Amore e legalità, un libro

Rossella Casini non c'è più, ma "L'amore [suo] non muore" e batte la 'ndrangheta

Una breve Nota necessaria

Ho scritto della battaglia della Professoressa Cristina Cattaneo per una Legge che obblighi a dare un nome ai migranti morti in mare per avere cercato un luogo, diverso dal proprio di origine, dove poter vivere una vita migliore.

Oggi è la volta della storia di una donna che un nome lo aveva, come aveva una vita attiva, colta e sensibile ma che non avrà mai una sepoltura degna di questo nome, per essere stata uccisa e fatta letteralmente scomparire solo perché proclamava, a voce alta e forte, il suo amore per un uomo che – sebbene fosse il figlio di un boss mafioso – non aveva lasciato, ma aveva continuato ad amare con tutta sé stessa.

Amore che voleva – anzi rivendicava con forza – fosse libero dai lacci e dai lacciuoli di una mafia violenta ed assassina e a quella violenza omicida opponeva non solo le sue parole, ma anche il suo corpo ovvero tutta sé stessa e per questo andava stuprata, uccisa, fatta a brandelli e fatta scomparire nel mare della Calabria, perché l’onestà limpida dell’amore che difendeva, gettava nel disonore la Famiglia mafiosa dell’uomo che amava. Un ultimo – il suo – disperato tentativo di difendere un sogno.

Una battaglia certo persa in partenza ma – come leggerete – L’Amore mio non muore!”

“L’Amore mio non muore!”

“Ho deciso di scrivere questo romanzo per raccontare la storia d’amore piú drammatica e potente in cui mi sia imbattuto. Raccoglie tutti i colori dell’umano sentire: l’ingenuità e lo slancio, la devozione e l’ossessione, l’amicizia, il desiderio, il coraggio, la delusione, il fraintendimento, il tradimento, lo schifo e la tragedia. Eppure la certezza che proprio nell’amare risieda l’unica possibilità di verità e di senso non viene mai meno. L’amore non muore.”.
(Roberto Saviano, scrittore, sceneggiatore, giornalista e conduttore televisivo sotto scorta dal 13 Ottobre del 2006)

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“Ma l’Amor Mio non Muore!” è il titolo di un Film muto del 1913, diretto dal regista Mario Caserini, considerato la Pellicola più rappresentativa di quella stagione cinematografica italiana.

Ma l’amor mio non muore!” è anche il titolo di un Libro del 1971, pubblicato dall’Editrice Arcana e divenuto un testo cult di quella Generazione.

Per il suo contenuto il Libro rischiò il sequestro “su tutto il territorio nazionale”, fatto che non si verificò perché tutte le copie stampate andarono vendute prima che il sequestro scattasse.

“L’Amor mio non muore” di Roberto Saviano

Ma “L’Amor mio non muore” è ora anche il titolo di un Romanzo scritto quest’anno da Roberto Saviano e pubblicato dalla Casa Editrice Einaudi. E’ il libro che oggi vi consiglio – più caldamente del solito – di leggere.

Dal Titolo potrebbe sembrare un Romanzo d’amore del genere letterario cosiddetto “rosa” (l’unico Genere letterario che ha avuto ultimamente un’importante impennata nelle vendite) anche se l’Autore, per come lo conosciamo, non è avvezzo a cimentarsi in questo genere di Romanzi. Infatti, l’ultima creazione letteraria di Roberto Saviano non è un Romanzo d’amore, ma un Romanzo sull’amore.

Un amore grande, più forte di qualsiasi codice d’onore, un amore che sconvolge, sconcerta, colpisce e lascia il segno. Un amore che per non averlo davanti – e così non doversi misurare con la sua forza dirompente – bisogna distruggere, annientare, sminuzzare e letteralmente far scomparire (in senso fisico, si capisce) colei che con il suo corpo e le sue parole lo incarna e lo rappresenta, con convinzione assoluta e risoluta..

