Carlo Azeglio Ciampi, un presidente con la schiena dritta

di Aldo Pirone - 18 Settembre 2016

Il Presidente Ciampi è stato uomo probo e progressista. Di cultura liberalsocialista e di militanza azionista. Uno dei migliori Presidenti della Repubblica che questo nostro declinante paese ha avuto la fortuna di avere. Il cordoglio, anche se da qualcuno è risultato un bel po’ ipocrita, è stato unanime. A parte il primate Salvini, che ha confermato, da par suo, di occupare una parte particolare nell’ordine dei mammiferi assai precedenti all’homo sapiens. Se le personalità politiche debbono essere valutate nel contesto socioeconomico, culturale e politico in cui si trovano ad operare, bisogna riconoscere che Ciampi seppe fare fronte al suo contesto con dirittura morale e capacità politica.

c_2_fotogallery_3005034_0_imageSia da Presidente del Consiglio quando, nel 1993, fronteggiò la débâcle economica e del sistema politico italiano, sia da ministro del Tesoro nei governi Prodi e D’Alema (1996-‘99) sconfiggendo i falchi tedeschi e olandesi antitaliani che volevano tenerci fuori dalla moneta unica, sia, ancor più, da Presidente della Repubblica chiamato a fronteggiare il berlusconismo rampante ed eversivo. A cui disse alcuni No, guidato da quella che definì la sua “Bibbia civile”, la Costituzione, esercitando i suoi poteri presidenziali senza mai travalicarli, in particolare quello del rinvio alle Camere di alcune leggi assai care al cavaliere di Arcore.

Nel 2009, con un altro Presidente al Quirinale, Napolitano, ebbe a dire “Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi: è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all’opinione pubblica”.

Ciampi ne aveva respinte tre di leggi a Berlusconi: la Gasparri sulle TV, la Pecorella sull’abolizione dell’appello per gli assolti in primo grado ma non per i condannati, e la Calderoli sulla giustizia, cioè contro i giudici. Malgrado tutti i suoi sforzi il Presidente Ciampi ha visto continuare il declino dell’Italia soprattutto sotto il profilo politico e morale oltreché economico e sociale. “Non è questo il paese che sognavo” titolò il suo libro nel 2011. In verità non lo è neanche per me e per i tanti che hanno combattuto e lottato per farlo giusto e civile. Per rendergli omaggio riporto il racconto che il 14 marzo del 2010 su “la Repubblica” fece il suo amico Eugenio Scalfari su alcuni momenti di contrasto fra Ciampi e Berlusconi. Un esempio di come un Presidente della Repubblica deve tenere la schiena dritta di fronte all’arroganza del potere.

“L’episodio concernente la nomina dei tre giudici della Consulta nella quota che la Costituzione riserva al Presidente della Repubblica, avvenne nella sala della Vetrata del Quirinale. Erano presenti il segretario generale del Quirinale, Gifuni e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. I temi da discutere erano due: i rapporti con la Commissione europea di Bruxelles dove il premier doveva recarsi per risolvere alcuni importanti problemi e la nomina dei tre giudici. Esaurito il primo argomento Ciampi estrasse da una cartella i tre provvedimenti di nomina e comunicò a Berlusconi i nomi da lui prescelti. Berlusconi obiettò che voleva pensarci e chiese tempo per riflettere e formulare una rosa di nomi alternativa. Ciampi gli rispose che la scelta, a termini di Costituzione, era di sua esclusiva spettanza e che la firma del presidente del Consiglio era un atto dovuto che serviva semplicemente a certificare in forma notarile che la firma del Capo dello Stato era autentica e avvenuta in sua presenza. Ciò detto e senza ulteriori indugi Ciampi prese la penna e firmò passando i tre documenti a Berlusconi per la controfirma. A quel punto il premier si alzò e con tono infuriato disse che non avrebbe mai firmato non perché avesse antipatia per i nomi dei giudici ma perché nessuno poteva obbligarlo a sottoporsi ad una scelta che non derivava da lui, fonte unica di sovranità perché derivante dal popolo sovrano. La risposta di Ciampi fu gelida: ‘I documenti ti verranno trasmessi tra un’ora a Palazzo Chigi. Li ho firmati in tua presenza e in presenza di due testimoni qualificati. Se non li riavrò immediatamente indietro da te controfirmati sarò costretto a sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale’. ‘Ti saluto’ rispose altrettanto gelidamente Berlusconi e uscì dalla Vetrata seguito da Letta. In serata i tre atti di nomina tornarono a Ciampi debitamente controfirmati.

Il secondo episodio avvenne nel corso di una colazione al Quirinale, sempre alla presenza di Gifuni e di Letta. Il parlamento aveva votato la legge Gasparri e l’aveva trasmessa a Ciampi per la firma di promulgazione. Presentava, agli occhi del Capo dello Stato, svariati e seri motivi di incostituzionalità e mortificava quel pluralismo dell’informazione che è un requisito essenziale in una democrazia e sul quale, appena qualche mese prima, Ciampi aveva inviato al parlamento un suo messaggio. La colazione era da poco iniziata quando Ciampi informò il suo ospite del suo proposito di rinviare la legge alle Camere, come la Costituzione lo autorizza a fare motivando le ragioni del rinvio e i punti della legge da modificare. Berlusconi non si aspettava quel rinvio. Si alzò con impeto e alzò la voce dicendo che quella era una vera e propria pugnalata alla schiena. Ciampi (così il suo racconto) restò seduto continuando a mangiare ma ripeté che avrebbe rinviato la legge al parlamento. L’altro gli gridò che la legge sarebbe stata comunque approvata tal quale e rinviata al Quirinale e aggiunse: ‘Ti rendi conto che tu stai danneggiando Mediaset e che Mediaset è una cosa mia? Tu stai danneggiando una cosa mia’. A quel punto si alzò anche Ciampi e gli disse: ‘Questo che hai appena detto è molto grave. Stai confessando che Mediaset è cosa tua, cioè stai sottolineando a me un conflitto di interessi plateale. Se avessi avuto un dubbio a rinviare la legge, adesso ne ho addirittura l’obbligo’. ‘Allora tra noi sarà guerra e sei tu che l’hai voluta. Non metterò più piede in questo palazzo’. Uscì con il fido Letta. Ciampi rinviò la legge. Il premier per sei mesi non mise più piede al Quirinale”. E, per fortuna, manco dopo da inquilino.


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