Memoria del Jazz: una musica contro corrente

Odiata (ma poi non tanto) da Mussolini e dai suoi soci tedeschi

Tutti quanti, tutti quanti, tutti quanti voglion fare il jazz!” (dal Film del 1971  “Gli Aristogatti”, diretto dal regista tedesco Wolfgang Reitherman per la Disney).

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Cos’è il Jazz? Amico, se hai bisogno di chiedere cosa sia il jazz, non lo capirai mai” (Louis, “Sachmo”, Armstrong)

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“Jazz is a How, not a What”.  il Jazz è un “come”, non un “cosa”, (Wlliam John [Bill] Evans, 1929-1980, pianista e compositore di Jazz)

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Tra le molte cose che Benito Mussolini odiava: gli antifascisti, gli ebrei, l’intelligenza delle donne, il contraddittorio e lo sport, in particolare  il ciclismo (si racconta che quando ancora era un giovane socialista andasse a spargere di chiodi le strade su cui dovevano passare i corridori del Giro D’Italia), pare che, almeno all’inizio del suo percorso come duce del fascismo, non ci fosse il Jazz (che ascoltava e addirittura suonava).

Poi le cose cambiarono e anche il Jazz finì sotto la mannaia del regime che lo definirà “musica negroide e semitica”, sebbene in casa del duce, nella romana Villa Torlonia, quella musica si ascoltasse eccome, dato che il figlio Romano la amava e diverrà, in seguito, un valente pianista jazz. In Casa Mussolini – è noto – erano visionabili anche i Film americani (dischi e Film arrivavano direttamente dagli USA) la cui visione – come l’ascolto della musica “degenerata” americana, erano vietati al resto degli italiani.

Il Jazz e Mussolini: un prima e un dopo

Il jazz? Prima: “un simbolo del regime fascista, ballabile e divertente.” Dopo: “musica negroide e semitica” o anche “musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide»,

Nei riguardi del Jazz, dunque, il fascismo ebbe, alla fine, una pervicace avversione. Certamente il regime era spaventato dalla troppa libertà e apertura che quella musica strana – fatta solo di note e senza parole – evocava in chi la eseguiva e in chi la ascoltava, ma – come leggerete – il regime tenne, per diversi anni, un atteggiamento ondivago rispetto a quel genere musicale. Poi sulla presa di posizione di netta chiusura (che però sarà facilmente aggirata) prevalsero altre considerazioni e la “razza” di chi lo suonava e l’avversione per gli ebrei (molti musicisti jazz lo erano) e la guerra che nel frattempo era scoppiata, in particolare quando entrò in campo l’America del Nord, paese da cui quella musica proveniva.

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Anche i nazisti disprezzavano il jazz salvo – raccontano le cronache della Francia occupata – riempire i Locali di Parigi dove si esibiva il chitarrista jazz Jean Baptiste – Django “tre dita” – Reinhardt, con il violinista Staphane Grappelli e il Quintetto du Hot Club De France (con tutti strumenti a corda), Reinhardt, che era atteso negli USA nientemeno che da Duke Ellington, aveva invece deciso di rimanere nella Parigi occupata per sfidare – lui “zingaro” Sinti – con il suo “jazz manouche” ed il suo “strano” modo di suonare la chitarra, i nazisti, anche se per uno come lui non era salutare comportarsi così perché rischiava la deportazione che toccò a molti suoi fratelli e sorelle Rom e Sinti e non solo in Francia. (*)

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Prima di entrare nel vivo di questa storia occorre mettere sul foglio elettronico alcune righe di conoscenza di questo genere musicale particolare che da tempo appassiona un gran numero di persone in tutto il mondo.

Il Jazz nacque agli inizi del Novecento negli Stati Uniti, come evoluzione delle forme musicali utilizzate dagli schiavi afroamericani. Ebbe origine in Louisiana, a New Orleans, dapprima con improvvisazioni collettive di suonatori che componevano “a orecchio”, poi con la creazione di Jazz Band.

La linea melodica era prodotta dagli ottoni, accompagnati inizialmente da pochi altri strumenti (pianoforte, batteria, contrabbasso). Il jazz accolse da subito nel suo linguaggio i generi della musica popolare, del ragtime, del blues e li fuse in un nuovo stile travolgente e in continua evoluzione, le cui parole chiave sono ritmo improvvisazione. Quando Benny Goodman, famoso Direttore d’Orchestra e clarinettista ebreo, applicò al jazz un tempo ballabile, eseguito da un’Orchestra, nacque lo swing. Negli anni Trenta l’Orchestra diventò – insieme alla radio, ai dischi e ai film musicali – il principale veicolo di diffusione del jazz in Europa.