Questo Romanzo racconta la storia di Rossella Casini, una giovane donna fiorentina di 25 anni, stuprata, uccisa e fatta letteralmente scomparire, a Palmi il 22 Febbraio del 1981, dai sicari della ‘ndrangheta calabrese, perché aveva avuto il coraggio di affrontare, a viso aperto, il boss mafioso Domenico Frisina per fargli sapere che lei e l’uomo che amava (figlio di quel boss), volevano essere liberi, ovvero non avevano nessuna voglia di rinunciare a quell’amore per ottemperare ai codici d’onore ‘ndranghetisti che non riconoscevano.

Quella sfida – a viso aperto – per Rossella Casini – dopo che Domenico Frisina era stato ucciso in un regolamento di conti tra ‘ndrine rivali e la vita per la ragazza si era assai complicata – è stata l’ultima della sua vita e di lei ci resta solo una fotografia del formato di quelle che si attaccano sui documenti (nel suo caso su di un libretto universitario) fortunosamente rintracciata negli Archivi dell’Università di Firenze che la ragazza frequentava con profitto.

Saviano ha scritto la storia dell’amore di Rossella per Francesco, della sua lotta solitaria e della sua fine, anch’essa in solitudine, perché nessuno – ma proprio nessuno – quella storia la dimentichi. Anzi perché tutti la possano conoscere. E quella storia – una volta conosciuta – possa diventare, nelle nostre mani, un’arma potente contro la ‘ndrangheta, contro il malaffare e contro tutte le mafie; un’arma per difendere la legalità.

Roberto Saviano ha conosciuto la storia di Rossella Casini grazie a Libera, l’Associazione di Don Luigi Ciotti,  che, dal giorno dell’assassinio e della scomparsa della ragazza, tiene viva la sua storia attraverso diverse pagine del proprio Sito Web (https://vivi.libera.it/storie-795-rossella_casini) e intitolando a suo nome alcuni Presidi di legalità dell’Associane stessa, presenti e attivi in diverse parti d’Italia. Inoltre, in occasione della Festa della Repubblica del 2019, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha insignito Rossella Casini della Medaglia D’Oro al Valor Civile alla Memoria.

Rossella Casini (Firenze, 29 Maggio 1956 – Palmi, 22 Febbraio 1981) – La storia

“Rossella Casini non era calabrese, viveva in Borgo La Croce a Firenze con i suoi genitori, il papà operaio Fiat in pensione e la mamma casalinga. Figlia unica e studentessa di psicologia all’università, aveva poco più di vent’anni quando nel 1977 conobbe Francesco Frisina, studente di economia a Siena ma originario di Palmi, in provincia di Reggio Calabria.

Era un ragazzo a modo questo Francesco, e Rossella non solo volle presentarlo subito ai suoi genitori ma non vedeva l’ora di andare con lui in Calabria per conoscere quelli che lei sperava potessero diventare i suoi futuri suoceri.

Che ne sapeva lei della ‘ndrangheta? Che ne poteva sapere di una faida antica che lì a Palmi da sempre stava lasciando morti ammazzati per strada? E come potevano dirle qualcosa i nomi dei Gallico o dei Frisina o dei Parrello o dei Condello che erano i nomi di quelle cosche che da sempre da quelle parti si facevano guerra? O meglio, Frisina lo conosceva, era il cognome del suo Francesco, ma come poteva immaginare Rossella che la famiglia del suo ragazzo era una famiglia in odore di ‘ndrangheta?

Ecco perché quando il 4 luglio 1979 a Palmi, in contrada Pirara, due killer uccisero Domenico, il papà di Francesco, per Rossella non fu semplicemente lo svelamento di un mondo che forse non immaginava neanche lontanamente che potesse esistere, ma qualcosa di più: una discesa all’inferno, un baratro fatto di trappole, vendette, ritorsioni e sangue; una cultura di morte che da quelle parti, però, coincideva con un assurdo codice di vita. Com’era lontano il suo mondo!

