

"Questa città che noi raccontiamo come mutualistica, solidale e accogliente è in realtà una città atroce, in cui ci si deve salvare da soli"
Il 2 giugno di quest’anno è stato non solo una festa nazionale, ma anche il secondo anniversario del rogo di Colli Aniene che colpì un grande edificio di via D’Onofrio con la tragedia che ne seguì per chi abitava in quel condominio.
Perdere in un attimo la dimora di una vita è una cosa che non auguriamo a nessuno. Nei mesi successivi all’incendio abbiamo assistito ad una passerella istituzionale con tante promesse e quella frase “nessuno verrà lasciato da solo”.
Ma sono bastati pochi mesi per politici e amministratori locali per dimenticare tutto e lasciare le persone a vivere da soli nelle loro difficoltà. Roma è stata sempre una città solidale ma nella gestione di questa sciagura ha abbandonato tutti i suoi tradizionali principi di sostegno degli altri negando qualsiasi tipo di aiuto.
In questi casi è bene ricordare quello che è accaduto, qualche coscienza si potrebbe risvegliare per rendere concrete le promesse di assistenza alle famiglie che non sono mai state effettuate, e Enrico P. lo ha voluto fare attraverso un post pubblicato su Facebook che noi vi riportiamo integralmente:
«Per molti il 2 Giugno è la festa della Repubblica, per me è una data inesorabilmente legata all’incendio della casa dei miei genitori a Colli Aniene.
Il due giugno di due anni fa durante i lavori di ristrutturazione del 110%, a cui mi ero pure opposto, un incendio si sviluppava su un troncone dell’edificio devastando due corpi scala, uccidendo un uomo e intrappolando 12 persone all’interno.
Mia madre che si trovava a casa al 6 piano, il penultimo, è uscita dall’appartamento in fiamme e si è messa nel corpo scala, li non c’erano mobili che bruciavano. Ma non si poteva scendere, anche perché le fiamme provenivano dal basso.
Vi è stata per venti minuti o forse più e poi è stata salvata dai Vigili. Ora guardate la foto, posizionatevi al penultimo piano, se riuscite a vederlo, e immaginate voi di stare venti minuti li dentro. Quando gli ho chiesto cosa pensava in quegli istanti mi ha detto: sai c’era tanto fumo, al limite sarei svenuta e sarei morta così, dormendo.
Secondo i Vigili del Fuoco la temperatura all’interno degli appartamenti ha superato i 500 gradi, ha danneggiato la struttura, le pignatte esplose e tutti i ricordi di una vita cancellati.
Nei giorni successivi all’evento vi è stata una sfilata d’istituzioni. La frase più detta: “nessuno verrà lasciato da solo”, ripetuta come un mantra catartico ma in realtà è proprio quello che è successo.
Questa città che noi raccontiamo come mutualistica, solidale e accogliente è in realtà una città atroce, in cui ci si deve salvare da soli.
Dopo una settimana di terapia intensiva, mia madre è uscita dall’ospedale. La soluzione prospettata dalla Protezione Civile un albergo a La Storta. Mia madre già affetta da una grave disabilità e con l’obbligo di ossigeno h24 sarebbe dovuta andare a la Storta, da sola.
Una soluzione inaccettabile. D’altro canto la Protezione Civile che offre assistenza per i 45 giorni successivi agli eventi stanzia 80 euro a nucleo e con quella cifra si trova questo in città. Avrei potuto prendere un B&B vicino casa mia per poterla assistere almeno i primi giorni, pagare io la differenza e presentare la fattura, ma nulla la Protezione Civile opera per bandi, bisogna rispondere ad un Bando e si può accedere solo a strutture accreditate.
Nel mio libro “Verso una Politica della Casa”* che il prossimo anno farà 10 anni e in cui anticipavo molti dei temi che oggi si discutono in città come l’Agenzia sociale per le locazioni e l’Osservatorio sulla Condizione Abitativa scrivevo: Roma, Capitale del G7 e centro della cristianità, non può essere messa in crisi per lo scoppio di una bombola di gas.
Ma è realmente quello che succede. Durante una presentazione del libro Spin Time mi si avvicinò una donna con gli occhi gonfi di lacrime e mi disse: è la mia storia. Dopo che la sua casa è stata devastata da una esplosione di una bombola, un evento che come è facile intuire può mettere in ginocchio una famiglia, è stata costretta a vivere in occupazione.
Ancora oggi Roma non ha un sistema d’accoglienza per le famiglie, ancora oggi Roma non ha un sistema per l’emergenza abitativa.
Forse ne dovremmo discutere…
Ps: dopo due anni l’edificio è ancora sotto sequestro. Mia madre che è ancora in ossigenoterapia vive in un appartamento in affitto e ancora nessun aiuto ci è stato dato. (Enrico P.)»
Roma nel 2016: 170.000 residenti nelle case popolari, 73.000 alloggi pubblici per un valore stimabile in 22 miliardi di euro, 16.000 famiglie in lista di attesa, 8.000 in emergenza abitativa, 30.000 in difficoltà con il pagamento degli affitti di cui 10.000 con sfratto esecutivo, 10.000 occupanti abusivi, 5.000 assegnatari decaduti, 1.000 case popolari occupate ogni anno, 30 milioni di spesa per i residence, 500 milioni di debito ICI da parte degli enti gestori e 700 milioni di deficit manutentivo.
Sebbene il problema casa appaia inestricabile e numericamente insormontabile, questa pubblicazione si propone di porre ordine nella materia, al di là dei luoghi comuni e dei proclami scandalistici che troppo spesso ne avvelenano il dibattito. Un sistema in crisi in cui la Capitale d’Italia incarna tutti i mali della nazione, ma ha anche tutte le potenzialità che, dopo un riassetto organico della materia, potrebbero finalmente riuscire a dare delle risposte
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