L’origine ancora controversa della parola “jazz”

L’origine della parola jazz (che veniva originariamente scritta jass) è incerta. Un’ipotesi fa derivare la parola “jass” dalla parola di etimologia francese jaser (gracchiare, fare rumore, perfino copulare nel dialetto della Louisiana francofona del XVIII secolo).  La linea etimologica francese jaser-jass sembra avvalorata dai giornali dalla fine del 1800 al 1918 e dalle testimonianze di musicisti di New Orleans, secondo cui questa musica veniva considerata in ambienti tradizionali come “fracasso”, “rumore sgradevole”, musica “cacofonica”.

In contrasto con questa teoria, recenti testimonianze raccolte tra alcuni musicisti in attività a New Orleans all’inizio del XX Secolo indicano che la parola non è stata usata a New Orleans per denotare un genere musicale fino al 1917, quando vi arrivò in una lettera cheFreddie Keppard spedì da ChicagoaJoe “King” Oliver, che la mostrò al suo protettoLouis Armstrong.

Un’ipotesi recente è che la parola abbia una provenienza settentrionale, con le attestazioni di uso localizzate nell’area geografica di San Francisco. Il Ricercatore Gerald Cohen ha appurato che la parola inizia ad apparire sul “San Francisco Chronicle” nel 1913, come sinonimo di vigore, energia, effervescenza.  Il cronista che la usò per prmo, l’avrebbe mutuata da un altro cronista, che a sua volta l’avrebbe udita usare da giocatori di dadi durante una partita.

Altri associano la parola jazz al gergale to jizz (jism), parola sconcia che indica la virilità maschile. Così per alcuni jazz music sarebbe quindi stata “musica da eiaculazione” per la sua presenza nei bordelli, per altri avrebbe, inizialmente, significato “musica da poco” ovvero – in positivo – “musica effervescente”. Se anche questo fosse vero, è molto probabile che questa associazione si siapersa nel 1913 o difficilmente la parola sarebbe stata stampata su un Quotidiano.

Ad ogni modo dopo che la parola “jazz” fu resa famosa, essa si arricchì rapidamente di connotazioni anche negative al punto da essere talvolta utilizzata come epiteto. Altri ritengono che la parola jazz derivi da Jar, che in inglese significa vaso. In effetti, i primissimi suonatori di colore usavano dei vasi rovesciati come percussioni: da qui, l’espressione inglese “to play jares”, “suonare dei vasi”, delle giare, oppure dei barattoli.

Il jazz arrivò in Europa nl 1918, grazie ai soldati americani (soprattutto di colore) impegnati nella Grande Guerra che lo eseguivano nei periodi di riposò, consolidò la sua fortuna negli anni Venti e Trenta e la travolse. Le caratteristiche di questo genere musicale erano l’opposto delle parole chiave dei totalitarismi che in quegli anni si andavano affermando in Italia e in Germania: da una parte c’era il jazz, che è libertà, armonia nell’apparente disordine da, improvvisazione, internazionalismo e apertura culturale; dall’altra parte c’erano i sistemi totalitari, il fascismo ed il nazismo dove il controllo delle regole, l’ordine, il nazionalismo, l’autarchia e, soprattutto, la censura la facevano da padrone.

Fino al 1935, tuttavia, non si arrivò a censurare direttamente il jazz: era troppo il successo presso il pubblico, in particolare tra le nuove generazioni; si crearono numerose Band e Orchestre; la musica jazz riempiva il palinsesto della radio. Quel genere di musica fu comunque osteggiato dalla critica musicale fascista, in quanto ritenuto un genere degenerato e fuorviante proprio per i giovani, che si volevano inquadrati e disciplinati

Dal 1936 in Italia l’atteggiamento nei confronti del jazz peggiorò in seguito ad alcuni eventi: dopo la conquista dell’Etiopia vennero, infatti, emanate le leggi razziali contro le popolazioni nere; nel 1938 entrarono poi in vigore le leggi razziali anti-ebraiche. Ebrei e neri erano ritenuti inferiori e nemici.

Nel 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania hitleriana. Nel Dicembre del 1941, gli Americani entrarono nel conflitto mondiale, dopo il proditorio attacco giapponese di Pearl Harbor (7 Dicembre ‘41) e fu guerra aperta anche al jazz, perché era nato negli Stati Uniti e aveva, oltre tutto, tra i suoi più famosi rappresentanti, musicisti neri o ebrei. Dal 1942-43 il jazz fu definitivamente censurato sia in Italia che in Germania e venne quindi vietato sia alla radio che nelle esecuzioni dal vivo; ci fu anche il divieto di vendere dischi provenienti dagli Stati Uniti.

