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Memoria romana: Enrico Ferola, il partigiano che fabbricava i chiodi a quattro punte

”Mejo l’americani su la capoccia che Mussolini tra li cojoni” (scritta apparsa  su un muro di Roma, dopo il bombardamento alleato di San Lorenzo del 19 Luglio del 1943)

”Mejo l’americani su la capoccia che Mussolini tra li cojoni” (scritta apparsa  su un muro di Roma, dopo il bombardamento alleato di San Lorenzo del 19 Luglio del 1943)

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Quando la scritta che avete letto sopra viene vergata – a vernice nera – su un muro della città di Roma non ancora occupata dai tedeschi, l’eccidio nazifascista delle Cave Ardeatine è ancora di là da venire. Gli alleati sono sbarcati in Sicilia da pochi giorni e al fascismo restano ancora solo sei giorni di vita (ma la Storia riserverà agli italiani, che il 25 Luglio ’43 manifesteranno la loro gioia scendendo in Piazza, una sorpresa sanguinosa: quella dei venti mesi di vita della RSI, la Repubblica Sociale Italiana.

Poco più di otto mesi dopo quel pesantissimo bombardamento, il corpo della città di Roma soffrirà un’altra tremenda ferita: quella dell’eccidio di 335 innocenti, perpetrato dai tedeschi alle Cave di pozzolana della Via Ardeatina.

Nota: dei 335 assassinati in quella carneficina dirà Vittorio Foa che alcuni di loro furono uccisi per quello che erano, altri per quello che avevano fatto, altri ancora per dove si trovavano il 23 Marzo del 1944, il giorno prima di quella mattanza.

Quella del 24 Marzo del 1944 fu una carneficina premeditata, ordita per rappresaglia all’uccisione dei 33 poliziotti nazisti del PolizeiRegiment “Bozen”, dopo l’attacco partigiano di Via Rasella del giorno precedente. Ma fu anche un eccidio organizzato dai nazifascisti per terrorizzare e piegare Roma e i romani che non collaboravano con gli occupanti e con i fascisti, anzi osavano resistere e colpire duramente la Wermacht, l’Esercito tedesco, allora il più potente del mondo e i fascisti di Giuseppe Pizzirani, il Federale fascista di Roma basato a Palazzo Braschi con la sua banda di assassini.

Si trattava di una resistenza all’occupante e al fascista collaborazionista – armata e no – che era iniziata praticamente subito dopo il radiomessaggio di Badoglio che comunicava l’avvenuta firma dell’Armistizio con gli alleati, la sera dell’8 Settembre ’43 a Porta San Paolo ed in altre zone della città, con la risposta in armi di soldati e civili (era la prima volta che accadeva) al tentativo tedesco (poi riuscito dopo tre giorni di combattimenti) di occupare Roma. Quella resistenza continuerà per tutti i 271 giorni di occupazione nazifascista di Roma e fino al 5 Giugno del 1944, il giorno successivo all’entrata in città degli americani, giorno in cui ancora ci saranno scontri armati e ancora moriranno dei partigiani.

La storia di Enrico Ferola

Perché rievocare oggi (a pochi giorni dal 24 Marzo, giorno dell’80° Anniversario di quell’assassinio di massa) quel fatto sanguinoso? Perché, se andate al Mausoleo Militare delle Cave Ardeatine – come abbiamo fatto con la nostra Sezione una settimana fa, insieme ai ragazzi e le ragazze di due Terze Classi della Scuola “2 Ottobre 1870”, di Via di Santa Maria alle Fornaci – e nella parte dove sono collocati i sacelli che contengono i resti delle 335 vittime di quell’eccidio, vi avvicinate al sacello n. 163, potete leggere un nome: Enrico Ferola

Enrico Ferola (1901-1944) non era soltanto un Partigiano combattente del Partito d’Azione (Giustizia e Libertà) ma anche un fabbro molto conosciuto a Trastevere, dove in Via della Pelliccia, 8 aveva la sua Officina e lì fabbricava i famosi chiodi a quattro punte (fino al giorno del suo arresto ne fece oltre 10mila) che erano diventati il flagello pestifero dei nazifascisti, poiché, sparsi sulle strade, bloccavano intere colonne militari tedesche dirette – partendo da Roma trasformata  dai tedeschi in una retrovia  – al Fronte di Cassino.

Ferola – contrariamente a quanto si trova spesso scritto nelle rievocazioni della sua vita – non aveva inventato quei chiodi a quattro punte. In realtà quella era un’”arma” inventata e utilizzata dagli Austriaci durante la Prima guerra mondiale. A vederli per primo era stato il Partigiano comunista Lindoro Boccanera, che era il custode del Museo del Bersagliere a Porta Pia (che poi era la santabarbara dei GAP romani). Lui aveva visto in una bacheca del Museo un esemplare di quegli strani chiodi e lo aveva prelevato.  Gettato sul terreno, data la sua strana forma, il chiodo manteneva sempre tre punte piantate a terra ed una quarta diretta verso l’alto.ed era questa che si piantava nei copertoni delle ruote dei camion tedeschi e li bloccava.