In quei giorni lei si trovava a Palmi, il suo ragazzo non poteva lasciarlo solo in un momento così difficile, e così decise di far rientrare sua mamma a Firenze e lei invece di rimanere lì in sua compagnia. Voleva incoraggiarlo, voleva sostenerlo, voleva, forse, aiutarlo a uscire da un incubo nel quale purtroppo chiunque può sprofondare quando nella vita all’improvviso si incrocia senza volerlo una folle mano criminale. Come faceva, invece, Rossella a sapere che cinque mesi dopo, il 9 dicembre, a scampare miracolosamente ad un conflitto a fuoco con il clan rivale dei Condello sarà proprio il suo Francesco? Quel giorno lei stava finalmente rientrando a Firenze per riprendere la sua normale vita universitaria, ed invece le arrivò la notizia che il suo ragazzo a Palmi era rimasto gravemente ferito alla testa.

Chissà cosa pensò. Chissà se le si spalancarono finalmente gli occhi. Chissà se capì che l’omicidio di cinque mesi prima non era stato un terribile imprevisto della vita e che questo attentato a Francesco ora aveva un nome preciso e si chiamava mafia. Forse sì.

Ed è per questo, forse, che senza pensarci neanche un attimo, appena Francesco fu dimesso dal reparto neurochirurgico degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria se lo portò con sé a Firenze per farlo ricoverare in una clinica specializzata. Certo, per sottoporlo a visite ancora più qualificate, ma soprattutto perché sapeva benissimo che se voleva salvare il loro amore, il suo ragazzo doveva portarlo via al più presto dalla Calabria.

Il suo era un altro mondo. La sua cultura – come scriveranno i giudici del Tribunale di Palmi molti anni dopo – «era estranea alle logiche e alle dinamiche in cui invece la famiglia Frisina si trovava profondamente inserita». Lontani da quell’inferno lei poteva guardare il suo ragazzo negli occhi, farsi raccontare quella vita senza senso, capire meglio quanto lui fosse realmente impastato di quelle regole e di quei codici, e chiedergli di rompere per sempre ogni legame con quell’assurdità.

Francesco iniziò a parlare e Rossella si illuse. A un poliziotto, che la ragazza all’inizio presentò come un cugino, il giovane rampollo dei Frisina cominciò a fare nomi e cognomi, a raccontare di rapine, a descrivere fatti di sangue della faida che da tempo seminava morti per le strade di Palmi, e a confidare chi dei suoi familiari era coinvolto in quelle trame criminali.

E così da un lato le sue parole e dall’altro ciò che la stessa Rossella stava riferendo agli inquirenti, in merito a ciò che lei stessa aveva visto e sentito in quel breve periodo di frequentazione con la famiglia di Francesco: la guerra alle ‘ndrine di Palmi era dichiarata.

Per la giovane ragazza fiorentina non fu difficile, il suo sangue non era sporco, non era contaminato dalle regole dell’onore e dai codici di omertà. Rossella racconta e riporta tutto ciò che sa, come dovrebbe essere normale che sia, come dovrebbe fare chiunque, e come sente fortemente di fare qualunque donna che per amore del proprio uomo è disposta a tutto.

Non così per Francesco. E neanche per la sua famiglia. Per loro i princìpi del silenzio e della fedeltà a quelle regole sono tutto, anzi, il vero problema è proprio la “contiguità” con loro di questa ragazza «sostanzialmente estranea alle loro regole culturali». Il rapporto fra Rossella e Francesco li manda in fibrillazione, li preoccupa, e quando Pino Mazzullo, il cognato di Francesco, marito cioè della sorella, viene a sapere dalla stessa Rossella che il suo fidanzato ha iniziato a collaborare con la giustizia, Pino le dice chiaro e tondo e senza troppi giri di parole che in questo modo Francesco li «inguaiava tutti».

Bisognava allora fargli fare marcia indietro, e in realtà non ci volle molto: basteranno pochi mesi di carcere che i due cognati si faranno insieme perché Francesco rimangi tutto quello che aveva iniziato a dire ai magistrati.; ritratta, non ricorda, dichiara finanche «di non stare bene da un punto di vista psichico».