Il jazz e il fascismo una storia di amore-odio

“L’atteggiamento dell’Eiar nei confronti del jazz è decisamente interessante per il fatto che, nel corso degli anni trenta e durante la guerra, è mutato molteplici volte: dapprima: «non esitò a definirlo “musica negroide” o “musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide», successivamente «dal ’27 al ’29 […] l’Eiar si collegò quasi giornalmente con locali da ballo di Torino, Milano, Roma e, più, raramente, di Napoli.

Nel ’29 varò un programma giornaliero che durò per tutto l’anno dal titolo Eiar jazz!». Ma questo idillio con la musica d’oltreoceano ha vita breve: «nel 1930 Eiar jazz! fu abolito e fino al 1935 la parola la parola jazz comparve una sola volta alla radio». Nel 1936 l’Eiar ritorna a trasmettere programmi di musica jazz. Nel 1938 nuovo, repentino mutamento. Le trasmissioni jazz scompaiono quasi del tutto dai programmi dell’Eiar.”. 

Così, rispetto all’amore-odio tra il fascismo e il Jazz, scrive Nicolò Vitturi in un pezzo intitolato “La censura musicale durante il periodo fascistapubblicato nel Gennaio del 2017, sul Sito Web Medium. Ma con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, la questione assume una diversa considerazione da parte soprattutto dell’ala dura del regime fascista e il jazz viene definitivamente bollato come musica “negroide e semitica” e dunque vietato. Anche se si tratterà di un divieto, diremmo così,   ”di  Pulcinella”, ovvero – come leggerete – facilmente aggirabile e di fatto ripetutamente aggirato.

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Invece di sparire, tuttavia, il jazz continuò ad essere eseguito, ballato e ascoltato in modo clandestino, ma anche no ad opera, in particolare, di grandi jazzisti come Gorni Kramer – che nel Giugno del 1938 in un Programma dell’EIAR, esegue uno dopo l’altro Questo è swing, Piano stomp, After you’ve gone, Diga Diga Doo, Star Dust, Tiger rag. Dopodiché, il musicista di Rivarolo Mantovano non rimetterà più la sua fisarmonica davanti a un microfono di regime, anche se – come leggerete appresso – non sembra fosse animato da particolari sentimenti antifascisti, anzi – o di Direttori d’Orchestra come Pippo Barzizza e Cinico Angelini; ma anche da valenti musicisti come il pianista Giampiero Glauri (pseudonimo di Piero Piccioni) che il 13 Maggio 1940, sempre durante un Programma musicale dell’EIAR, esegue musiche sincopate e, fra un brano di Cergoli e uno di Mascheroni, infila Night and Day di Cole Porter ovviamente ribattezzato Notte e giornoI Know That You Know (Io so che voi sapete […]), e Midnight in a Madhouse (Mezzanotte in un Manicomio) (**).

Ma, per mandare comunque in onda il jazz americano c’era anche un altro sistema: bastava italianizzare i nomi dei musicisti e i titoli dei brani musicali. Fu così che venivano annunciati ed eseguiti i pezzi di Luigi Braccioforte, italianizzazione di Louis Armstrong, di Benito Buonuomo, ovvero Benny Goodman o di Del Duca, ovvero Duke Ellington; “She’s a latin from Manhattan” diventava così “Una spagnola di Nola” e tutto andava bene.

Gorni Kramer, il goliarda del jazz che finì nella Decima MAS

Quando il jazz, in Italia, era vietato, Gorni Kramer – all’Anagrafe Francesco Kramer Gorni (1913- 2016) – lo suonava in EIAR, la radio del ventennio, come avete letto, cambiando ed italianizzando i titoli dei pezzi e i cognomi dei loro autori stranieri. Lui lo suonava e Natalini Otto (pseudonimo di Natale Codognotto), cantante al tempo molto famoso, lo cantava.

