Neo logismi
Esistono delle sostituzioni lessicali nell’intento di significare meglio ciò che un tempo era chiamato diversamente, che non mi sono mai piaciute. Una di queste è la manovra (economica) che ogni anno impoverisce ulteriormente chi è già povero, senza conoscere mai con sufficiente chiarezza dove finiscano le tasse, di chi le paga; a quanto ammonti realmente l’evasione fiscale di coloro che non le pagano; né quale sarebbe secondo gli esperti economisti il vero fabbisogno, in miliardi di euro, per garantire agli italiani che funzionino i servizi primari di cui la società ha bisogno: sanità, scuola, giustizia, trasporti… e quant’altro possa aver dimenticato.
Il sostantivo manovra, ogni due per tre sulla bocca dei politici, mi ricorda ogni volta la targhetta vicino al posto di guida di tram, filobus e autobus con la scritta: Non parlate al manovratore. Come a dire: ai bisogni della nazione ci pensiamo noi (da voi eletti), voi che fareste bene a farvi gli affari che vi competono, senza distrarre chi guida. E noi passeggeri, marmaglia accidiosa, siamo grati del viaggio e fiduciosi nel manovratore.
Molte volte, tuttavia, non è insolito sentirci dire: scusate, ma per ultimare la tratta occorre una manovrina aggiuntiva. E alla parola manovrina avverto immediato un prurito al fondo schiena, un fastidio che mi fa perdere fiducia nel manovratore che in tutta evidenza, privo dell’odierno navigatore, è di tutta evidenza che già in partenza aveva molti dubbi sul percorso da fare, anche perché ho controllato che nessuno lo ha distratto con domande o chiacchiere superflue.
Un tempo quella manovra era indicata come legge finanziaria, abbreviata per brevità in finanziaria, e raramente la società dei trasporti ricorreva ad aggiustamenti in itinere, così chiamati, che in fondo, quando indispensabili, provocavano meno fastidi al viaggiatore della manovrina, con quel diminutivo edulcorato che non serve a lenire il bruciore del passeggero.
Analizzata la manovra, un altro neologismo bancario, mutuato dall’inglese, è bond, termine che per me assume un significato mistificatorio, come tanti altri inglesismi utilizzati per fuorviare e stordire i meno acculturati – che poi rappresentano la maggioranza – affinché non si rendano conto del significato barbaro e dei rischi in esso nascosti.
Anche in questo caso, più o meno fino all’avvento dell’euro, il bond si chiamava obbligazione: il cliente prestava soldi a chi ne aveva bisogno per investire. Le obbligazioni poco, ma qualcosa rendevano. Col cambio del termine sono state moltissime le fregature che il cliente ha dovuto digerire, ma non certo il consulente bancario proponente l’affare, il quale è riuscito a passare il fatidico omo nero dalla mano della banca a quella dell’ignaro, fiducioso cliente, orgoglioso di avere acquistato un mazzo di perfidi bond, fuorviato anche dal nome, che però, non rendeva neppure lo 007 %, ossia niente, perché era stabilito in partenza che avrebbe dovuto vincere il banco.
Amici connazionali, diffidate delle parole che vi sono estranee e come a scuola ci diceva l’insegnante, allorché ci vedeva arrampicarci sugli specchi non riuscendo a rispondere alla domanda: dillo con parole tue, caro.
Se qualcosa non vi è chiaro, ricordate le parole dell’insegnante e pretendete un chiarimento con parole vostre.
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hai perfettamente ragione.
Negli anni 70 sono riuscito a salvare dall’inflazione i risparmi per comprare la casa comprando i “bond”, ora ci si rimette solo un sacco di soldi, ma nessuno mi ha saputo suggerire una valida alternativa oltre alla classica “spendili tutti”.
Un caro saluto