Nota: i chiodi a quattro punte, inventati dagli Austriaci e poi ripresi dai Partigiani romani erano stati ideati riprendendo la forma del “tribolo” romano, detto anche “piede di corvo”. Il “piede di corvo” era un dispositivo bellico costituito da una specie di chiodo metallico a quattro punte o tetraedro disposte in modo che una punta fosse sempre rivolta verso l’alto, mentre le restanti tre facevano da basamento.

Sebbene appartenessero a Partiti e Formazioni partigiane differenti Boccanera e Ferola certamente si conoscevano  e l’idea del primo di utilizzare quei chiodi “austriaci” per azioni di sabotaggio mise il secondo – fabbro di mestiere – subito al lavoro e così già da Ottobre ‘43 i partigiani iniziarono a spargere migliaia di quei chiodi a quattro punte sulle principali strade, soprattutto le consolari, rendendo molto difficili gli spostamenti delle autocolonne naziste e complicando non poco le attività della polizia nazi-fascista. Il primo utilizzo di quella nuova “arma” si ebbe – raccontano gli Storici – mentre dal Binario 1 della Stazione Tiburtina partiva il “trasporto” degli ebrei romani, rastrellati il 16 Ottobre ’43  in tutta la città, con destinazione Auschwitz.

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Per Ferola arriva però un brutto giorno, il 19 Marzo del 1944: quello in cui, per delazione, viene arrestato dagli sgherri fascisti della Banda Koc. Portato alla Pensione Jaccarino, situata al civico 38 di Via Romagna,  viene ripetutamente torturato, ma non rivela né il nome mdi altri compagni di lotta, nè il destinatario del mezzo quintale di chiodi a quattro punte che i fascisti avevano trovato, perquisendo la sua Officina in Via della Pelliccia. Ferola finirà nella Lista di 50 nomi preparata dal Questore fascista di Roma, Pietro Caruso, su ordine di Herbert Kappler e la sua vita avrà una fine violenta alle Cave Ardeatine insieme agli altri 334 martiri di quell’eccidio.

Nota: come avete letto, per indicare le 335 vittime delle Ardeatine ho usato il termine “martiri”. Mi rendo conto che questo termine possa suonare inappropriato, avendo generalmente un significato religioso: si dice ad esempio: “i martiri della fede”, ma in questo caso non parliamo di fede religiosa, semmai di “fede” etica.

Un altro termine che troviamo spesso utilizzato per indicare la mattanza delle Ardeatine è “strage”. Come spesso scrivo e ripeto – quell’eccidio non fu una “strage“; non fu infatti come a Marzabotto Monte Sole o a Sant’Anna di Stazzema, dove interi paesi furono distrutti dai nazisti, insieme aa chi li popolava. Quella delle Ardeatine non fu una strage perché le vittime furono accuratamente selezionate e andarono a comporre prima due Liste separate, poi una sola Lista di 335 nominativi (5 in più di quanto avrebbe voluto l’infame formula tedesca del 10 a 1).

Il “martirio – a mio parere – è risieduto intanto nell’attesa sul Piazzale antistante le Cave, dove i prigionieri erano scesi legati a gruppi mdi cinque; poi in quella che precedette l’entrata nelle grotte, avvenuta mentre si ascoltavano i cinque colpi di pistola destinati al gruppo precedente e poi nel fatto che le vittime furono uccise non con la classica mitragliatrice, che in tante altre stragi i nazisti avevano utilizzato, ma con un colpo di pistola singolo alla nuca, facendo cadere i corpi gli uni sugli altri.
Oltre che nelle botteghe artigiane, i chiodi venivano fabbricati anche alla Romana Gas all’Ostiense, e il 15 Dicembre 1943 su «l’Unità», stampata clandestinamente, verranno pubblicate le istruzioni per costruirli. Queigli strani aggeggi appuntiti che stanno sempre dritti, sono un problema serio per i nazifascisti. Così i tedeschi stabiliscono che la produzione e il possesso di quei chiodi saranno puniti con la pena capitale.

E mentre i partigiani li usano con successo per sabotare i convogli nazisti, i ragazzini delle borgate vanno verso i tedeschi irridendoli e ritmando queste parole

«Quante punte, quante punte, / Quante punte ha questo chiodo? / Una punta per me, una punta per te, / quattro punte per lui!»

In memoria di Enrico Ferola, in Via della Pelliccia, 8, dove d’era la sua Officina, è stata apposta una lapide che lo ricorda.


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