Kramer era un valente musicista e Direttore d’Orchestra, ma anche un compositore di vaglia. Suoi pezzi come “Crapa Pelada” – parole di Tata Giacobetti, del Quartetto Centra, ma anche valente contrabbassista e musica di Kramer, ricalcata fedelmente sul famoso brano di Duke Ellington, “It Don’t Mean a Thing”  – (e a quel tempo la più famosa “crapa pelada” italica si chiamava Benito Mussolini).  «Crapa pelada la fà i tortèi, / ghe ne dà minga ai sò fradei, / i sò fradei fan la fritada, / e gh’en dan minga a la crapa pelada. Oppure“Pippo non lo sa” (che era evidentemente riferita ad Achille Starace, il Segretario del Partito Nazionale Fascista, che aveva esasperato il popolo italiano, ma anche il duce e i suoi colleghi del PNF, con le sue marce, le sue divise, il “Lei”, il saluto romano e così via) “e Pippo, Pippo non lo sa che quando, passa ride tutta la città” o ancora “Maramao perché sei morto”, diretta a Costanzo Ciano, presidente della Camera delle Corporazioni e padre del futuro genero del duce.

Poi arrivò l’8 Settembre 1943 e qualche giorno dopo nacque la Repubblica Sociale Italiana. Al tempo Kramer lo troviamo a scrivere (e firmare i suoi pezzi) sull’”Orizzonte”, Giornale molto diffuso tra le canaglie della Decima MAS di Borghese o – imbracciati gli strumenti che sapeva suonare: pianoforte, fisarmonica, contrabbasso – a fare Spettacoli d’intrattenimento per le truppe della RSI. Non si ha notizia se avesse mai indossato la divisa della X^ MAS, ma non venne mai sottoposto ad epurazione e, negli anni ’60, fu molto noto alla TV soprattutto nei Programmi musicali del Sabato sera.

Emblematica del rapporto ambivalente tra jazz e fascismo negli anni della guerra fu la vicenda del famosissimo Trio Lescano. Costituito da tre sorelle olandesi di madre ebrea, rappresentò il più popolare gruppo vocale femminile negli anni tra il 1936 e il 1943.

Le tre sorelle, i cui nomi Catharine, Alexandra e Judith Leschan furono italianizzati in Caterina, Alessandra e Giuditta Lescano, già ballerine, arrivarono in Italia a Torino nel 1935, dove furono scoperte dal Maestro Carlo Alberto Prato, uno dei curatori dei Programmi radiofonici della Sede torinese dell’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), che diede loro lezioni di canto fino ad armonizzare le loro voci. Debuttarono nel 1936 nell’ambito delle trasmissioni radiofoniche di musica leggera programmate da Radio Torino e rimasero sulla cresta dell’onda fino a quando, nel settembre del 1943, l’Italia non venne occupata dai tedeschi e a Salò nacque la RSI, l’ultimo sussulto di Benito Mussolini.

Le canzoni del Trio Lescano avevano ritmi swing di ispirazione americana, ma erano composte da musicisti italiani e avevano testi assolutamente innocui. Nonostante questo, alcune di esse furono censurate. Dopo l’8 settembre del ’43 le sorelle Lescano lasciarono il mondo dello spettacolo e della radio per nascondersi insieme alla madre ebrea, ricercata dai nazifascisti. Dopo la fine della guerra, caddero in disgrazia, forse perché in loro si vedeva la voce più popolare degli anni del regime fascista, e la loro carriera finì.

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Per quanto riguarda la Germania nazista e il jazz, non è dato sapere che musica suonassero le orchestrine dei deportati che, in alcuni Campi di Sterminio, accompagnavano i condannati a morte per una qualche “mancanza” al patibolo, ma non è escluso che fossero motivi jazz, vista la provenienza musicale di molti musicisti che erano stati deportati. E’ però Storia che nella Fortezza di Terezin (Theresienstadt) – Campo di Concentramento modello creato dai nazisti per ingannare non solo gli ebrei e la Croce Rossa Internazionale, ma il mondo intero – la musica fosse di casa e anche il jazz.

“Quando arrivammo a Theresienstadt, fummo fatti uscire per l’appello. Stemmo impalati senza cibo per ore sotto una tormenta di neve. Quelli deboli morivano o venivano portati via. Poi uno delle SS ordinò: “Musicisti un passo avanti”. I nazisti stavano trasformando Theresienstadt in un campo “modello” messo in scena da Goebbels per dimostrare alla Croce Rossa Internazionale che nelle prigioni naziste si viveva in condizioni umane e per smentire le voci dell’esistenza di lavoro da schiavi e camere a gas”. (Testimonianza del deportato Erich Vogel, musicista, 1963)

Tra gli ebrei deportati vi furono anche molti musicisti e tra loro i più grandi musicisti jazz tedeschi, olandesi e di tutti gli Stati via via annessi al Reich. Alcuni di essi continuarono a suonare nei Campi di Concentramento, costretti dai nazisti, fino alla morte.

