Categorie: Politica
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“… chi leoni addestra in gabbia, chi va in cerca di lumache, chi fa buchi nella sabbia”…

Che scena malinconica e penosa ad un tempo la replica di Berlusconi, che provoca e sfida la Signora Meloni a ricomporre di nuovo il governo secondo il suo dettato, ripetendo, più o meno, il copione già visto nel 2018, enumerando in silenzio con la mano, al fianco di Salvini che scandisce le intenzioni del centro destra, lasciando con ciò sottintendere che il bravo Matteo stava solo ripetendo, a pappagallo, la lezione che gli aveva impartito lui. Penosa perché stavolta la sparata a significare: pensate quel che vi pare, ma la guida a destra, col cambio a sinistra, la so condurre solo io, con alle spalle la fida trentaduenne Marta, ennesima, recente fidanzata, non sorridente a tutto denti davanti a un obiettivo come sua abitudine, quanto piuttosto diafana e smarrita, come chi non sa di preciso quale parte il nuovo copione, improvvisamente riscritto e rinnovato, preveda per lei.

Così, impazienti di vedere quali novità ci avrebbe presentato il nuovo, granitico e saldo (sulla carta) governo di destra, siamo di fronte a un filmato già visto e rivisto in tutte le sue varianti, da sinistra a destra, con l’unica preoccupazione di accaparrarsi più poltrone possibili, non tanto per fare meglio l’interesse del Paese, quanto per garantirsi il potere di creare maggior debito pubblico, in favore del proprio interesse privato. E questa è una considerazione lapalissiana, che non c’è bisogno di essere politologi, né storici o sociologi per attribuirla alla politica italiana, considerata nella sua interezza, ben lontana dall’improntarsi a quanto – è sotto gli occhi di chi vuol vedere – accade altrove, in altre nazioni.

Molti amici che mi trovo sparsi per l’Europa, mi confortano con frasi che si richiamano all’erba del vicino che sembra sempre più verde, al detto che in fondo tutto il mondo è paese, fino al modo di dire, sparso un po’ in tutta la Toscana, sì, ma non ti credere… Va bene, sarà come dicono loro, ma lo dicono da lontano. Quando mi capita di visitare l’Europa, voglio pensare che anche all’estero si vivranno le insoddisfazioni politiche che sono quotidianamente sotto i nostri occhi, ma almeno all’apparenza, guardandosi attorno, si ha la netta sensazione che – ripeto: forse solo in superficie – venga mantenuto un certo “orgoglio di appartenenza” che da noi, non è che si sia perso o smarrito, non c’è proprio mai stato, né nell’Italia monarchica, né in quella repubblicana. Mi direte che in altre nazioni la polvere è nascosta sotto il tappeto. Può darsi, e mi dispiace che da noi non si sia capaci neppure della stessa ipocrisia. Sarebbe già un primo passo, come capita con l’ambiente, che comincerebbe a destare vergogna gettare un rifiuto per strada. Ma se mancano i cestini per la raccolta, sparsi un po’ dovunque, come si fa a iniziare l’educazione del cittadino verso un comportamento ecologico? Lo stesso vale nelle amministrazioni locali, su, su fino alla cabina di comando. Perciò viene da chiedersi se le carenze e le disonestà partano dal basso, o scendano in caduta dall’alto. Credo che la risposta sia da ricercare nella storia e nella geografia. Nella prima, che ha visto da sempre lo stivale frantumato in mille governicchi locali, dove un Principato era il massimo dell’accorpamento amministrativo. Nella seconda, per essere la popolazione distribuita da nord a sud e due grandi isole, con dialetti, usanze e mentalità neppure parenti alla lontana.

Tornando all’attuale situazione politico amministrativa, con i mille problemi che ci toccano da vicino, con i rincari e soprattutto la mancanza del lavoro, che mina il dettato costituzionale di una Repubblica democratica fondata proprio su quello, è avvilente prendere atto che la maggioranza dei parlamentari abbia deciso l’uscita anticipata di un governo che, bene o male, stava mettendo pezze a colori su una situazione a dir poco disastrata, per poi farci godere in anticipo il solito spettacolo che non porta ad altro che a perder tempo in discorsi oziosi, che non fanno che ricalcare la solita falsa riga di cui ci siamo rotti le scatole da una vita.

Spero che i più giovani siano migliori di quanto non siamo stati capaci di fare noi, nati dal periodo bellico, fino a tutti gli anni ’60, per lo più illusi che per contribuire allo sviluppo del Paese fosse sufficiente fare il nostro dovere, senza controllare con attenzione l’operato di coloro che avevamo eletto… al nostro servizio.


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