dalla sua intensità di gravezza.

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