Terezìn è stata una Città-fortezza situata nella Repubblica Ceca, trasformata dai nazisti in Campo di Concentramento. Più di 140.000 ebrei furono qui rinchiusi e ne morirono 33.000. Da lì poi la maggior parte di chi era sopravvisuto fu deportata ed uccisa ad Auschwitz.

I Ghetto Swingers nel film di propaganda del 1944

In quel Campo c’erano rinchiusi alcuni dei migliori musicisti europeiErich Vogel ebbe l’incarico di creare un’Orchestra che prese il nome di “Ghetto Swingers”. Quando al Campo arrivò, per una ispezione, la Commissione della Croce Rossa Internazionale l’Orchestra suonava in un Caffè che era stato allestito in fretta e furia. Tutto venne documentato in un film propaganda. Appena la Croce Rossa e gli Operatori cinematografici lasciarono il Campo, i musicisti furono caricati sui carri bestiame e portati alle camere a gas di Auschwitz.

Tra di essi c’era Fritz Weiss, uno dei più grandi clarinettisti europei. Venne ucciso con il padre ad Auschwitz il giorno dopo le riprese del film di propaganda. Aveva 25 anni. Il batterista e chitarrista Coco Schumann, invece, sopravvisse. Fu però costretto, ad Auschwitz, a suonare con altri musicisti mentre le SS accompagnavano le colonne dei detenuti verso le camere a gas. “Le cose che vedevo erano insopportabili. Facevamo musica dall’inferno!”, dichiarò in un’intervista.

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Nell’Italia occupata dai nazifascisti, dunque, la censura fascista non riuscì a cancellare il jazz, la musica “degenerata”, basti pensare che – come ho ricordato all’inizio di questa Nota – uno dei più grandi jazzisti italiani fu proprio il figlio del duce, Romano Mussolini, che crebbe e si formò come musicista jazz durante la guerra, proprio quando il genere era vietato.
Nei Campi di Sterminio nazisti, i musicisti continuarono a comporre musiche struggenti, che nemmeno l’atrocità nazista riuscì a distruggere. Le storie dei musicisti jazz deportati oggi contribuiscono a ricordarci, con la forza della loro musica, uno dei momenti più drammatici della nostra Storia. E allora è giusto ascoltarla quella musica, per non dimenticare, mai.

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(*) Anche se non amate il Jazz il consiglio è di ascoltare la musica di Django –– “tre dita” – Reinhardt. Qui, ne trovate un esempio nel suo pezzo “Minor Swing”, del 1937, che Reinhardt esegue con il Quintetto di tutti strumenti a corda e con al violino Stephane Grappelli (https://www.youtube.com/watch?v=gcE1avXFJb4). Se poi volete unire alla sua musica la visione di un ottimo Film, il consiglio è di vedere o ri-vedere “Cognome e Nome Lacombe Lucienne” diretto, nel 1974, dal regista francese Louis Malle, tenendo presente che la colonna sonora del Film è costruita con alcuni pezzi eseguiti proprio di Django Reinhardt e dal suo Quintetto.

Ma perché Django Reinhardt era soprannominato “tre dita?  Per via di un problema causato dall’incendio, era il 26 Ottobre del 1928, della roulotte dove viveva che gli aveva procurato numerose ustioni, “saldandogli” anche insieme mignolo e anulare della mano sinistra. Così, Django dovette studiare un nuovo modo di suonare la chitarra e ci riuscì, producendo un suono “metallico” che invece di risultare sgradevole diventò la cifra del suo fare musica, insomma il suo inimitabile “marchio di fabbrica” e da quel giorno Jean Baptiste Reinhardt (1910-1953) fu, per tutti, Django, ‘tre dita’, Reinhardt.

https://mail.google.com/mail/u/0/?shva=1#inbox/FMfcgzQXJtFWcPFzBxzQHghSwccZPqbZ?projector=1

(**) Piero Piccioni (1921-2004) – noto pianista jazz e compositore di colonne sonore famose (sua quella del Film di Alberto Sordi, “Fumo di Londra” del 1966 o quella del Film “Amore Mio Aiutami”, sempre diretto e interpretato da Alberto Sordi, nel 1969) – nonché figlio del pezzo da ’90 democristiano  Attilio Piccioni, rimase invischiato, negli anni ’50, in un caso di cronaca nera – quello dell’assassinio della giovani 21enne Wilma Montesi – che fece molto scalpore e costò al padre, al tempo  in corsa per diventare Segretario della Democrazia Cristiana, il ritiro da quella competizione politica, proprio a causa del grosso scandalo che quel fattaccio e la compromissione in esso del figlio musicista, aveva provocato nell’opinione pubblica italiana.


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