Rossella non demorde. È il 1980. Fa su e giù per la Calabria per capire come strappare il suo ragazzo a quel mondo orribile, arrivando persino a ridimensionare dinanzi agli inquirenti la posizione di Francesco in quei fatti che lei stessa aveva raccontato.

Sta giocando con il fuoco e forse non se ne rende conto.

Se ne accorge invece suo padre, Loredano, che si preoccupa e non poco quando scopre una lettera anonima che a Firenze viene ritrovata sull’automobile della figlia, e quando tra la fine del 1980 e i primi mesi del 1981, Rossella – che nel frattempo era ritornata di nuovo in Calabria – gli fa una serie di telefonate da Palmi durante le quali gli dice che aveva da sistemare alcune ultime cose, che sarebbe rientrata presto e che siccome <<i rapporti con i Frisina non erano più buoni>> aveva trovato una sistemazione da alcuni amici <<nei pressi della tonnara di Palmi>>, in una casa dove però non c’era telefono. E quando il pomeriggio del 22 febbraio sempre al telefono le chiese quando sarebbe tornata a Firenze, la figlia gli disse che stava preparando le valigie, stava per partire.

Quel giorno era di domenica. È stata l’ultima volta che padre e figlia si sono parlati.

Che Rossella si fosse messa in un gioco molto più grande di lei la famiglia Casini lo aveva capito da subito, da quando aveva intuito in che famiglia si era andata a infilare la loro figlia; e che alla fine avesse pagato con la vita queste relazioni così pericolose lo capiscono immediatamente, quando nelle ore e nei giorni successivi alla scomparsa iniziano a scontrarsi con un muro invalicabile di silenzi, bugie, cose dette in modo vago, contraddizioni, omissioni e un mare di omertà. Era come se Rossella non fosse mai esistita, di lei neanche l’ombra, nessuna traccia.

Sua mamma, consumata dal dolore, morirà pochi anni dopo quel 22 febbraio; al papà invece, che non voleva rassegnarsi alla scomparsa della figlia, gli si sbarrarono gli occhi e di certo gli si gelò il sangue nelle vene quando nel luglio del 1994, tredici anni dopo quell’ultima telefonata, sfogliando le pagine di un quotidiano fiorentino legge le dichiarazioni di un pentito siciliano secondo il quale Rossella Casini era stata rapita, violentata, uccisa, fatta a pezzi e gettata in mare al largo della tonnara di Palmi! Una coltellata al cuore, senza che nessuno si fosse preso la benchè minima briga di avvisarlo, senza che nessuno gli avesse detto prima che forse un pizzico di verità sulla figlia stava finalmente per arrivare.

FATE A PEZZI LA STRANIERA, sono le cinque parole con cui Rossella viene condannata a morte.”

(Fonte: “Lupare rosa. Storie di amore, sangue e onore.” di Marcello Cozzi)

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Tutto quanto avete letto sin qui è realmente stato. Ma la storia raccontata in questo Romanzo non può definirsi conclusa, poiché Giustizia non è ancora stata fatta e si attende che lo sia compiutamente. E c’è chi ha lottato, lotta e lotterà perché i colpevoli dello stupro, del brutale assassinio e della sparizione di Rossella Casini siano individuarti e paghino, davanti alla Legge degli uomini, il giusto prezzo per la loro codardia assassina.

Un’ultima osservazione: se le parole hanno ancora un senso (e ce l’hanno) quelle che Roberto Saviano ha messo in fila, pagina dopo pagina, in questo suo Romanzo sono un atto di Resistenza.

Resistenza contro tutte le mafie e per la legalitàresistenza contro uno Stato che lascia soli i suoi cittadini migliori e se ne ricorda sempre e solo quando è ormai troppo tardi; resistenza contro chi vorrebbe farci dimenticare le collusioni tra mafia e politica e altre porcherie del genere, passate e presenti. Ecco perché – a mio avviso – è necessario e addirittura urgente leggere questo Romanzo: perché è necessario e addirittura urgente, unirsi a questa resistenza.


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