Londra e Napoli afflitte entrambe dal morbo del tripudio
Londra e Napoli, due città in preda alla follia, nello stupore che le gemella per due eventi straordinari che non accadevano da tempo in entrambe le comunità.
Ai miei occhi, le due esplosioni di tripudio popolare appaiono esagerate, ma non a causa dell’età che mi porto sulle spalle e che infiacchisce gli entusiasmi; no, non è per questo, quanto, se preferite, attribuitelo ad un limite caratteriale.
Anche a vent’anni mi restava difficile accodarmi a coloro che scendevano per le strade e le piazze a festeggiare scudetti vinti dalla squadra del cuore, applaudire personalità istituzionali o stelle dello spettacolo e dello sport. Tuttavia, rimasi scioccato e commosso davanti alla sciagura di Superga, pensando a quei bravi calciatori che formavano i dieci undicesimi della Nazionale, svaniti nel nulla in un batter d’occhio. Il calcio è uno sport che all’epoca collocava, nella mitica fantasia di un bambino di otto anni, ognuno di loro, immaginato attraverso le radiocronache di Niccolò Carosio e fissato nella memoria dalle foto del settimanale “Il Calcio illustrato”, sfogliato alla ricerca delle più atletiche rovesciate al volo, o delle parate strepitose di portieri volanti.
Ma quando, negli anni “50/60, la Nazionale vinceva (poche volte, dalla scomparsa del Grande Torino) non ricordo caroselli di persone a riversarsi per le strade e fuochi d’artificio; né le poche auto che circolavano, si guardavano bene dallo strombazzare senza ritegno. Forse la moderazione era dettata da un’Italia più povera, eredità di una guerra non ancora del tutto digerita, o perché la generazione dei venti, trentenni di allora aveva sogni più attraenti e concreti da inseguire.
In ultima analisi, se tollero bonariamente il tifo napoletano per la conquista del terzo scudetto, come un’impronta connaturata nel DNA di una città che oltre a San Gennaro, santo a tutti gli effetti, a furor di popolo è stato fatto santo anche Maradona, quando era ancora in vita, solo chi è veramente inglese può essere giustificato per il tifo in ossequio alla famiglia reale.
Da lontano, e non avendo da sempre avuto in simpatia la Royal Family, fin da quando mi datano i ricordi, non ho di che entusiasmarmi alle gesta di una stirpe, dove – salvando Elisabetta e Diana – gli altri rappresentanti, inconcludenti e stipendiati a ufo, mi hanno dato l’impressione di parassitismo vizioso. Sarà che il mio sentimento, da sempre repubblicano, non giustifica l’accettazione di un regnante per nascita e volontà divina; tuttavia, se regnante sei nato, il privilegio vorrei che lo ripagassi con un contegno regale. In caso contrario, ammiro da sempre l’abdicazione di Edoardo VIII per amore della chiacchierata Wally, mentre regalo volentieri il resto della compagnia al gossip e alle chiacchiere di chi se ne vuole occupare più da vicino.
Davvero, personalmente non riesco a trovare alcun motivo per cui, al giorno d’oggi, un estraneo alla tradizione inglese debba entusiasmarsi ai fatti personali dei coronati, davvero poco edificanti all’interno di un casato, così da sempre innamorato di cani e cavalli, da assumerne col passare del tempo segni inequivocabili nell’espressione, talvolta equina in taluni, canina in altri.
L’egiziano Re Faruq, deposto in esilio da Nasser nel 1952, non fu un regnante malvagio, per come la storia lo ricordi, quanto piuttosto fancazzista e donnaiolo, in un periodo nel quale le mogli dei sovrani dovevano solo partorire l’erede maschio al trono. Trascorse gran parte del suo esilio a Roma, nella Dolce Vita che caratterizzò la città negli anni “50/60, dove, a quarantacinque anni, morì nel 1965 di porcite acuta, al tavolo del suo ristorante preferito, sulla Via Aurelia Antica, a seguito di bagordi smodati e ripetuti. In punto di morte sembra aver affermato che, prima della fine del secolo, sarebbero rimasti soltanto cinque regnanti: quello di cuori, di quadri, di fiori, di picche e quello d’Inghilterra.
Previsione errata, ché oggi ne restano molti di più. Se la sua profezia si fosse avverata, si sarebbe potuto sperare di veder presto la fine anche della monarchia inglese. Non è così, ché il popolo sembra persino attratto dagli scandali di palazzo, che non finiscono mai di soddisfare i cittadini della Gran Bretagna – e non solo.
Ettore Visibelli